Kakurenbo

Role free: Arashi - Sasori - Asgharel

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    C H O I C E:
    Mystery creates wonder and wonder is the basis of man's desire to understand.

    Shizuka Kobayashi's offer.




    divisore




    Shizuka Kobayashi era una Principessa, e come tale era sempre stata sempre educata a comportarsi: kimono di broccato ricamati a mano e geta laccati; si diceva che fosse la migliore intrattenitrice delle case da té del villaggio e, forse, anche di ben più lontano. Cantava, danzava, recitava e sapeva persino suonare due strumenti, gestire una casa, servire il tè e dialogare con modestia a dispetto della sua sconfinata cultura accademica.
    ...Ma non era paziente. Non lo era mai stata. Afflitta da un'insofferenza molto simile ad un male di vivere nei confronti di tutte quelle persone stupide che popolavano il mondo in cui lei regnava, o in generale verso tutto ciò che non andava come avrebbe dovuto andare, aveva sin da piccola denotato un carattere piccante, irritato e irritante, che si scolpiva quasi sempre in un tagliente e maestoso sarcasmo da cui nessuno era mai salvo. Nè i ricchi Daimyo delle terre conosciute assieme ai loro affascinanti figli che cercavano da anni di sedurla, né un'associazione terroristica che le dava, a quanto sembrava, la caccia, e neanche il temibile Jinchuuriki della volpe a nove code...
    … figurarsi dunque quanto poté ghignare quando Sasori Uchiha le arrivò davanti poco più che in pigiama, rimbrottandola con rimproveri da padre di famiglia.
    «Oh, ti prego, spegni quegli occhietti lampeggianti se non vuoi che te li cavi e te li cucia sulla schiena, dove sicuramente ti saranno più utili visto quanta percezione hai. Sono entrata in casa tua con la stessa semplicità con cui entro nella mia.»
    Quella fu la prima frase che Shizuka Kobayashi rivolse al neo Chunin. La sua voce era raffinata da lunghe lezioni di dizione, posata e priva di inflessioni, ma tagliente e ironica abbastanza da indurre il suo interlocutore ad arrossire. Nonostante ciò, proprio come aveva immaginato, questo non bastò a indurlo a disattivare la sua Genkai Kekkai. Un problema che avrebbe certo saputo come gestire se solo quell'insistente presenza non avesse deciso di spostarsi dalla finestra in cui si era appostata nel goffo tentativo di seguirla senza farsi scoprire per correre verso la porta d'entrata.
    Per un'istante la kunoichi si chiese se non avesse dovuto intervenire immediatamente e vagliò allora alcuni possibili scenari tutti altrettanto plausibili: tessere un Genjutsu abbastanza potente da bloccare sia il nuovo pedante arrivato che il suo target, per esempio; oppure ammazzare il volto incognito che voleva interromperla e bloccare gli tsubo di movimento del signor pigiama brutto (che non era stato fatto dal suo clan, ovviamente) per portarselo via in qualche modo... erano scelte eccellenti, ma prevedevano rischi che non poteva assumersi in una circostanza, un luogo e in un momento come quelli. Non poteva permettersi di abbaiare troppo... e poi, sul serio, era davvero necessario preoccuparsi tanto? Che genere di coglione poteva terminare un così ostentato e stupido inseguimento entrando dalla porta principale tutto arrabbiato?
    Quando Atasuke Uchiha sbatté la porta ed entrò trafilato nel salotto in cui lei stava ancora continuando a mangiare i mandarini del padrone di casa, urlando a squarciagola le sue solite idiozie buoniste e fuori luogo, la ragazza si limitò a sorridere e, annuendo, ad esclamare solo un: «Appunto.» che scemò in un imbarazzante silenzio.

    S-Shizuka? Che diavolo ci fai qui?
    «Mah, nulla, ero in gita scolastica. Sai, buffi camici con maniche a sbuffo, cappellini arancioni e tutto il resto...»
    Ma soprattutto perchè ti sei intrufolata in casa altrui?
    «Sono una guardona, ahimé. Rubo intimo da tempo, ormai.»
    Dannazione... Hai forse intenzione di mettermi di nuovo nei casini con il Clan, l'amministrazione o il villaggio intero?
    «Noo, non potrei mai. Con quella spadina al vento e i capelli tagliati di fresco non mi permetterei un affronto del genere nei tuoi confronti guardiano di Konoha, sul serio.»



    Ad essere onesti la ragazza era talmente divertita da quella scena, colpita dalla convinzione infantile con cui Atasuke era piombato in quella casa ignorando qualcosa come centoventimila accorgimenti del manuale “il buon ninja (quello serio, che sopravvive)” che per un istante ignorò persino il fatto che fosse lui la causa per cui la sua pseudo missione rischiava di fallire. Cercò insomma per un attimo di non ricordare cosa avrebbe dovuto fare quando avrebbe smesso di ridacchiare e mangiare mandarini come se quella fosse davvero una visita di piacere e nient'altro, come se alla fine non avesse davvero dovuto porre fine a quella circostanza e prendere quello che doveva. In un modo o nell'altro.
    «Beh?! E a lui l'educazione chi gliel'ha insegnata?!» Sbottò offesa la Principessa dei Kobayashi, indicando con finto stupore il guardiano delle mura e poi il padrone di casa. «Quindi se irrompo dal portone principale va bene, ma se sono più discreta e pudica e ti entro dalla cucina no?» E rivolgendosi all'ultimo arrivato avrebbe aggiunto seriamente: «Guarda che oggi Sasori non aspetta visite, e neanche domani. L'ufficio è chiuso, e adesso io e te ci siamo cacciati in un bel guaio... li vedi gli occhietti con le rotelle?» Sorrise e stavolta si fece affilata. Come al solito la sua pessima tendenza a memorizzare ogni cosa molto rapidamente non le aveva impedito di ripetere a memoria il rimbrotto subito poc'anzi, che a quanto pareva non aveva digerito visto che stava rischiando la testa per la salvezza di quel ragazzino dai capelli ad anatra. Era irritante, ma in un modo abbastanza affascinante da impedire ai suoi interlocutori di sgozzarla, una dote innata che le aveva permesso di prendere in giro la maggior parte dei pezzi grossi del mondo sottobanco della vita shinobi senza venir assassinata.
    In effetti, Shizuka Kobayashi, la pupilla di Raizen Ikigami e l'ultima discendente del “Clan” Jotaro, era una ragazza piena di possibilità, nessuna di queste mai mostrate ad alcun membro del Clan Uchiha se non a suo zio e ad altri due Jonin che l'addestravano e, suo malgrado, al Capoclan, cui era costretta a sottostare da quando la sua Genkai aveva cominciato a sprofondare in un livello sempre più grottesco di inquietante orrore. L'affermazione di Atasuke, dunque, la divertì quanto il qualunquismo di chi cerca di dimostrarsi sicuramente in grado di gestire una situazione piena di incognite. Conosceva il carattere di quel ragazzo e aveva imparato a scendervi a patti con il tempo, quando l'irritazione naturale che provava nei suoi confronti si era trasformata in una sorta di problematico affetto. Quella volta, però, l'intolleranza scemò presto nella voglia di metterlo a tacere una volta per tutte: quella sua sciorinata voglia di dimostrare sempre che la conosceva come le sue tasche non riusciva più a sopportarla. Odiava quando parlava come se comprendesse la sua persona più di quanto lei stessa potesse mai fare; perché in tutti quegli anni Atasuke non aveva mai mosso un passo avanti dal semplice “amicone di quartiere”, quello che incontri di tanto in tanto al chiosco, con cui scambi due parole di circostanza, e certo era pur vero che la sua grande opportunità nei confronti degli Uchiha era nata grazie a lui ed era altrettanto vero che lei ne era attratta come l'oscurità può esserlo dalla luce del sole, ma lui non sapeva comunque niente. Ed era meglio che cominciasse a comprenderlo.
    Tutti questi pensieri vorticarono nella mente della kunoichi di Konoha, ma nessuno di questi abbacinò il suo volto, che si mantenne ironico e rilassato come all'inizio, per nulla turbato da tutta la circostanza che si stava svolgendo. Sorrise.
    «Possibile che quando io cerco di conoscere la gente che mi raccomanda mio zio, una sorta di miracoloso sopravvissuto –e così dicendo ammiccò a Sasori– tu compari a rompermi le uova nel paniere?» Domandò sarcastica rivolgendosi ad Atasuke, riprendendo a colmare il breve silenzio che si era formato un secondo prima. «Lo sai che non sono tipa da bussare alle porte, credevi che se avessi avuto intenzioni malevole avrei cominciato a lanciare mandarini per casa come una deficiente?» Fece roteare gli occhi al cielo e ghignò, divertita. «Invece di seguirmi come un topo avresti dovuto fermarmi e chiedermi cosa pensavo di fare, sei così tremendamente teatrale... mi viene voglia di ammazzarti, certe volte, davvero.» Accennò ad un pudico sorriso, dopoché non perse tempo a voltarsi verso Sasori, e con un'improvviso impeto batté ripetutamente la mano destra sul tavolo basso presso cui era seduta. «E tu, ora che hai capito che non sono un mostro a quattro teste, pensi di fare del té così che ti aggiorni del motivo per cui sono qui, o pensi che debba farlo io La sua domanda sembrava più una velata minaccia che nessuno dei presenti avrebbe avuto problemi a ricondurre al suo essere donna, giacché pareva che per quanto Shizuka Kobayashi fosse tremendamente femminile –e civetta abbastanza da essersi portata dietro una boccetta di smalto, che tirò fuori dalla sua borsa a tracolla e che aprì, iniziando a smaltarsi le dita senza nessun ritegno per i suoi interlocutori– non voleva sentirsi gravata dalle responsabilità tipiche del suo sesso, almeno in circostanze come quelle, dove bene o male sperava di essere considerata al pari di qualunque altro uomo. «Ho portato dei dolcetti.» Avrebbe aggiunto la ragazza, iniziando a soffiare sulle sue dita stancamente, e infilando con attenzione millimetrica una mano in borsa ne avrebbe estratto una scatola di mochi. Questa recava sulla confezione l'effige a forma di coniglio della migliore pasticceria tradizionale di Konoha, un lusso che, ahimé, probabilmente solo la Principessa dei Kobayashi e pochi altri si sarebbero potuti permettere. «Speravo di offrirteli almeno dopo le presentazioni, ma i tuoi occhi a rotella e questo scemo qui.» Continuò, indicando Atasuke. «Mi hanno rovinato i programmi. Ho preso ripieno all'azuki, che è il mio preferito, spero ti piaccia altrimenti attaccati, indietro non torno.» Disse con poca gentilezza e così dicendo contemplò le sue dita rifatte. Era stata estremamente veloce a smaltarsi, segno di un'abitudine consolidata, e ritappò perciò altrettanto in fretta la boccetta, che lasciò cadere in borsa per evitare che lo smalto fresco si rovinasse. Solo a quel punto aspettò che i suoi interlocutori rispondessero. O almeno che ci provassero, poiché nel momento in cui avrebbero tentato a farlo si sarebbero accorti con orrore che la loro capacità, anche solo quella di aprire la bocca, era compromessa, e quella di articolare suoni, pertanto, quasi annientata.
    Semi-paralisi da veleno disperso nell'aria. Quel tipo di debilitazione fisica che si impadronisce dei tuoi sensi prima che tu riesca a comprenderlo e che, anche in caso di accorgimento, ti impedisce di scappare. Il veleno del cibo si può rigurgitare, quello da ferita limitare, ma quello del vento, dell'aria, non lo si può incatenare. Meno di qualche secondo, ecco il tempo utile perché maturi il suo effetto, che si presenta immediato, rapido e violento: in un attimo, sai che sei spacciato...
    «...entra infatti nel flusso sanguigno, bloccando i fasci muscolari come un elastico, e ahimé non c'è niente che possiate fare se non pregare in testa vostra che io adesso non vi voglia tagliare la gola.» Stava educatamente spiegando una voce, che ai due shinobi Uchiha sarebbe apparsa nitida e inesorabile come una boccata di fiele. Di fronte a loro, Shizuka Kobayashi si sarebbe a quel punto alzata, sorridendo nel guardarsi le mani. «Quindi ricominciamo, e non vogliatemene a male, ho degli ordini da eseguire.» Sospirò prima di accerchiare il tavolo e di avvicinarsi a Sasori Uchiha.
    Vista da vicino la ragazza sarebbe apparsa agli occhi del Chunin più bassa di quello che forse egli aveva immaginato, sul metro e sessantacinque circa e quindi molto più bassa della media delle sue magrissime e alte coetanee. Le forme morbide del suo corpo, con fianchi sinuosi e un seno molto più che generoso, rendevano la sua figura una geometria di linee scolpita da addestramenti che non si limitavano solo al campo di battaglia, ma a luoghi più silenziosi, discreti... lì dove una donna, una kunoichi, poteva fare del suo meglio.
    Il suo fisico, però, era deturpato, e solo in quel momento il ninja sopravvissuto se ne sarebbe accorto, forse persino con un certo orrore: una cicatrice enorme, di quasi tre dita di spessore, la sfregiava infatti partendo dalla spalla sinistra, scivolando poi tra i due seni e precipitando infine verso il basso, terminando chissà dove. Per quanto l'aderente divisa da lei indossata cercasse di nasconderne in parte i danni, quell'orrore era ben visibile a quella distanza, vista la scollatura dell'abito.
    «Il mio nome è Shizuka Kobayashi, sono l'unica allieva viva di Raizen Ikigami, che è il Colosso dagli occhietti buffi che ti ha salvato il culo in missione: è lui che mi manda da te.» Disse infine la donna, mettendosi a braccia conserte. «Sono qui per testare il tuo cervellino, che a quanto mi risulta è più debole di quanto tu stesso voglia ammettere, e temo che i tuoi blandi e penosi allenamenti, quelli cioè in cui ti diverti ogni giorno da quando sei tornato, non serviranno proprio a niente per placare la situazione in cui versi. Quella scimmia del mio maestro se n'è accorto e mi ha mandato a valutare se rischi di impazzire oppure no.» Sapeva più cose di quelle che avrebbe dovuto e a quel punto, ormai con le carte scoperte, non sembrava più essere intenzionata a nasconderlo. «Sei un creatore e la tua mente è compromessa, vorrei dunque che tu fossi messo al corrente di cosa succede ad uno della tua risma, a chi cioè può piegare la realtà a suo piacimento, quando il suo equilibrio interiore viene incrinato: il capoclan ordinerà il sigillo della tua Genkai e tu vivrai il resto dei tuoi giorni incapace di attivare ciò con cui sei nato. Un mezzo ninja, una mezza persona, chiamati pure come ti pare.» Era un'accusa più grande di quella che forse chiunque si sarebbe mai permesso di fare, ma la kunoichi la disse con semplicità, quasi con soddisfazione, come se l'idea di offendere la rinomata veste di perfezione del capo degli Uchiha le procurasse un acceso senso di godimento. «Ed ecco che qui entro in scena io.» Continuò la Principessa dopo aver fatto una breve pausa, probabilmente atta a permettere a Sasori di elaborare quanto appena sentito. Allargò le braccia in modo teatrale, ammiccando. «Benché tu non sappia assolutamente niente di me, e così continuerà ad essere finché non deciderò il contrario, vorrei che tu sapessi che sono l'unica persona che può aiutarti in questo mare di merda che è il tuo Clan e l'unica, per inciso, che non intende assolutamente sigillare il tuo Sharingan, perché per quanto tu possa essere stato scosso dalla tua esperienza e per quanta oscurità tu sia sicuro di aver visto, ti posso garantire che esiste un punto, un puntino minuscolo che forse ora non sei in grado di vedere, di luce vera. E quella luce ti permetterà di ritrovare serenità e anzi di far fruttare il tuo nuovo te stesso in modi imprevedibili... ma devi accettare un aiuto, oppure potresti non riuscire a controllare le conseguenze di ciò che adesso sei, perché chi riesce a piegare il creato al suo volere vive in un livello della realtà diverso da quello di chiunque altro, e tutte le esperienze che vive contribuiscono ad arricchire quel livello, che può salire o scendere... e se scendi troppo, credimi, poi non sai più come uscirne.» Tacque per un istante e poi, incredibilmente, sorrise. Ed era un sorriso vero, quello. Sincero.
    Durò solo qualche debole istante, ma in quei secondi Shizuka Kobayashi non era più un'infiltrata esperta in veleni e in chissà quale altra diavoleria, un demone che era arrivato dal nulla per distruggere la serenità di qualcun altro, ma una persona che sembrava conoscere bene il significato delle sue parole, come se ci fosse passata prima, come se sapesse davvero cosa si sente a trovarsi in un labirinto che continua fino al cielo e da cui non si riesce ad uscire neanche urlando e piangendo. Ma furono illazioni solo di qualche istante, quelle, poiché subito dopo il volto da bambola della kunoichi ritornò nella sua solita espressione di ovvia sufficienza.
    «Io posso aiutarti, a prescindere che tu abbia davvero perso il tuo equilibrio o meno: posso insegnarti come far fruttare i lati peggiori e migliori della tua realtà, spingendoti verso i livelli più grotteschi della tua mente. Ti mostrerò l'inferno e ti farò divorare da esso. Piangerai acido, il tuo corpo verrà spellato da vivo e tu saprai di essere morto e rinato, ma quando tutto questo terminerà non importa quanti mesi sarai rinchiuso o cosa vedrai, non potrai scendere più in basso di dove io ti condurrò... sai, l'oscurità è la mia specialità.» Disse, facendo l'occhiolino al suo interlocutore. «Quindi dunque, tirando le redini di questa lunga conversazione, hai due possibilità: rimanere qui e rimetterti al giudizio inappellabile di gente che probabilmente non incontrerai mai, rischiando la sorte, oppure provare prima il tutto e per tutto per scalare la vetta e andare avanti. Mi rendo conto di non essere la tipa più raccomandabile del mondo, ma se avessi voluto ucciderti, lo avrei già fatto mentre dormivi.» Esclamò, battendo una mano sulla spalla del Chunin. Questo si sarebbe accorto di non sentire assolutamente il tocco della mano della giovane. «Se vuoi venire con me spero tu sia bravo nella tecnica della trasformazione, perché devi mutare in lui.» Disse, indicando Atasuke che aveva fino a quel momento ignorato. «Uscire di qui con il mio “amicone” desterà meno problemi di quanti ne avremo, e non saranno pochi vista quanta attenzione il coglioncello ha attirato entrando e urlando come un'oca.» Sorrise, e così dicendo estrasse dalla sua tracolla una pillola gelatinosa bianca dalla forma ovale. Sembrava delicata al tatto, ma quando Shizuka la posò sulle labbra di Sasori, egli si sarebbe accorto che era rigida... a quanto pareva, dunque, vi erano parti del corpo che risentivano della semi-paralisi meno di altre. Non che avesse importanza vista la circostanza. «Fidati di me.» Mormorò, in quella che sembrava più un ordine che una supplica. «E se ti chiedi perché sembro tenerci tanto, sappi che non ti conosco abbastanza da provare un reale interesse nei tuoi confronti, ma odio le ingiustizie e so cosa significa essere sottoposti a delle decisioni troppo grandi da cui non puoi ribellarti, e credo che chiunque debba avere l'opportunità di dimostrare che può cambiare il suo destino. A questo aggiungici il fatto che il mio maestro arrabbiato fa più paura di quella che faccio io, da arrabbiata, intendo, quindi eccoci qua. Credo di aver delucidato tutte le tue domande.»
    A dispetto del suo pessimo carattere, piuttosto evidente e, per la verità, incredibilmente simile sotto molti aspetti a quello di colui che aveva annunciato essere il suo maestro, la Principessa dai grandi occhi verde smeraldo e i lunghi capelli castani era un'oratrice molto più che suadente. Sembrava in grado di miscelare con sapienza sincerità e opportunismo, arroganza e dolcezza, in un profumo inebriante da cui pochi sarebbero usciti indenni. Ma, purtroppo, non era una donna paziente.
    «Sei in grado di annuire.» Avrebbe detto con leggerezza. «Se vuoi venire, fallo, questo è il mio antidoto. Sa di fegato di maiale, quindi fa schifo, ma è rapido ad entrare in circolo.»
    Quale che fosse stata la risposta, però, con sommo stupore di entrambi i suoi interlocutori, la ragazza avrebbe lasciato due pastiglie sul tavolo. Una era per Atasuke, cui lei si sarebbe avvicinata solo dopo.
    «Mi dispiace, ma la legge del tuo Clan non è quella a cui io ubbidisco.» Avrebbe detto la kunoichi e sembrava realmente contrita. «Desidero la morte del capoclan che tu veneri come un Dio come la voglio di chi mi dà la caccia raccontandomi la fiaba di potermi dare un futuro migliore. Voglio la morte di chi racconta frottole al popolo di questo villaggio mascherando la verità di una sparizione con un'amministrazione fantoccio, e voglio la morte anche di chi, come te, crede di conoscermi quando nemmeno io conosco me stessa. Voglio la morte di un sacco di gente e cerco di scordarmi di questo dettaglio rincorrendo un personale senso di giustizia che tu non accetteresti mai, perché prevede il raggiungere il mio obiettivo appoggiandomi a chiunque, anche a chi tu consideri feccia.» Sorrise socchiudendo gli occhi verdi.
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    «Sono così corrotta, Atasuke, che la tua presenza candida mi offende. Mi fai sentire più schifosa di quello che realmente sono e sinceramente non mi interessa se il tuo Clan cercherà di ammazzarmi per quello che sto facendo ora, non è giusto che un demente con il pigiama brutto che ha fatto l'errore di vedere l'inferno, soffrendone per di più, rischi di non poter vivere la sua vita perché considerato come un presunto pericolo per il livello di eccellenza che chiunque porti il vostro cognome pare debba avere. Il tuo capoclan non ha mai smesso di volermi uccidere, a dispetto di tutti i permessi che mi ha concesso, e io stessa non ho mai smesso di sperare di riuscire a diventare abbastanza potente da imporgli questo destino per prima... non so che realtà tu veda, o quanto splendore tu riesca a scovare in ciò che ti circonda. Ma sinceramente non mi interessa: non so cosa tu e la tua gente vediate di così orribile nell'inferno e nella gente come me che ci sta dentro così bene, ma mentre il tuo corpo si scioglie e tu prendi coscienza del fatto che non siamo allo stesso pari e che io posso ucciderti quando più ne ho desiderio, ragiona sul fatto che esistono più strade per giungere nello stesso luogo e forse i miei “colpi di testa”, quelli che ti fanno così paura, fanno parte di un'idea più gentile, in cui magari io non distruggo nessun villaggio, ma anzi lo tutelo.» Disse così e socchiudendo gli occhi guardò con freddezza lo Shinobi di fronte a lui. Quella era, per Atasuke Uchiha, la prima volta che vedeva Shizuka dopo molto tempo da così vicino e si sarebbe dunque potuto accorgere solo allora del cambiamento negli occhi di lei, perennemente più scuri rispetto a quelli conosciuti un tempo, come anche di quella stessa grande e orrenda cicatrice ancora fresca che ne sfregiava il fisico. «Hai memorizzato tutto, Uchiha?» Avrebbe domandato la Principessa. A quanto pareva tutta quella fuga di informazioni con cui aveva riempito il suo discorso non era così casuale. «Prendi la tua medicina o rimarrai stordito tutto il giorno. Non preoccuparti di salvarla, i miei veleni cambiano così rapidamente che tu e chiunque altro non potreste maturare nessun antidoto anche partendo da uno già fatto.»

    Fu così che, gelidamente, il sipario cadde sulla scena.


    divisore




     
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