Un messaggio dalla Nebbia

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    I N S I N U A T I O N:
    The only limit to our realization of tomorrow will be our doubts of today.

    Shizuka Kobayashi's doubt.




    divisore





    «Shizuka Kobayashi, hai conosciuto il Mizukage tempo fa, ed ha pensato a te per questa missione.»



    Ferma al suo posto, la ragazza accolse quelle parole in silenzio. I suoi grandi occhi verdi, per un istante, tradirono una certa perplessità incurvandosi in un'espressione dubbiosa.
    «Io cosa?» Disse alla fine, non riuscendo a trattenersi. «Quando mai avrei conosciuto...» Si interruppe, esitando, e per un attimo cercò di riflettere.
    Era senz'altro indubbio che Shizuka Kobayashi conoscesse molte alte cariche, che aveva l'onore e il grande vantaggio di poter incontrare come “Principessa”... ma nient'altro che questo, appunto. La sua carriera shinobi, invero non sfolgorante e degna come quella da mercante, in cui eccelleva in maniera impareggiabile, non veniva mai nominata giacché spesso gli interlocutori, in gran parte importanti Daimyo o nobili di casate aristocratiche, ne provavano sdegno.
    Non andava a Kiri da troppo tempo: abbastanza da essere sicura di non conoscere il nuovo Mizukage, instaurato da appena due anni, e altrettanto da non sapere neanche chi fosse chi lo precedeva, un tale che suo padre e suo cugino Akihito –a capo della dislocazione del Paese dell'Acqua– avevano descritto lei come un personaggio dubbio, fissato con coccodrilli e scheletri e dunque poco incline al buon gusto. In effetti nel periodo della sua instaurazione era stato difficile fare affari con il Palazzo, una bella perdita visto quanto invece avevano guadagnato dalla kage ancora precedente, una donna incline alla spesa in modo particolarmente interessante.
    In poche parole, se avesse conosciuto una persona così influente non avrebbe potuto dimenticarlo, quantomeno per i vantaggi che poteva ottenerne; una cosa che, con Shizuka Kobayashi, non era irrilevante. Chi le dava profitto non perdeva mai di attenzione ai suoi occhi, indipendentemente da chi fosse.
    «Temo che ci sia un errore, okyakusan.» Disse a quel punto la ragazza, in modo abbastanza imbarazzato. «Non ho mai avuto il piacere di incontrare il Mizukage, e vi garantisco che il nome di “Itai Nara”...» Che poi “Nara” non era un cognome di Konoha? Che diavolo...? «...non mi dice assolutamente niente.» Sorrise, a disagio. «Purtroppo non so come sia possibile che il vostro padrone mi conosca, ma posso assicurare di non avere le qualità per partecipare ad una simile missione, purtroppo non possiedo la prestanza fisica di Raizen Ikigami e neanche i vantaggi di un'abilità innata come quella di Atasuke Uchiha.» Disse, e neanche per un istante la sua voce vacillò sulla menzogna. Niente di cui stupirsi, Shizuka non si affidava quasi mai al suo Sharingan durante una missione, se non quando la situazione lo richiedeva disperatamente e, più in generale, quando aveva la certezza di uccidere chi aveva di fronte, così da non lasciare tracce, il che spiegava perché nessuno sapesse dei suoi occhi se non pochi nella stessa Konoha. «Non ho niente che vi possa essere utile.» Sentenziò, lasciando poco spazio alle obiezioni. Non aveva nessuna intenzione di partecipare ad una scemenza di quella portata, rischiando per nessuna ragione apprezzabile, e non aveva neanche intenzione di spiegare quali fossero le sue capacità o meno in una circostanza come quella, di fronte ad una creatura che non conosceva. C'erano troppe cose senza senso nella spiegazione di quella bestia... e proprio non riusciva a capire come potessero gli altri ascoltare con così tanta tranquillità. Suo malgrado la ragazza seppe che non sarebbe riuscita a trattenersi quando la sua mano si sollevò sul rotolo aperto che giaceva sul tavolo che la divideva dal Tengu, e su cui lei posò un dito, cerchiando silenziosamente il nome del Mizukage. La sua mano era curata, elegante, e lo smalto rosato brillava alla luce della lampadina. «E poi, perdonate la mia avventatezza... perché spostare così tante persone per una sola?» Domandò e la sua voce si era fatta affilata. Non vi era curiosità in lei, ma dubbio. «Per quanto un Nukenin di livello B possa essere una "minaccia di un certo rilievo", mi risulta impensabile che il Mizukage da solo non riesca a schiacciarlo.» Insinuò, ironica. «Sono colpita dall'altruismo del vostro padrone che si preoccupa così tanto per gli altri gakure, ma capirete che un solo ninja, per quanto pericoloso, se si muove da solo contro un intero villaggio o, più in generale, contro l'alleanza accademica, è nient'altro che un parassita.» Riportò i suoi occhi sul quelli del tengu e tacque per un breve istante. «Mi viene da pensare che ci sia dell'altro.» Disse alla fine, ma anche stavolta non era un'accusa, ma un'osservazione. Non aveva interesse a colpevolizzare, perché non ne avrebbe ricavato niente. Come sempre Shizuka Kobayashi si muoveva per interesse, era affilata, acuta e soprattutto intelligente. La consapevolezza di sé l'aveva resa osservatrice e saggia come solo una donna in un mondo di uomini di gran lunga più potenti poteva esserlo. «Seinji Akuma ha il vantaggio di qualcosa che lo rende realmente una minaccia di questa portata? Si appoggia a qualche associazione terroristica, forse?» Domandò a quel punto con noncuranza, quasi per caso, infrangendo il silenzio che si era venuto a creare. «...Kurotempi, per esempio?» Ipotizzò senza interesse. Eppure, per quanto ella fosse un'attrice di magistrale bravura, impareggiabile nel suo ruolo da infiltrata e muta-volto, la sua voce tremò. Solo per un istante il suo viso, disteso e attento, ebbe l'intenzione di perdersi in un'espressione di cui nessuno riuscì a vedere i lineamenti, ma che poco aveva a che spartire con la calma ostentata. Un secondo dopo, di tutto quello, non c'era più traccia. «Questa situazione, ahimé, mi sembra descritta in modo più grosso di quanto in realtà non sia, e le cose poco chiare non mi sono mai piaciute. Non ne provo interesse. Voi capirete, spero bene.» Disse, sorridendo nuovamente e ritraendo la mano.
    Aveva molte altre cose da chiedere e dubbi su cui avrebbe voluto far leva, ma non vide la necessità di mettere troppe informazioni sul tavolo della trattativa, sempre che di trattativa si trattasse. Aveva tutto il tempo che voleva e, con il tempo, aveva imparato che si può ricavare di più con piccoli bocconi che con grandi banchetti.


    divisore




     
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