Hankachi-Otoshi

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    STORY OF...

    There's so much grey to every story - nothing is so black and white.




    Più che trovare "qualche indizio", dentro la baracca Atasuke Uchiha trovò un esplicito invito. Ed era chiaramente rivolto a lui.
    Effettivamente se all'esterno nessuna delle sue ricerche ebbe alcun risultato se non quello di fargli perdere tempo come aveva temuto, al momento di aprire la porta dell'edificio abbandonato il Chunin si ritrovò di fronte... una specie di allestimento da parata. O almeno quello era il modo più chiaro per definirlo, anche se risultava difficile capire agli effetti cosa fosse quella roba.
    Praticamente accadeva che sul muro opposto a quello da cui lo Shinobi entrò, ci fosse un'altra porta scorrevole di riso. Questa, bucata in più punti e vecchia di almeno una decina di anni, era stata decorata minuziosamente con disegnini ritagliati a forma di cuoricini, stelline e adorabili animaletti storpi che sembravano essere appena usciti da un laboratorio di esperimenti genetici (ma che presumibilmente erano dei draghi). Drappi di stoffa color rosa caramella pendevano da ogni direzione, incorniciando l'uscio reso brillantinoso da una quantità immensa di quella gelatina tanto in voga tra i bambini, una specie di pastrucchiume colorato che prometteva di rimanere luminoso per ben tre giorni (come testimoniavano le quattro scatoline del prodotto abbandonate a terra). C'era persino un vaso di fiori (di carta), un secchio (rotto) pieno di caramelle, e un peluche (scucito) a forma di volpe.
    Poi, in mezzo a quel pacchiume abbastanza preoccupante, vi era un cartello scritto a mano con una calligrafia pendente a sinistra:

    ATTENZIONE! ATTENZIONE!
    P E R I C O L O S I S S I M O!
    ACCESSO VIETATO! PER SEMPRE!



    E subito sotto un altro cartello, scritto con una mano che invece pendeva a destra:

    PUO' ENTRARE SOLO SE IL NOME INIZIA PER “A” E FINISCE PER “E”
    E IN MEZZO C'E' “TASUK”
    E POI E' ANCHE UN DRAGO
    ALLORA PUO' ENTRARE
    ECCO



    […] Era abbastanza evidente di chi si stesse parlando.

    Qualora il giovane Uchiha si fosse avvicinato per controllare meglio, forse ormai reso paranoico da quella serie di attacchi e incongruenze degne della peggiore delle barzellette, sul parquet, ormai graffiato e seccato dal tempo e dall'incuria, avrebbe trovato un'altra scritta:

    “Uno dentro.
    Uno fuori.
    Più di uno, causa la fine.
    Nessuno, porta alla morte.”



    Era scritto con tempera colorata, e non ci sarebbe voluto chissà quale genio per riconoscere nella stessa quella che era stata utilizzata per lanciare i messaggi a Konoha. Gli stessi messaggi, ora, che erano divenuti un po' più comprensibili.
    Era evidente che per qualche ragione il creatore di quella situazione volesse adesso rendere più facile il percorso alla sua vittima, quasi sperasse che questa facesse qualcosa in particolare. E c'erano poche possibilità di sbagliarsi su cosa fosse quel qualcosa.
    […] La porta svettava di fronte ad Atasuke Uchiha, consunta e rovinata, ma pur sempre l'unico posto in cui potersi dirigere giacché, come avrebbe scoperto il Chunin se anche avesse perlustrato il locale, questo era composto solo da una cucina ormai arrugginita e distrutta, dalla grande sala in cui si trovava, un tempo forse adibita ad accogliere i clienti per i pasti, e da un piccolo ripostiglio pieno di ragni. Non c'era nient'altro.
    Dunque cosa fare?
    Entrare, da solo, lasciando lì Shizuka?
    Rimanere con lei?
    ...Scappare?
    C'erano molte possibilità tra le quali avrebbe potuto scegliere il ragazzo degli Uchiha, tutte ugualmente accessibili...
    ...o forse no?

    Poi, improvvisamente, qualcosa cominciò a scricchiolare e la porta di riso di fronte a cui i due shinobi si trovavano prese violentemente a vibrare, come se qualcuno la scuotesse.
    In un istante, la sala si riempì di risate infantili e la porta, sbattendo con irruenza, si aprì affacciandosi nel vuoto di un'oscurità totale da cui solo un forte vento iniziò a spirare con sempre crescente intensità.
    In appena una manciata di istanti la situazione precipitò.
    Se anche Atasuke avesse provato a spostare Shizuka dal punto in cui l'aveva cautamente posata perché riposasse, così da metterla ora al sicuro, si sarebbe accorto con orrore che non poteva muoverla. Era indifferente dove fosse stata appoggiata precedentemente, la superficie a contatto con il suo corpo non avrebbe lasciato andare la Principessa del Fuoco... e il motivo sarebbe stato ben presto chiaro: la materia informe che l'aveva colpita, bucandole la schiena e privandola di qualsiasi capacità, si stava rapidamente espandendo sul suo corpo, allargandosi attorno a lei come una tela di ragno che intrappola con sempre maggior ingordigia la sua preda. Ormai quasi tutta la schiena e parte delle gambe e delle spalle erano divorate da quella sostanza fiammeggiante...
    ...e il risultato era che lei, ansimando, sembrava febbricitante in modo sempre peggiore.
    Arrivati a quel punto cosa sarebbe accaduto? Che scelta avrebbe adottato Atasuke?
    Chiaramente solo una.
    Se anche il giovane ninja fosse corso indietro, cercando di aprire la porta dalla quale era entrato, forse intenzionato così a chiedere aiuto, si sarebbe accorto che questa non si sarebbe aperta. E neanche nessuna delle finestre.
    Certo, avrebbe potuto provare a spaccare tutto a mani nude, oppure usare una delle sue potenti tecniche per farsi strada, per cercare di ottenere egualmente il risultato voluto... o forse no?
    Difficile dirlo. Era tutto così assurdo!
    Qualora invece avesse deciso, risoluto nella disperazione di un momento fortemente insensato come quello, di entrare dentro la porta, si sarebbe accorto in appena un istante del grande errore che aveva compiuto, giacché in un solo secondo questa si sarebbe chiusa dietro di lui con uno scatto e di punto in bianco l'oscurità più totale l'avrebbe avvolto, impedendo lui i movimenti [Ingombro Grave][Genjutsu potenza 120]

    In un attimo fu l'oscurità.
    Fluida. Densa. Vischiosa. Soffocante.
    Il nero era quello della fine.
    Era il nero più totale.
    Il nero.

    “Molto tempo fa, esse vivevano assieme all'uomo.”



    Una voce nacque dal fischio del vento, ardente come fiamma ruggente, e quando una luce brillò in lontananza di fronte allo Shinobi, questa fu accecante come centinaia di migliaia di fiaccole accese, bianca come la più candida dei punti del Creato.

    “Esse erano creature votate alla bontà. Agivano per il bene e il bene era tutto ciò di cui avevano bisogno.”



    Improvvisamente l'oscurità che lo avvolgeva serpeggiò come un predatore e risalendo le gambe del giovane Chunin arrivò fino al suo viso, che avviluppò e dentro il quale entrò infiltrandosi negli occhi, nelle orecchie, nella bocca, nel naso...
    ...a nulla sarebbero valsi i suoi tentativi di opporsi, la sua ribellione. Era paralizzato. Incapace di reagire.
    Stava morendo. Era finito.
    Oppure no.
    In meno di un istante il senso di soffocamento claustrofobico che aveva impiantato quel pensiero nella sua mente si sciolse e Atasuke Uchiha, riaprendo gli occhi, si sarebbe ritrovato in una prateria splendida. Vasta molto più di qualunque altra avesse mai visto.
    In lontananza, in mezzo ad alberi da frutto carichi di prelibatezze e fiori dal profumo incantevole, vi era un piccolo villaggio.
    Qualcosa, laggiù, si muoveva. Correva.
    Rideva.

    “Al tempo, esse camminavano al fianco dell'uomo amandolo come avrebbero amato se stesse se fossero state creature egoiste e stolte.
    Devote al prossimo più di chiunque altro, felici di poter offrire il loro sapere a chi avevano deciso di servire, esse avevano abbandonato il Regno dei Cieli e si erano rese creture semplici, mutando in parte il loro aspetto perché potessero essere maggiormente accettate e decidendo dunque di vivere un'esistenza umile e di rendersi paghe della felicità che l'uomo a cui avevano dato tutto riusciva ad offrire loro.”



    Il villaggio era delizioso, costruito con piccoli tetti spioventi di legno, il quale sembrava quasi essersi naturalmente piegato alla richiesta di una voce dolce e lontana e non costretto dalla mano violenta della presunzione.
    I fiori, rampicanti e in pieno sboccio, non rovinavano nessuna delle piccole costruzioni sulle quali si avviluppavano, avvolgendo in un abbraccio variopinto le imposte colorate e gli ampi balconi in cui lanterne di riso chiare pendevano, ondeggianti al vento di un'eterna primavera.
    Vi erano ponti sospesi nel cielo, e sotto d'essi erano le nuvole che correvano, non le acque di fiumi o mari, eppure vi era anche un lago che splendeva sotto il riverbero di quel sole caldo e dolce, ed esso giaceva in una cavità gentile della terra, circondato da canneti alti e flessibili.
    Lì vi erano dei giovani uomini e delle giovani donne che giocavano, immersi fino alle ginocchia nei freschi flutti dello specchio d'acqua... assieme a piccole creature dalle lunghe orecchie lanugginose e dalle vaporose code color del miele.
    Mezze Volpi.

    “Esse amavano la vita con gli uomini.
    Loro non erano Dei. Non erano immortali. Non erano niente di tutto ciò che esse avevano seguito in centinaia di secoli di storia.
    Eppure, erano amati come mai nessun altro prima di loro avrebbe potuto esserlo e come mai nessuno lo sarebbe potuto essere dopo.
    Esse davano all'uomo tutto, benedicendo ogni secondo passato con lui, consce che avrebbe potuto essere l'ultimo per la brevità della sua piccola vita...e l'uomo stesso, puro e candido come qualsiasi creatura all'alba della sua evoluzione, le amava con la sincerità di un bambino che ha appena imparato a camminare con i propri piedi.

    Gli uomini e le Kitsune si amavano.
    ...Ma questo sarebbe cambiato presto.”



    Improvvisamente lo scenario cambiò e prima ancora che Atasuke potesse dire o fare qualcosa il villaggio che aveva riempito i suoi occhi con colori splendidi, le sue orecchie con risate cristalline e il suo naso con profumi deliziosi... era in fiamme.
    Alti roghi si alzavano ovunque e adesso l'unica cosa che riempiva l'aria era il fumo di carne bruciata e legno carbonizzato. Le urla disperate di chi chiedeva pietà e di chi invece la salvezza si issavano come tuoni in una tempesta, infrangendo il caos con un'acutezza terrorizzata. Corpi senza vita di Kitsune, alcune in forma di volpe completa e altre in parte uomini e in parte animale, giacevano a terra, riverse in posizioni innaturali, dilaniate, trafitte, violate nel peggiore dei modi.
    E fu allora, quando quell'orrore senza nome stordì l'Uchiha come forse mai nessun'altra cosa era riuscita a fare, che qualcosa schizzò dalle sue spalle: frecce. Una pioggia di frecce.
    Girandosi, il ragazzo l'avrebbe visto, e ne sarebbe rimasto sconvolto.
    Sconvolto, certo. Perché ciò che vide non fu solo l'attacco a quel villaggio. Ma una guerra ben più ampia. Un piano molto più vasto. Scoordinato. Mal organizzato.
    La Prima Guerra Shinobi.

    “Ma l'uomo imparò presto a camminare. E poi a correre.
    A correre nella direzione sbagliata.
    Egli imparò a bramare tutto ciò che non gli apparteneva: la vita, i territori, la felicità e la ricchezza altrui.
    E soprattutto il potere. Di quello era ingordo come non mai.
    Sarebbe soffocato, pur di averne ancora.

    Gli uomini sbagliarono, al tempo.
    E continuarono a sbagliare...”



    In un istante un Fuuton, evocato apparentemente quasi per caso, come se il ninja che lo aveva richiamato non fosse neanche sicuro di come aveva fatto, travolse il giovane ninja, schiantandolo al suolo con una potenza soverchiante...
    ...e quando lui si fosse rialzato, se mai avesse trovato il coraggio di riaprire gli occhi, si sarebbe ritrovato di fronte ad un'altra guerra.
    Era diversa da quella prima, lo capì dalla maggior raffinatezza delle strategie e delle tecniche offensive. Difensive.
    Dal modo in cui la gente moriva. E qualcun'altro ne rideva.
    Dietro di lui, però, il villaggio delle Kitsune non esisteva più. Adesso vi erano solo alcune di loro, sole, che correvano, ricoperte di sangue e orrendamente mutilate, seguendo la direzione del braccio di uno o più Shinobi intenti a urlare ordini. A pretendere.
    A desiderare ancora, e ancora di più.
    Sempre di più.

    “...E a sbagliare...”



    Il Katon di potenza assolutamente maestosa che uscì dal muso di una delle Kitsune fu in grado di radere al suolo un'intera vallata, issandosi poi verso il cielo con un ruggito furioso, carico di odio, rabbia, disperazione, dolore, paura...
    ...e Atasuke, fermo in mezzo alle fiamme, incapace di scappare benché la sua pelle ardesse, il suo corpo si carbonizzasse e il suo cuore strillasse tutti quei sentimenti insieme, piegandolo sotto un flusso di strilla, suppliche e preghiere senza posa, di dissolse nel rosso vivo delle fiamme.
    Divenne scintilla. Poi vento.
    Poi, il niente.

    “L'uomo continuò a sbagliare ancora.
    Ma esse non sbagliarono più con lui.
    Figlie devote della bontà, serve della purezza, esse avevano sempre cercato di abbeverarsi dal ruscello della gentilezza, e solo chi era realmente candido e splendido nel suo essere cristallino, avrebbe potuto abbeverarsi con loro.
    Fu così che esse si allontanarono dall'uomo.
    Per sempre.”



    L'oscurità tornò ad avvolgerlo.
    La sua pelle ancora ardeva e il suo cuore pulsava, adesso, di un sentimento di rammarico, delusione e forte nostalgia... ma anche di rabbia, di sdegno.
    Provava orrore per l'essere umano. Vile creatura. Errore del creato.
    Odiava l'uomo. Lo odiava!
    Eppure, ancora, lo amava.
    E si sentiva stupido, per questo. Terribilmente. Perché sapeva che neanche morendo e rinascendo dieci, cento, mille volte, sarebbe riuscito a cambiare quel pensiero.
    Mai.

    “Esse, incapaci di tornare nel Regno dei Cieli che avevano abbandonato, poiché ormai divenute di carne e sangue, decisero di vivere su ciò che l'uomo chiamava “terra”, e protette da saperi antichi come il mondo, si protessero in un isolamento destinato all'eternità.
    Tradite. Umiliate. Ferite.
    Esse piangevano i tempi ormai passati. Odiavano ciò che era accaduto. Ma non potevano davvero disprezzare l'uomo.
    Esse, allora, attesero.”



    Lentamente il nero più assoluto in cui Atasuke annegava, abbandonato a flussi che cullavano il suo corpo in un vuoto privo di forma e dimensione, divenne progressivamente più chiaro, e come il fiore che si schiude al bacio del sole con dolcezza, una nuova immagine riempì la sua mente.
    Fu solo allora che il giovane Chunin si sarebbe reso conto che non c'era mai stata nessuna voce a parlargli. Vi erano state solo immagini.
    Solo ricordi.

    “Esse attesero che i tempi fossero maturi.
    Esse attesero che le domande avessero risposta.”



    E in quel momento, in quella circostanza di ovattamento totale che rendeva incapace il distinguere il sogno dalla realtà, delle lettere cominciarono a tracciarsi dentro di lui, imprimendosi sul suo animo come ricamate da un filo di trepidazione e speranza.

    “Cos'è l'uomo?
    Cos'è la bontà?
    Cos'è la cattiveria?”



    E poi, con lentezza strenua e caratteri di vento, apparve un'altra domanda:

    “Cos'è giusto?
    Cos'è sbagliato?”



    Cadde il silenzio.


    […Intanto, in un posto diverso...]




    «Abbiamo esagerato, Hari.»
      «Maa nee, Kitsu!! Lei era odiosa!!»
    «Siamo state ingiuste... lei non aveva fatto niente... e se morisse...?»
      «Ingiuste?! E' lei che sta sempre con Onii-chan!! E' cattiva!! Non è colpa nostra!! Tu menti!!»


    Due codine vaporose ondeggiavano a destra e a sinistra, con flemma ansiosa.
    Un paio di orecchie dalla punta chiara erano piegate indietro, spaventate.
    Altre, dalla punta nera, erano invece flesse in avanti, arrabbiate.

    «Potrebbe morire, Hari! Onii-chan ci odierebbe!»
      «Dovrebbe odiare lei!! E' nera!! Sacchan lo ha detto, nemmeno lei potrebbe curarla!!»
    «Non spetta a noi decidere! Potrebbe essere buona! Non possiamo sapere cosa farà! Non è giusto!»
      «Bugiarda!! Noi possiamo saperlo!!»


    Ci fu un piccolo parapiglia.
    Delle manine di bimbe si accapigliarono e ben presto le due codine si arricciarono le une alle altre mentre due piccoli corpi rotolavano sul pavimento, tirandosi i capelli e dandosi morsi su minute braccia scoperte dalla carnagione chiara.

    «Tocchan ha detto che se non glielo togliamo, arderà. Morirà!» Gemette di nuovo la prima delle vocine, ansiosa. «Morirà, Hari!»
    «Ho capito, Kitsu!!!»
    Strillò l'altra, arrabbiata. «Tocchan non mente mai...» Borbottò poi, offesa. «...quindi dobbiamo liberarla...»
    «Al mio tre, Hari?»
    «Al tuo tre, Kitsu!»


    Tre.
     
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17 replies since 22/3/2015, 21:07   1213 views
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