Perché non c'è altro posto a cui appartengo

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  1. -Max
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    九代目水影 - Kyuudaime Mizukage

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    Ritorno a Casa

    Dinanzi ad alte mura



    Le mura di Kiri erano sempre le stesse. Alte, inondate di acqua con un aspetto stranamente decadente. Non era una novità, Kiri era sempre stata un posto poco allegro sin da quando ci avevo messo piede. Le giornate soleggiate erano scarse, le giornate di nebbia molte, lunghe e sicuramente umide. Non era un posto caldo e accogliente, non era il più bel Villaggio sulla faccia della Terra, non era fatto di gente sempre cordiale e di buon carattere ed anzi spesso inquietanti, ma era casa. Era la mia casa, senz'ombra di dubbio. E non riuscii a non sentirmi un attimo, nel profondo del mio cuore, commosso nel vedere quelle mura che per mesi avevo dimenticato ogni giorno in un circolo vizioso senza fine che mi aveva segnato l'anima ed il corpo.



    Feci un lungo respiro, sentii l'aria umida pervadere le mie narici ed i miei polmoni. Ero a casa.





    Un lungo cappuccio mi teneva coperto il viso e non lasciavo che alcuno potesse vedere lamia faccia. Ero sempre lo stesso, anche se i miei occhi rivelavano bel altra cosa. Itai Nara era morto. L'irascibile impulsivo ninja di Kiri tanto potente quanto pericoloso non esisteva più, mutato in un uomo. Conscio di quello che era e delle sue azioni ben più di un tempo. Lo sguardo furente, che inceneriva i nemici con la sola pressione dello sguardo non esisteva più sostituito da una glaciale calma nata della sofferenza. Il dolore ti cambia, ti alleva come una madre crudele che odia il proprio figlio ed hai due scelte: arrabbiarti con il mondo e cadere in un vortice autodistruttivo che porta al nichilismo del corpo e dell'anima oppure rialzarti, voltare le spalle alla sofferenza e crescere. Sempre in bilico tra queste due condizioni alla fine ne ero uscito ed ero pronto a tornare a casa.



    I miei passi mi condussero istintivamente alla mia vecchia residenza nelle casette a schiera non lontano dalla costa. Feci per bussare ma nessuno rispose. Lo rifeci e suonai il campanello, ma quando posai il dito sul pulsante non venne nessun suono. Nessuna corrente.
    Oh caro ragazzo, qui non abita più nessuno! Sei straniero, altrimenti lo sapresti. Una voce giunse alle mie spalle a me ben nota. La Vecchia Hyo. La cara Vecchia Hyo, la nostra vicina di casa. Persino quella bisbetica problematica mi scaldava il cuore in quel momento. Ma come, non parli? Comunque dovresti saperlo, adesso la famiglia Nara vive al Palazzo del Mizukage. Non eri informato? sparii letteralmente dalla vista della donna, più veloce di un fulmine, saltando di palazzo in palazzo rapido come il vento maledicendomi per la mia stupidità, diretto verso quella che a mia insaputa era diventata la mia nuova casa.



    OhklkTc

    Il cancello del Palazzo del Mizukage non era chiuso. In giardino, ben coperte, c'erano due bambine che giocavano rincorrendosi nella più classica, smielata eppure perfetta delle scene. Ricordai quel posto ai tempi di Shiltar Kaguya: sembrava decisamente meno inquietante senza ossa e coccodrilli. Feci un passo dentro, sentendomi totalmente estraneo in casa mia e le bambine notatomi si fermarono a guardarmi. Erano cresciute un sacco, come solo a quell'età così tenera si può crescere. Chiusi il cancello alle mie spalle e con mano leggermente tremante abbassai il cappuccio, lasciando che finalmente potessero vedermi in faccia. E nei loro occhi si dipinse un misto di pura gioia e allegria, così senza riflettere corsero verso di me gettandosi senza troppi complimenti tra le mie braccia aperte. Ehi piano, piano... dissi ridendo, sollevandole da terra senza sforzo, stringendole a me come se fossero due preziosi tesori. Lo erano, dopotutto.
    Vi siete fatte grandi. Dissi posandole a terra, posando un ginocchio per tenere il viso alla loro altezza Mi sembra passato così tanto tempo, sapete? Jukyu si gettò nuovamente al mio collo, stringendomi con forza non indifferente.
    Dove sei stato?? La mamma era tanto triste, ed anche Nana, ed anche io! E capii quanto dolore avevo provocato loro. Sospirai appena, abbracciando mia figlia con tutto il calore che potevo trasmettere. Non avevo mai voluto lasciarle improvvisamente, ma al mio clone bastardo certo della sua fine non era passato in mente di non farle preoccupare a morte. Non importava più tuttavia, ero lì ed era finita. Il tempo avrebbe guarito quelle ferite. Vedi piccola, non sono stato molto bene... mi sono fatto male in una missione e dovevo guarire. Potevi guarire a casa! disse Jukyu, mentre Nana teneva lo sguardo in basso triste. Allungai una mano ed avvicinai anche lei in quell'abbraccio. No che non potevo, lo sai come divento quando sono malato! La mamma sarebbe impazzita! La mamma ti avrebbe sopportato volentieri.



    La voce di Ayame mi colpì dritto all'anima. Sentii improvvisamente gli occhi farsi caldi, bruciare d'emozione pura. Mi alzai, non prima di aver baciato la fronte ad entrambe le bambine, quindi mi ritrovai faccia a faccia con mia moglie. Era dimagrita rispetto a quando ricordavo ed i capelli erano tornati corti come quando l'avevo conosciuta. In un certo modo sembrava essere tornata indietro nel tempo, a quando le bambine non erano ancora nati e non eravamo ancora sposate. E la trovavo sempre bellissima.
    Jukyu, Nana, giocate qui un altro po', la mamma ed il papà devono parlare un attimo. Disse allora Ayame e le bambine annuirono, allontanandosi. Rimanemmo a fissarci per un lungo istante, dunque allungai una mano, come per toccarla ma lei si ritrasse. Ero una kunochi, e sono la moglie di uno shinobi. Ho auto tutto, tutto il tempo del mondo per prepararmi al fatto che tu non saresti potuto tornare da una missione...vidi i suoi occhi riempirsi di lacrime e non riuscii a sostenere lo sguardo Ma mai, mai, mai ho immaginato... questo... singhiozzò e mi avvicinai a lei. L'abbracciai ma lei non ricambiò e sospirai pesantemente, sentendomi orribilmente in colpa per ciò che aveva dovuto sapere. Sapere che l'uomo che per venti mesi era stato al suo fianco, a crescere le sue figlie, nel suo letto ogni notte, non era... un falso doveva essere stato terribile.



    La condussi dentro, cercando un posto dove andare, ma mi resi conto che non sapevo muovermi nella villa. Così Ayame alla fine mi condusse nella camera da letto, dove un letto matrimoniale enorme e finemente decorato campeggiava al centro della stanza. L'arredamento non era fatto di ossa, e questo un po' mi consolava. Io... io vorrei essere felice... e lo sono... ma Itai... la strinsi a me, più forte che potevo e lei finalmente cedette, passando le braccia attorno al mio petto, piangendo tutta la tristezza che aveva in corpo.
    Non sapevo che una cosa del genere sarebbe potuta accadere. Nei miei pensieri più remoti non credevo che qualcosa del genere fosse possibile. E mi dispiace... mi dispiace non essere tornato a casa subito... sciolsi l'abbraccio Ma non potevo... ero debole, ferito... Tu e la tua stupida forza, maledetto idiota! sibilò Ayame Anche scheletrico, anche distrutto sarebbe stato meglio di mesi di silenzio!
    Amore iniziai a dire fermandole il viso rabbioso con le mani Non potevo. Non ero solo debole ero... spezzato....



    A quelle parole Ayame parve inorridire, perché tra tutti gli aggettivi che potevano essere attribuiti a me spezzato non era il più corretto. PDopo che sono riuscito a scappare sono successe... cose. Ho perso il controllo più volte, ho rischiato di trasformarmi nel Sette Code senza motivo. Di notte avevo incubi e spesso ho subito... crolli nervosi, Ayame. Ero pericoloso, ero inguardabile e non avrei messo in pericolo Jukyu e Nana per star loro vicine, e nemmeno te. lei mi prese la mano sinistra, aprendola piano, rimanendo per un attimo sconvolta.
    "Ricordati della notte del 19" lesse, sulla mia mano. La chirurgica cicatrice che mi ero procurato per darmi indizi era ormai bianca e formata, ma ancora perfettamente leggibile contro la mia pelle. Cosa è...?
    Lo vuoi sapere davvero amore? Domandai, ritirando la mano, ma lei me la prese nuovamente tra le sue. Tutto. Io devo sapere tutto.



    Sospirai, dunque mi tolsi tutti gli indumenti che portavo sulla parte superiore del corpo, rivelando tutte le mie cicatrici. Quattro sul braccio, due per ognuno, due sul petto. Ognuna delle quali recava un messaggio. Per tenermi a bada mi davano una specie di poltiglia che mi alterava i ricordi. Mi cancellava qualsiasi ricordo che avessi accumulato nelle ore precedenti e difatti sono sempre stato convinto che fosse il mio primo o i miei primi giorni di prigionia. Non credevo fossero passati venti mesi Ayame. Alla fine ho trovato un modo per ricordare e per comunicare. Grazie ai Tengu sono riuscito a segnalare la mia posizione e loro, Yogan ed un ninja di Konoha mi hanno tirato fuori di lì... è stato... mi baciò, senza lasciami terminare la rase. Un bacio dolce, lungo, ma dolce, che spesso avevo sognato in quei lunghi mesi. Si sistemerà tutto. Lo so, Itai, ma ho bisogno di tempo. Credo sia normale, dopotutto. Mi abbracciò di nuovo ed alla fine ci stendemmo sul letto, vicini come non lo eravamo da mesi, raggiunti poco dopo da Jukyu e Nana che, con l'eleganza tipica dei cinque anni si gettarono senza complimenti sul letto ed addosso a noi. Almeno loro mi avevano perdonato in fretta.






    Il giorno dopo lasciai il Villaggio a metà mattinata, dirigendomi verso il entro dell'Isola, verso il Palazzo del Daimyo. Viaggiai con Yogan, per cui fu molto breve. Il palazzo, grande e severo era protetto da numerose guardie che quando mi video parvero riconoscermi subito. Una delle due all'ingresso parlò Mizukage-sama, il Daimyo la stava aspettando. Attenda che qualcuno la scorti. disse, lasciandomi entrare nel cortile d'ingresso poco oltre le mura del Palazzo. Vedremo un po' se sarò davvero il Mizukage quando uscirò di qui. Perché a quanto pare il mio perfettissimo clone da Mizukage non aveva fatto ne male ne bene. Non aveva fatto niente, il che era forse il peggiore dei peccati.

     
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