Un messaggio dalla Nebbia

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    S T O P A N D S T A R E:
    Pursue one great decisive aim with force and determination.

    Shizuka Kobayashi's aim.




    divisore





    Si sentì come quei fedeli che vengono sorpresi dall'ultimo gong dell'anno presso il proprio tempio di fiducia senza aver ancora pregato per il buon auspicio.
    Come un soufflé al matcha che si affloscia appena fuori dal forno in pietra.
    Come un pianeta lontano che, a cause di forze universali, implode e poi esplode su se stesso.

    Shizuka Kobayashi, immobile al suo posto con la carta rappresentate il volto di un giovane uomo stretta tra le mani, si sentì come tutte queste cose insieme. E forse molte più.
    Per un istante parve estremamente estraniata: Itai Nara, un belloccio dai capelli biondi e gli occhi chiari, le stava infatti occhieggiando dalla carta offerta da Atasuke, inducendo in lei la vaga sensazione di essere una povera idiota.
    [...] Aah... quei lineamenti gentili, l'espressione dolce, il modo che aveva di inarcare le sopracciglia...
    ...aveva sempre pensato che fosse un uomo davvero bellissimo quello che aveva incontrato quella volta. Anche troppo, in effetti. Aveva trovato strano il suo non averlo mai stalkerato per le vie del villaggio, tanto che aveva addirittura sospirato di sollievo quando si era resa conto che era uno straniero. E la gioia non aveva potuto che aumentare quando aveva indovinato ch'egli non si doveva proprio trovare a Konoha, come aveva dimostrato con il suo atteggiamento diffidente e cauto.
    Al tempo non aveva poi fatto troppo caso alla circostanza e aveva semplicemente offerto lui la protezione della sua famiglia quasi più per abitudine che per altro, non era del resto una novità che Shizuka avesse legami non proprio legali nel mondo Shinobi... e no, mai per un attimo si era chiesta perché lui sembrasse così desideroso di non rivelarle il suo nome o di palesare la sua presenza ad altre persone. Anche lei, del resto, ne aveva molte di anomalie.
    Sorrise piatta, reclinando leggermente la testa di lato.
    Già. Adesso capiva. Capiva tutto.
    Alzandosi di scatto la ragazza strinse d'impulso la carta raffigurante il volto dell'uomo, che non poteva essere poi troppo più grande di lei dopotutto –osservò istantaneamente in quel momento–, e con un gesto secco la spezzò a metà, sollevando poi i pezzi in ambo le mani, urlando come fosse impazzita.
    «ERA IL DANNATO MIZUKAGE!» Ruggì, furiosa. «...ED E' SPOSATO CON DUE FIGLIE, DANNAZIONE!» Aggiunse, allibita, lanciando in aria le altre tre cartine magiche. Adesso si che la situazione era tragica... aveva fantasticato su un uomo sposato.
    […] Bene. Gli Dei l'avrebbero punita.
    Il karma l'avrebbe ripagata con la stessa moneta. O con una moneta peggiore. O nessuna moneta, addirittura.
    Forse sarebbe morta o forse, molto peggio, si sarebbe sposata anche lei.
    Per un istante l'immagine della lettera di Akihiro che aveva riposto nell'obi perché non andasse persa la colpì come una freccia alla tempia, facendola impallidire.
    «NON E' DIVERTENTE!» Sbottò, guardando Sojobo, e iniziò ad unire i due pezzi della carta ninja di fronte al becco della creatura con fare disperato, ripetendo l'operazione più e più volte. Che fine avessero fatto i suoi buoni propositi d'etichetta era un mistero. «E' SPOSATO CON DUE FIGLIE!» Ripeté, quasi quella fosse la cosa più importante, poi, per paura di essere effettivamente troppo sospetta, aggiunse: «MIZUKAGE!» Così, giusto per.
    ...Cosa poteva fare a quel punto? Cosa?
    Ah. L'avrebbe picchiato. Santi Numi quanto l'avrebbe colpito. Sulla testa, sul torace, e anche altrove (alle gambe, ovviamente).
    Lo avrebbe ridotto un grumo di sangue e dopo avrebbe riso con le mani sui fianchi e lo sguardo alto al cielo. Certo.
    Questo era il piano migliore.
    «Non avrei smoccicato sul suo mantello se solo avessi saputo...» Gemette a quel punto la ragazza, pungolata d'improvviso dal ricordo di come si era indebitamente asciugata il naso al manto dello straniero. Rabbrividì. «Il mantello del Mizukage...» Singhiozzò, portandosi le mani al viso, ma si destò da quella depressione appena un secondo dopo, mostrandosi ora sinceramente allibita. «...e che brutto mantello, maledizione.» Stridette, sconvolta. I suoi cambi d'umore erano piuttosto preoccupanti. «Come diavolo fa un Mizukage a vestire così male?» E così dicendo guardò insensatamente le carte della moglie e delle figlie di lui, sorridendo quasi per istinto. «Eppure loro sono così belle...» A quanto pareva era evidente di come la pensasse Shizuka Kobayashi su chi comanda in una famiglia: la donna.

    A quel punto, comunque sia, la situazione prese a degenerare, e non tanto perché la ragazza si accasciò sul tavolo delle interrogazioni, sbattendo la fronte sul ripiano per punirsi di qualcosa che non aveva nessuna intenzione di dire a nessuno (misteri), quanto piuttosto perché, d'improvviso, parve che i suoi due amici avessero ben deciso di accettare l'incarico.
    Di accettare quell'incarico del diavolo.
    «Siete diventati pazzi?» Esclamò infatti la donna, rialzando lo sguardo verso i due. La fronte era arrossata come quella di una bambina. «Avete davvero intenzione di partecipare a questa farsa? Vi rendete conto, spero, che tutto questo non ha assolutamente senso.» E così dicendo afferrò la carta che raffigurava il volto della bambina del Mizukage che, senza preoccuparsi troppo, lanciò addosso ad Atasuke. «Si muove da solo contro l'accademia. Non è importante se il suo obiettivo è riportare in auge antiche tradizioni o far fuori chi non rispecchia il suo personalissimo rigore di perfezione, gente come lui viene schiacciata senza pietà, e lo sapete bene.» Disse, cominciando lentamente a riacquistare la serietà del caso. Non sembrava non aver capito l'intenzione dell'Uchiha di stuzzicare la sua premura, ma dimostrava di non interessarsene comunque: lei era una bastarda, una “non pura” al pari di quella bambina e, probabilmente più di lei, lo era nel modo più esemplare possibile. Chi metteva al mondo un figlio con qualcuno non del proprio sangue doveva essere pronto all'eventualità di avere di fronte a sé una vita di ansia e perpetua difficoltà. Era compito di quell'Itai proteggere sua figlia, non certo il suo. «I “se” non costruiscono la realtà, ma l'indecisione.» Continuò, ritornando a guardare Sojobo e tutte le sue possibili eventualità «E io odio questo genere di precarietà. Per quel che mi riguarda, sono fuori.» Tagliò corto, e sventolando una mano di fronte al viso fece il gesto di sedersi nuovamente. Benché la faccenda non le interessasse non era una persona maleducata e, dopotutto, avrebbe aspettato che tutti terminassero di discutere circa quella follia, prima di tornare a casa a riposare.
    Quella giornata era iniziata da schifo, meglio stare ferma in un solo posto, al sicuro, per evitare che terminasse ancora peggio.

    “Shizuka-san, non mentire riguardo le tue capacità: sei un Chunin di Konoha stando a quanto noto. Non avrai gli occhi di Atasuke, non avrai la forza di Raizen... Ma il Mizukage ricorda che quando non hai saputo proteggere qualcosa, hai sofferto. La logica reazione di una Kunochi sarebbe rialzarsi e continuare a proteggere il Villaggio: allora, Kobayashi-san, proteggerai Konoha?”



    Si bloccò.
    Ancora intenta a lisciarsi i lembi del suo pregevole kimono così da potersi sedere senza danno, la ragazza si fermò. Le sue mani, per un attimo, rimasero sospese nel vuoto e lei, facendosi rigida, non rispose.
    Rimase così, ferma e in silenzio, per un lungo istante, abbastanza prolungato da indurre il dubbio nei presenti che non avesse neppure sentito, ma troppo breve perché quando ella rialzasse lo sguardo in quello della creatura il suo sguardo non rivelasse un'espressione di pura ferocia. I suoi occhi verdi, grandi e profondi, erano ora più scuri. Una sfumatura d'oscurità che metteva i brividi.
    «Chiudi quella bocca, bestia.» Ordinò, e non sembrò a quel punto più curarsi delle formalità, dell'attenzione all'etichetta o persino del rispetto per quella creatura. Il suo volto, adesso, era una maschera di rabbia. «Il tuo Mizukage parla molto a quanto vedo.» Sibilò, gelida, riportandosi lentamente in eretta postura. Dell'espressione bonaria e divertente di poco prima non c'era più traccia. «Dovrei fare altrettanto, forse?» Insinuò, ironica.
    Itai “Nara” non ci voleva un genio per immaginare come un Nara potesse trovarsi in un villaggio diverso da quello d'origine, giacché non esistevano omonimi nelle terre conosciute. Oppure avrebbe potuto sciorinare le confidenze ch'egli le aveva fatto quella notte, o peggio, affilarle abbastanza da renderle il suo nuovo divertimento.
    Immobile al suo posto, la ragazza reclinò leggermente la testa all'indietro, poi sorrise, tagliente.
    «Sono morta per Konoha.» Disse seccamente. «Mi sono aperta in due come la preda che ero e ho sentito la vita abbandonarmi per impedire, poi fallendo, che accadesse quello che il tuo padrone ha inutilmente cercato di farmi credere non fosse stata colpa mia.» Serpeggiò, glaciale. «Proteggerò per sempre questo Villaggio perché io nasco e vivo solo per Konoha. Questa è la mia casa, la casa delle persone che amo, della mia famiglia e dei miei concittadini, e sono pronta a perdere un pezzo dopo l'altro di questo corpo immondo che gli Dei mi hanno dato per riuscirci... non c'è in me nessun tipo di compromesso, non esiste cosa che io non possa fare per Konoha, non c'è persona che io non possa avvicinare o alleanze che io non possa essere in grado di stringere.» Avvicinandosi lentamente al volto del Tengu, sporgendosi sul tavolo, la ragazza sorrise, gelida. Scura come la notte, ma accecante come la luce di cui era l'ombra. «Dì al tuo padrone di continuare a sedere sul suo trono di giustizia ostentata e di rigore canonico. Immagino che un Kage debba sforzarsi di fare sempre la cosa giusta... io, invece, agisco per proteggere questo baraccone facendo ciò che il tuo padrone non farà mai, quindi no, non ti puoi permettere di parlarmi in questi termini. Chiudi la bocca, e quando tornerai a casa, chiudila anche al tuo Mizukage.» A quel punto si ritrasse, lanciando un'occhiata a Raizen. La sua espressione era già tornata alla normalità a quel punto e lei poté dunque sorridere con tranquillità, come se tutto ciò che avesse appena detto non fosse che un discorso fatto da altri. «Se vai tu vengo anche io.» Si limitò a dire a quel punto, e non perché la sua idea fosse cambiata in merito a quella missione del diavolo, ma semplicemente perché, ad una più attenta analisi, c'era qualcosa che poteva prendere da quella circostanza così folle... e poi, con quel Jinchuuriki pazzo al fianco, era abbastanza sicura che si sarebbe divertita. Una gita, insomma. Un'allegra e divertente scampagnata, niente di più, niente di meno.
    Shizuka Kobayashi era un'infiltrata esperta in raccolta d'informazioni. Agiva da sola e i gruppi di persone le stavano stretti. L'unica persona di cui accettava la presenza, visto l'affiatamento indubbio che rendeva inutile anche il solo parlare, era infatti quella di Raizen...
    ...e l'idea di loro due in un villaggio di Nukenin, era piuttosto interessante, in effetti.
    «Non devo niente al tuo Mizukage, nè obbedienza nè fedeltà.» Riprese a dire la donna, voltandosi con sarcasmo verso Sojobo. «Verrò perché adesso mi sembra divertente, non perché è lui a chiedermelo. Se pensa di avermi già come alleata si sbaglia di grosso, essere compagni prevede del rispetto reciproco e lui dovrà guadagnarselo come io dovrò guadagnarmi il suo. Piangere di fronte a qualche tomba confessandosi le più oscure piaghe del proprio animo come due ragazzine dal cuore spezzato non ci rende compagni, ci rende due deficienti con un numero indegno di morti sulle spalle.» E così dicendo, sorrise. «Riferisci anche questo al tuo padrone, mi raccomando... temo che lui si sia fatto un'idea un po' sbagliata di chi è Shizuka Kobayashi: io agisco solo nell'interesse mio e del mio villaggio, facendo solo ed esclusivamente ciò che reputo giusto.»

    Ed era vero.


    divisore




     
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