Perché non c'è altro posto a cui appartengo

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  1. Arashi Hime
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    LA C O S A I M P O R T A N T E

    due-chiacchiere-con-dario-tonani-L-Al3kCt




    «Siete molto sicuro di voi, Itai-sama.»



    Seduto sul suo comodo cuscino di piume, il Daimyo accennò ad uno dei suoi sorrisetti. I baffi di carne si arricciarono sopra il labbro superiore, sparendo poi un istante dopo di punto in bianco, come se la sincera ammirazione che sembrava aver permeato quella frase fosse stata indotta a sparire.
    «Venite al mio cospetto elencandomi le vostre destrezze portentose come se un uomo come me possa provare piacere a sentirne parlare. Mi confermate che il motivo per cui siete stato nominato come Mizukage è la vostra indubbia capacità di proteggere Kiri...eppure è per colpa vostra se per due anni il villaggio è rimasto in mano al nemico.» I termini che usava erano prettamente militari, niente di simile a quelli tipici del linguaggio Shinobi. Com'era facile intuire vi era una formazione marziale in quell'uomo, un samurai, un signore feudale, ignaro del funzionamento e della logica del palcoscenico di vetro su cui i ninja si muovevano annegando nelle loro stesse ombre.

    Un raggio di sole inondò con timidezza convinta la Sala dei Ricevimenti, filtrando con ostinazione attraverso le finestre circolari nelle pareti, le stesse che affacciavano sui giardini della parte Ovest di Palazzo Fuyumizu.
    Le macchie di luce sul pavimento disegnavano forme geometriche complicate e di difficile incastro, scemando poi in un intricato gioco di ombre. Quando l'esangue sole di metà mattina venne divorato nuovamente da una nube, precorritrice di una nebbia che sarebbe presto calata sull'intero Paese, anche i suoi raggi sparirono, inghiottiti dalle venature del pavimento di legno su cui i due uomini erano seduti, in silenzio, fronteggiandosi in un muto diverbio mentale.
    «Siete molto convinto a voler insistere nella presa di posizione secondo la quale Kiri non ha subito danni, ma cosa vi induce a non nutrire nessun dubbio?»
    A dispetto del poggi gomito offerto lui o dalla stessa rialzata cui avrebbe potuto appoggiarsi, Tarou Kiriyama, il Daimyo delle Terre dell'Acqua, sedeva in una posizione storta che ne aggravava la già sbieca postura, portando tutto il peso del suo corpo a gravare sulla parte lombo sacrale. In effetti l'uomo sembrava godere di sedere con la schiena perennemente reclinata all'indietro, e per quanto certe volte perdesse l'equilibrio, non esitava mai a riportarsi seduto riassumendo la stessa sbilenca seduta. L'ennesima stramberia di un reticolo di paranoie dalle fattezze umane.
    «La parola di vostra moglie, forse?» La domanda ritornò ad essere posta con quel suo timbro di voce solito, tradendo per l'ennesima volta l'abitudine del Signore di mettere sempre al termine di quasi ogni sua frase una domanda di conferma, che sembrava più rassicurare lo stesso interlocutore piuttosto che esigere una reale risposta. Adesso, nella sua voce, vi era una nota di comprensione ricca di complicità. «Capisco, capisco.» Disse infatti, annuendo. «Le mogli sono un bene prezioso e insostituibile, è normale fidarsi tanto d'esse... e voi, che siete un così bell'uomo, avete scelto di averne solo una. Sicuramente la vostra sposa è speciale.» Sorrise, e ad un'attenta occhiata si sarebbe notata della timidezza quasi infantile nell'espressione di lui, arrossata, come fosse un bambino preso in contro piede a dover confessare qualcosa di grandemente amato.
    In effetti non era una novità che il Daimyo, a dispetto dei suoi cinquantatre anni compiuti, fosse da poco convolato a nozze con la sua terza moglie, una giovane Principessa delle lontane terre dell'Est dai lunghi capelli scuri e i grandi occhioni grigi. Ella, una creatura di rara dolcezza, dall'indole incredibilmente fiduciosa e amante dell'altruismo sincero, aveva accettato senza le solite lamentele tacite tipiche delle donne di quel rango di trasferirsi a Palazzo Fuyumizu con il marito due anni e mezzo prima, e subito si era fatta amare anche dal corpo domestici proprio per il suo carattere così alto.
    Un bel passo di qualità per Tarou Kiriyama, la cui prima moglie, la Signora di seggio, aveva smesso di essere la cerbiatta innocente per la quale si era fatta conoscere dopo aver dato alla luce il suo primo erede maschio. E di figli, il Daimyo, solo da lei ne aveva cinque.
    «Ma può davvero una sola donna rispondere alla verità di un intero villaggio?» Domandò a quel punto, dopo una breve pausa, il padrone del Palazzo. Il suo tono di voce era tornato fulminante. «Credete davvero di potervi trovare in una situazione per la quale non vi è dato di interrogarvi ulteriormente sulla sorte dei vostri concittadini?» E abbassando il tono di voce, aggiunse. «Ditemi, Itai-sama... siete pronto a scommettere la vita della vostra stessa moglie e della vostra progenie, senza esitazione alcuna, qui e ora?»




     
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