Perché non c'è altro posto a cui appartengo

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  1. Arashi Hime
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    CAPIRE LE CONSEGUENZE

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    Erano ancora seduti, l'uno di fronte all'altro, assorti nel scrutare i rispettivi volti, quando qualcuno parlò. Era una voce maschile, giovane ma quieta.
    «Daimyo-sama ho portato ciò che avete richiesto.»
    Quelle parole arrivarono alle spalle del Jonin di Kiri del tutto inattese, non annunciate, ma il Signore del palazzo non parve stupirsene e, annuendo, acconsentì l'ingresso di quello che si rivelò essere un ragazzo di circa ventisei o ventisette anni: i capelli di un biondo-bianco erano raccolti in una coda alta fermata da una striscia di cotone rigido e l'hakama blu notte, benché sobrio, era parte di un ricco corredo che recava il simbolo della casata ereditaria.
    Inchinandosi il ragazzo alzò lo sguardo, azzurro, dapprima sul padrone di quelle Terre e poi sull'ospite, cui si inchinò.
    «Vogliate scusare la mia intromissione.» Disse, riportando i suoi occhi in quelli del Daimyo. Fissi in un solo punto, sembravano essere assorti in quella direzione della Sala dei Ricevimenti.
    «Esegui solo un ordine Shoichi.» Rispose il Signore, facendo lui segno di avvicinarsi.
    Inchinandosi ancora una volta il ragazzo attraversò allora il salone, avendo ben cura di costeggiare il muro di sinistra per non passare alle spalle del nobile ospite e non danneggiare dunque la sua rispettosa persona, portandosi poi accanto al Daimyo, cui porse alcuni documenti mettendosi in ginocchio.
    Come fosse incurante del tempo che continuava a scorrere, Tarou Kiriyama valutò la documentazione effettuata e infine, dopo aver annuito con approvazione, alzò la mano destra rivolgendo al giovane uomo un gesto secco.
    «Ben fatto, Shoichi.» Si limitò a dire il Signore di Fuyumizu. «Ritirati, ora.»

    Messi ad assistere in una situazione come quella, in pochi sarebbero stati pronti a giurare che Shoichi Kiriyama era il figlio primogenito, e designato erede, dello stesso Tarou. I modi distanti, militari e autoritari con cui infatti il Daimyo trattava il giovane erano pari a quelli di uno Shogun con la propria armata, non vi era niente di paterno in lui, né uno sguardo né una parola.
    Come tradizione voleva con gli eredi di grandi responsabilità, ed esattamente come lo stesso Tarou era stato cresciuto, il Signore del Paese dell'Acqua cercava in questo modo di trasmettere al figlio il peso delle responsabilità che un giorno l'avrebbero vestito del nome di “nuovo Daimyo”.
    Senza nessuna ira o alcun disagio, dunque, il giovane uomo si inchinò nuovamente.
    «Vi ringrazio.» Disse nell'alzarsi, silenzioso e fluido nei movimenti, e così dicendo si voltò. I suoi occhi, frammenti di cielo terso e luminoso, scivolarono silenziosamente sulla pedana in cui sedeva il padre, passando sul legno del pavimento, le piantane di ferro su cui ardevano candele bianche ammezzate e infine sul paravento di bamboo, su cui si soffermò, di fronte al quale il Signore suo padre si dondolava come un bambino, appuntandosi una serie di frasi e circostanze che evidentemente non aveva avuto ancora il modo di scrivere. «Con permesso.» Aggiunse a quel punto, dopo aver scolpito i lineamenti di quell'uomo in una memoria assetata di dettagli, e subito si voltò, ritornando sui suoi passi. Educato ad una formalità impeccabile, Shoichi ebbe la premura di inchinarsi nuovamente di fronte ad Itai prima di sparire dietro la porta scorrevole di riso, che richiuse senza emettere suoni superflui.
    Per un attimo, il silenzio.

    «...Cosa stavamo dicendo, Itai-sama?» Domandò a quel punto il Daimyo. «Ah, la protezione di tutto il villaggio e non solo della vostra famiglia... ma certo, ma certo, capisco.» Annuì con pazienza. «Molto nobile da parte vostra.» Ammise dopo un'altra breve pausa, e così dicendo ricominciò a cincischiare con i fogli. La sua posizione pendente all'indietro non rendeva semplice quel compito, come dimostrarono i documenti che scivolarono più volte a destra e a sinistra del cuscino di piume, costringendo il signore ad affaccendarsi con imbarazzo intorno a quella burocrazia. «...Quindi la colpa del vostro fallimento è dell'amministrazione per non essere riuscita a classificare correttamente la vostra missione?» Chiese, e per un attimo il suo timbro di voce si fece duro e accusatorio, lontano da quello calmo di sempre, come del resto spesso accadeva. «Quindi se fosse stato già Mizukage sareste stato in grado di liberarvi?» Per un attimo parve quasi farsi malizioso. «Questo titolo che desiderate confermato sembra dare molti poteri incredibili.» Sembrò quasi volesse ridere, ma quando aprì la bocca da essa non uscì nient'altro che un suono strozzato e l'uomo ritornò subito a guardare i suoi fogli compilati. Evidentemente era un po' troppo, per una persona come lui, sfidare il proprio interlocutore in quel modo. «In ogni caso, in ogni caso Itai-sama.» Dopo aver riguardato per l'ennesima volta ogni singolo foglio in modo così accurato da memorizzarne anche la filigranatura, il Daimyo annuì seriamente. «Temo di essere costretto comunque a punirvi.»

    Tarou Kiriyama era un uomo che disprezzava prendere decisioni. Si diceva che dall'inizio del suo mandato, ereditato appena trentenne, avesse cercato di ritrarsi da quel genere di doveri quanto più possibile, affidandosi spesso in modo totale al concilio Shinobi.
    Erano talmente rare le occasioni in cui poteva dire di aver fatto valere il suo titolo che, scherzavano i cittadini di Kiri ingannando il tempo del misero mercato del villaggio, se le segnava su un taccuino tutto particolare: fatto d'oro.
    Eppure, per quanto le malizie fossero incalzanti, il Daimyo quel giorno prese una decisione, e lo fece, come ebbe modo di puntualizzare “nell'interesse del Villaggio e dell'intero Paese”.
    «Capitemi.» Stava spiegando, quasi si scusasse. «Certo, nessuno sa che chi sedeva al vostro posto era in realtà un misero falso, ma è necessario per quelle persone che invece sanno, come me e voi stesso, farvi capire che non vi può essere un dare senza un ricevere.» Visto che la frase sembrava discretamente convincente, se l'appuntò. «Devo darvi modo di ricordare che la buona volontà e l'amore per qualcosa non bastano a salvare, a tutelare e soprattutto ad impedire che il fato ormai ordito si compia. Ricordatevelo.» Era ispirato, perciò si trascrisse anche quell'affermazione.
    A quel punto, muovendosi nuovamente sul posto con nervosismo e torturandosi le mani tra di loro fino a quando l'una divenne bianca e l'altra rossa, il Signore del Palazzo si reclinò ancora un po' indietro, poi avanti, e poi di nuovo indietro. Solo allora porse i documenti al suo ospite, niente meno che facendoli volare soavemente fino a che non si depositarono autonomamente a metà strada tra lui e l'altro. «Questi sono i resoconti che firmerete: attestano la versione ufficiale dei fatti. Non vi è nessun accenno al Clone o qualsiasi altra diavoleria quella creatura fosse, ovviamente.» Puntualizzò, come fosse davvero importante. «Nei documenti che seguono vi è invece la descrizione alla vostra pena.» Dire quelle parole sembrava metterlo a disagio, quasi non fosse sicuro di ciò che stava facendo, ragion per cui, per essere sicuro di non dimenticare nulla e di non cadere in un futuro prossimo nella famosa “trappola della memoria”, il peggiore tra i mali dell'uomo, si appuntò sul suo quadernino tutto ciò che stava dicendo, parola per parola. «Siete pregato di non abbandonare Kiri nei prossimi tre mesi a venire. Vostra moglie e la vostra progenie sarà sottoposta a visite da parte dei medici Shinobi e di Palazzo di grande fiducia, per attestare la loro “reale forma”. Rapporti verranno stilati in merito a tale questione, che ufficialmente sarà archiviata come una leggera forma di “anemia”.» Dondolò ancora indietro, inclinando la schiena pericolosamente, tirando e toccando nervosamente i pendenti del cuscino di piume, che tirò dietro a sé come fosse un bambino poco amante delle formalità. Dopo qualche attimo, annuì nuovamente. «A discrezione dei verbali ricevuti voi e i vostri stretti conoscenti, compresi e non esclusi dunque i tre membri della vostra famiglia, potreste essere soggetti a controlli periodici ripetuti nel corso dei mesi a venire.» E riportandosi calato in avanti scosse la testa. «Questo è ciò che posso fare per voi, Itai-sama... per poter confermare il vostro titolo di Mizukage, accettate?»




     
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