Un messaggio dalla Nebbia

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    Il trono di spade








    Raizen fu la goccia che fece traboccare più di un vaso, non poteva nascondere una certa soddisfazione, anche se Sojobo riuscì a lasciarlo senza parole, più o meno nella stessa maniera in cui lo lasciò senza parole Atasuke con i suoi vestiti.

    Incredibile, ma non basta un postino laureato in lettere e dizione, se me li metti in rima sarò davvero sbalordito!

    Disse con tono di sfida per poi voltarsi verso Atasuke, del tutto insoddisfatto dalla sua reazione.

    Accidenti, te lo ha insegnato qualche amichetto all’asilo a dire queste cosacce alle persone?

    Alzò gli occhi al cielo come se reclamasse qualcosa di più

    Puzza di pesce… dio mio non vale manco la pena tentarci.
    E poi ti informo che la signorina qui è addetta alla cura della mia immagine, non penso si lascerebbe sfuggire un dettaglio come la puzza.


    Rinuncia, il livello è basso, e quel tizio con un albero maestro sulla faccia è così vecchio che non si è accorto che il medioevo è passato da un pezzo

    Come preannunciato non lanciò altre frecciatine, anche perché pareva che gli dei avessero ascoltato la sua piccola preghiera e avessero slegato la lingua di Shizuka.

    Ah si, e lei è il mio avvocato.

    Disse ponendo un punto conclusivo alla perfetta arringa della sua allieva, chiamata così per abitudine dato che in quel campo di certo il Colosso non poteva rivaleggiare con lei.

    Sojobo, rilassati!
    Nonostante ora abbia un grazioso cappellino blu Itai resta pur sempre Itai, e ancora nessuno mi ha ringraziato come gli dei comandano, per cui magari togliamoci il bastone dal culo e tutta quest’aria pomposa che non serve ad un fico secco darsi del lei quando si condividono certe esperienze.


    Poi battè la mani, ricordandosi della proposta di Atasuke.

    Per cui, maggiordomo, fai gli onori di casa, portaci in questa topaia!

    Un poco convinto Atasuke li scortò quindi fino alla sala interrogatori in un dedalo di corridoi e rampe che Raizen iniziava a trovare assurdo, non riusciva a trovare il senso di quell’intricata struttura, ma soprattutto perché la si doveva fare sotto terra?
    Senza dare troppo peso alla sua curiosità continuò ad andare avanti, reagendo alla richiesta di Shizuka con un semplice movimento del braccio che portò la sua mano ad afferrare tutti gli strati di vestiti che si portava addosso, una presa sufficientemente salda gli permise di alzarla di peso e farla aderire alla propria schiena che irrorata di chakra adesivo avrebbe reso la Kunoichi un perfetto zainetto.

    Ti stai portando appresso tutta la ditta dei Kobayashi?

    Commentò constatando il suo peso.

    La ragazza qui non è più un problema, possiamo muoverci un secondo più rapidi o dobbiamo proprio procedere a marcia funebre?

    Il consiglio venne eseguito e presto furono nella tanto decantata sala degli interrogatori e dopo un rapido sguardo all’arredamento spartano si rese conto che non c’era alcun tipo di sedia per la sua regale persona, dopotutto quel giorno aveva scelto di vestire un ruolo, e l’avrebbe fatto.
    Avrebbe infatti iniziato a sedersi nel vuoto quando dal nulla sarebbe comparso un gigantesco scranno, in realtà un clone creato sfruttando la Henge, aveva già visto di quelle pompose sedute per cui non gli fu difficile riprodurne le fattezze, anche se trovava troppo pomposi e poco adatti al titolo di generale quelli che ricordava. Quello che comparve sotto il Colosso era un trono personalizzato, composto da una miriade di lame che in corrispondenza della seduta, dello schienale e dei braccioli si appiattivano in modo da non ferirlo: un trono di spade.
    Quello era qualcosa degno di lui, non una robetta luccicante d’oro per le chiappine lisce e levigate di un daimyo: uno scranno così modesto che una volta seduto svettava sulla testa del Colosso di qualche decina di affilatissimi centimetri.
    Avrebbe quindi poggiato il gomito sul bracciolo per far trovare alla testa un comodo trespolo su cui adagiarsi, per poi rivolgersi al tengu.

    Bene, direi che ora si può cominciare.

    No, lascia perdere, tanto ormai non ci ricavi nulla quando apre bocca si scava la fossa da solo.

    Fece una piccola smorfia d’accondiscendenza alla volpe, che essendo condivisa in un mondo a loro del tutto sconosciuto non potettero vedere, ed ascoltando i consigli tenne le freccette nella faretra, ed evitando con un processo simile al suo di fare per Atasuke un cavallino a dondolo rosa.

    E per favore Sojobo, avrai notato che odio le formalità anche perché non le conosco, per cui limitiamoci ad un normale scambio di informazioni e mettiamo da parte questa stressante etichetta, sarà meglio per tutti.

    Conclusa la frase un austero velo cadde sugli scherzi e sul viso del Colosso, non ne aveva certamente cancellato il suo spirito canzonatorio e fastidioso, ma di sicuro lo aveva allontanato abbastanza da mutare il suo volto in una maschera di composta serietà, che pur non essendo a conoscenza dell’etichetta era in grado di discernere, seppur non con estrema accuratezza, i momenti in cui gli era possibile infastidire il prossimo ed i momenti in cui era necessario assecondare i ritmi di cui alcune situazioni necessitavano.
    Si mise addirittura composto a sedere, lo scranno restava, dando un tocco assurdo a quell’aria ora così seria.
    Aveva un ruolo, doveva vestirlo bene.

    A te la parola quindi.

    Una voce seria e profonda, limpida e scandita, quasi marziale.

     
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