Perché non c'è altro posto a cui appartengo

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  1. Arashi Hime
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    «Non mi sembra che stiate accettando la punizione “di buon grado” se continuate a lamentarvi.»


    C'era in Tarou Kiriyama quel genere di presunzione tipica di ogni nobile.
    Dai membri dei grandi Clan, agli eredi delle ricche famiglie aristocratiche, l'esigenza di non sentirsi contraddire rappresentava una componente non trascurabile, ma in molti casi essenziale, della personalità. Proprio in nome di questo, difficilmente il Daimyo del Paese dell'Acqua avrebbe permesso a qualcuno di opporsi a lui, soprattutto ad un semplice ninja, niente più che l'appannaggio di un'esigenza marziale più silenziosa e discreta di quella ufficiale e degna, tipica cioè del complotto e della menzogna.
    Fortunatamente Tarou Kiriyama era un uomo ansioso, restio e insicuro, ragion per cui, anziché accentuare la condanna inflitta con un'incarcerazione per oltraggio, si limitò a manifestare il suo enorme disappunto unendo la bocca in un'espressione aspra.
    «Come può essere possibile che io non sia stato messo al corrente di simili sviluppi, quando sono la più alta autorità in questo Paese?» Una domanda lecita, forse un po' troppo. «Ninja estranei conoscono la situazione, quand'io ho tenuto discrezione persino con il mio stesso figlio ed erede. Mi dite di tradimenti, incursioni e missioni imminenti di cui nessuno ha stilato rapporto e di cui non ho avuto modo di saper nulla.» Per quanto poco incline al suo ruolo il Daimyo fosse, era certamente indubbio che la sua posizione gli permetteva, e imponeva il dovere, di essere al corrente di tutto ciò che accadeva, che lui lo volesse o meno. Che egli fosse considerato un uomo di scarsa inclinazione era irrilevante se paragonato ai suoi obblighi, come gli attendenti incaricati di leggere lui ogni documento giornalmente, testimoniavano. Che dunque niente di tutto ciò fosse arrivato al suo orecchio, era senza dubbio oltraggioso.
    Muovendosi nervosamente sul posto, ondeggiando pericolosamente all'indietro fino a quando non diede l'impressione di cadere, l'uomo rimase a quel punto in silenzio per diverso tempo. La schiena inclinata, gli occhi chiusi e le mani raccolte in grembo, instancabilmente alla ricerca l'una dell'altra, davano di lui l'impressione di un piccolo buddha di carne e ossa. Fu solo dopo quella lunga pausa di riflessione che, finalmente, l'uomo si riportò seduto in modo corretto e annuì.
    Adesso nella sua espressione vi era una quiete maggiore, come testimoniò il suo sorriso placido e l'espressione di serenità smaccatamente tranquilla.
    «Capisco le priorità di un Paese quando vengo messo di fronte ad esse.» Esordì, ditanziando le mani che si posarono ognuna sul proprio ginocchio corrispondente. «Per quanto poco io possa intendermi di questioni del mondo di cui voi fate parte, Itai-sama, comprendo l'urgenza di una simile questione. Eppur tuttavia non posso trattare la vostra punizione.» Dire quelle parole sembrava metterlo a disagio in un modo particolare, come se sapesse con certezza assoluta che fossero quelle giuste, ma dopotutto si sentisse in imbarazzo a pronunciarle. Vi era in effetti, in quell'uomo, una sorta di binomio caratteriale certe volte addirittura preoccupante. «Mantengo l'ordine della vostra presenza a Kiri per tre mesi, le visite periodiche della vostra famiglia e di voi stesso, e mi permetto di aggiungere vostri rapporti mensili firmati e sottoscritti cosicché tale incresciosa situazione, quale quella che mi vede ignorante delle stesse vicende del mio Paese, non accada più...ma Avrebbe alzato una mano per mettere a tacere ogni tentativo di replica del Jonin, o semplicemente per darsi un'aria più solenne di quanta probabilmente la situazione gli attribuiva. «Concederò voi, Itai-sama, un permesso speciale per dirigervi laddove tale Seinji Akuma, e suo fratello, si trovano. Solo lì e in nessun altro luogo, pertanto per quanto riguarda l'organizzazione che suppongo vi serva, prendete provvedimenti nell'ambito del vostro Villaggio. Vi permetterò inoltre di creare il vostro gruppo, composto da membri fidati di cui pretendo di conoscere l'identità e, a mia discrezione, anche la loro persona. Stilerete un rapporto, e di ritorno continuerete la vostra pena.» Si dondolò un altro po' sul posto, sospirando sonoramente come un corno rotto alla base. A quanto pareva non aveva intenzione di controllare i documenti offerti lui, quasi non gli interessasse. «Una penna, avete detto?» Disse poi, esitando perplesso. «Non possiedo simili stramberie, ma sarò ben lieto di offrirvi un calamaio e una piuma.» E così dicendo, voltandosi verso il paravento e rovistando qui e là tra le sete pregiate che di fronte ad esso sostavano, estrasse una boccetta di inchiostro nero come la pece e una lunga piuma di pavone. «Sono sicuro che ci troveremo bene a collaborare... Mizukage-sama»




     
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