Hankachi-Otoshi

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    THROUGH

    A dream doesn't become reality through magic;
    it takes sweat, determination and hard work.




    «AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!!!!!!!!!!!!!!»



    Era bastato un solo secondo.
    Nel momento stesso in cui la massa di materia informe e infuocata era stata eliminata dalla schiena della Chunin, qualcosa alla base della nuca di lei si era illuminato. Il kanji di “Salvezza” si era diramato in ogni sua linea, allungandosi come le dita di una grande mano lungo tutto il corpo della kunoichi: girando due volte attorno al collo di lei e proseguendo poi lungo la schiena, separandosi su ciascun braccio e ambedue le gambe. In un istante, Shizuka Kobayashi aveva dunque riaperto gli occhi...
    ...e quello che si era ritrovata davanti l'aveva fatta scattare a sedere, stupita.
    Tutto ciò seguì, però, fu solo un'informe accozzaglia di grida terrorizzate.

    «E' VIVA, HARI!!»
      «SI E' GIA' RIPRESA, KITSU!!»
        «CHE CAZZO DI MUTAZIONE GENETICA SIETE, MALEDETTI GLI DEI?!»


    […] Non era poi troppo difficile capire a chi appartenessero le voci.

    «SIAMO NEI GUAI, HARI!!!»
      «NON DOVEVA CAPITARE, KITSU!!»
        «DOVE DANNAZIONE SONO?!?!»


    Da una parte della fatiscente sala da pranzo dell'edificio, vi era la Principessa dei Kobayashi, schiantata sul muro alle sue spalle, con una mano già all'elsa della sua nodachi e gli occhi sgranati in un'espressione sconvolta; dall'altra parte invece vi erano due piccole creaturine, apparentemente due bambine di circa cinque o sei anni, che saltellavano tenendosi abbracciate. Sui loro volti vi era il terrore più puro.
    La prima delle due aveva lunghissimi capelli color del sole, che scendevano morbidi e lisci lungo un corto kimono bianco ricamato con nastri di seta rossa, infiocchettati in graziose decorazioni tipicamente femminili; la seconda, invece, aveva un volto più cocciuto e una cascata di capelli biondo argentei che scendevano in ampie volute su di un kimono del medesimo taglio e decorazioni di quello della gemellina, ma di un nero profondo come la notte.
    Non vi era niente di strano, in quelle piccole creaturine, se non forse la bellezza assai rara... e le orecchie lanugginose da canide, piegate all'indietro, che entrambe vantavano sulla testa. Per non parlare poi delle loro codine, spumose e legate insieme, dritte e irsute per la paura.
    [...] Si, in effetti c'era qualcosa di strano.
    «S-s-s-siamo rovinate, Kitsu... Tocchan era stato chiaro, su di lei!» Gemette la prima delle due, muovendo nervosamente le orecchie.
    «Ha proprio detto: “Atasuke Uchiha deve affrontare il Patto da solo, e non toccate la femmina, lei è corrotta come uno Yokai” Gli fece eco l'altra con la medesima vocina strozzata. Le due si guardarono, girandosi contemporaneamente, e deglutirono all'unisono.
    Sembravano pensare insieme, come se l'una fosse lo specchio dell'altra. Entrambe si muovevano, parlavano e reagivano effettivamente allo stesso momento, proprio come due stelle nate dallo stesso bagliore di creazione.
    «“Atasuke” Ripeté Shizuka, che per contro non era nata complementare a nessuno e di certo da nessuna stella. Non capiva ancora dove si trovava e non aveva nessuna idea su cosa diavolo fossero quelle due cosine (e in merito a ciò la sua mente fantasticò, per un breve istante, sulla possibilità di averle nel suo laboratorio alla mercé delle sue abilità), ma era chiaro che qualunque fosse la circostanza lei era stata separata dall'Uchiha. E questo, non le piaceva. «Conoscete Atasuke?» Ringhiò la ragazza. Provò a muoversi, ma era ancora stordita e stanca, come se qualcuno le avesse bloccato il flusso di chakra così a lungo da rendere impossibilitati anche i suoi movimenti. Scosse la testa, cercando di dissipare l'alone opaco che le offuscava gli occhi affilati e rabbiosi. «...Se gli avete fatto qualcosa, vi renderò colli di pelliccia per i miei kimono, sudice donnole.»
    Quelle parole fecero drizzare le bambine come se qualcuno le avesse punte con aghi arroventati, cosicché le due, drizzando ancora una volta le codine, esplosero in occhiatacce degne del peggiore dei bambini offesi.
    «NOI LO AMIAMO!» Strillò di punto in bianco la piccoletta che sembrava chiamarsi Hari. «TU MENTI! NON POTREMMO MAI FARGLI NIENTE!»
    «NOI VOGLIAMO STARE CON LUI PER SEMPRE!»
    Urlò l'altra, quella che era stata chiamata più volte Kitsu. «FINALMENTE POTREMO STARE SEMPRE INSIEME! TU NON CI SEPARERAI! CATTIVA!»
    «Ah?!»
    Gemette per tutta risposta Shizuka, presa in contro piede dal tono lamentoso delle piccine. «N-no calma, non intendevo dire che...»
    «FINALMENTE LO ABBIAMO TROVATO!»
    Continuò però Hari, incurante del tentativo della Principessa di parlare, e in un istante i suoi occhioni color dell'ambra si riempirono di lacrime. «FINALMENTE POSSIAMO STARE CON LUI!»
    «NON CE LO PORTERAI VIA! LUI E' NOSTRO!»
    Piagnucolò Kitsu, risoluta, tirando su con il nasino. Benché la sorellina si fosse già gettata a terra e avesse chiuso il visetto tra le piccole braccia nude, lei rimaneva in piedi con le mani sui fianchi e la codina dritta e ferma. «SANGUE DEL NOSTRO SANGUE!» Tuonò infine, con solennità risentita.

    In un attimo quelle parole fecero cadere il silenzio.

    «...Prego?» Disse una manciata di secondi dopo, con un fil di voce, la Principessa dei Kobayashi. Fissava le due bambine con occhi nuovi, come se improvvisamente vedesse in loro qualcosa di eccezionale. «...Sangue del vostro sangue?» Ripeté, asciutta.
    “Quanto è stupida.” Pensò Kitsu, guardando malamente la donna.
    “Come pensa che si stipuli un contratto di eborocazione?” Rifletté in simultanea Hari, stropicciandosi gli occhietti sulle braccia e alzando la testolina con tono di sfida.
    “Tocchan ce lo ha spiegato che si usa il sangue per i contratti di eborocazione.” Annuì tra sé e sé Kitsu (che sembrava per la verità piuttosto schifata all'idea).
    “Il sangue è la chiave di tutto.” Fece Hari, saccente, scrollando poi le spalle con sufficienza (ma anche lei, che era quella delle due che aveva capito meno come si usava il sangue, sembrava abbastanza angosciata di quella possibilità).
    In ogni caso le sorelline continuarono a riflettere tra loro su quanto quello shiro-ebi fosse sciocco e inutile... ma del resto che ne poteva sapere lei, che era stata rifiutata da ogni bestia d'eborocazione dei suoi parenti?! Eeeh, loro lo sapevano! Sapevano tutto, di lei!
    Sapevano tutto di tutti, in effetti. Per loro non era difficile. Seguire e scoprire, spiare e ascoltare, era la loro specialità affinata in cento anni di giochi a nascondino e missioni di “furto-dolcetti” nelle cucine di Pacchan... eh si, erano proprio brave! Divenivano tutto ciò che era necessario che fossero, pur di ottenere il loro scopo. Ma questo, ovviamente, Shizuka non poteva saperlo.
    L'unica cosa che lei sembrava sapere, difatti, era che...
    «...Atasuke ha delle figlie?» Portandosi una mano alla fronte la Principessa fu attanagliata da un forte capogiro, come se qualcuno le avesse tirato una bastonata sulla testa appena un istante prima. «Ha delle... figlie? Ma...cioè...» Boccheggiò, alzando lo sguardo sulle due piccole, poi esitò, aggrottando la fronte. «...con chi diavolo ha giaciuto, con un cane?»
    […] Ah. Era quello il problema?
    «NON SIAMO CANI!» Strillò prontamente Kitsu, furiosa. Le sue orecchie piccarono il cielo, muovendosi arrabbiate.
    «SIAMO VOLPI!» Puntualizzò Hari, facendole la linguaccia.
    «STUPIDA!» La derise ancora Kitsu. «LUI E' NOSTRO E TU NON POTRAI FARE NULLA!»
    «...Ha giaciuto con delle volpi?»
    Si corresse Shizuka con voce strozzata, spalancando maggiormente gli occhi. Sapeva che Atasuke era un tipo un po' particolare, ma che gli piacesse farlo strano...cioè, non che avesse mai ragionato su come gli piaceva farlo...nel senso, solo per curiosità, qualche volta, ma come se lo poteva chiedere di chiunque altro, ovviamente... con degli animali, però, era veramente un po' troppo... anche per lei...
    Ammorbidendosi sul posto e iniziando a ridacchiare tra sé e sé in modo sempre più accentuato, la ragazza si portò teatralmente una mano alla fronte, scostandosi poi una ciocca di setosi capelli castani dal viso: e dunque, dopo le sue domestiche, le infermiere del suo ospedale, la maledetta vicina di casa che doveva morire implosa, Atasuke aveva persino avuto delle figlie mezze cani/volpi/donnole/topi-pelosi o qualsiasi altra cosa fossero quelle due creaturine...?
    Bene a sapersi. Era dunque evidente cosa avrebbe dovuto fare appena lo avesse ritrovato (e ci sarebbe riuscita, a costo di setacciare tutto il creato conosciuto).
    «Lo ucciderò.» Decretò la Principessa, con gli occhi che saettavano come dardi in una notte di tempesta. «Non lo voglio proprio per niente, miei cari topi parlanti a forma di volpe, prendetevelo pure il vostro Atasuke... e anche il suo amichetto allegro. Morto, ovviamente. Morti entrambi.»
    Trasalendo a quelle parole (non che avessero ben capito chi fosse l'amico di Atasuke, ma era suo amico era buono, e se era buono andava bene) le bambine balzarono arrabbiate addosso a Shizuka, agguantandole i capelli e mordicchiandola da tutte le parti con i loro canini sin troppo affilati. Per tutta risposta l'altra, apparentemente retrocessa allo stadio mentale di una bambina di cinque anni, fece altrettanto, stirando la coda delle piccole cacciatrici come faceva con le pellicce invernali del suo corredo. Le grida si levarono alte, e anche i rumori di dentini.

    ...Ed ecco come avvenne il primo vero incontro tra un essere umano e due giovanissime rappresentanti della dinastia delle Mezze Volpi, perse da centinaia di anni nel flusso dell'ignoto.

    […]



    Il corpo di Atasuke Uchiha giaceva a terra, ripiegato su se stesso.
    Le braccia, temprate dagli addestramenti e dall'uso della spada, erano ripiegate in modo innaturale di fronte a lui. La sua testa invece, riversa sul petto, nascondeva il viso imperlato di sudore sotto a setosi e lisci capelli corvini.
    Fermo nell'oscurità delle cantine dell'edificio, il giovane Shinobi si contraeva e gemeva mentre le sue dita si muovevano nello spasmo di chissà quale vibrazione percepita dalla sua mente...
    ...una vibrazione che una piccola ombra, seduta di fronte a lui, coordinava tenendo qualcosa in contatto con una delle ginocchia del Chunin. Una mano, forse.
    O forse, una zampa.

    «Non credo di aver capito... non ha detto praticamente niente di certo...»
      «Chi avrebbe potuto davvero rispondere, sorella?
      Sono quesiti, quelli, a cui per secoli abbiamo invano cercato di trovare soluzione, come possiamo chiedere lui di rispondere così–...»
        «Il Patto era chiaro. Non è degno.»

    Un'ombra si mosse d'improvviso da una delle pareti della cantina più lontane dal corpo dell'Uchiha, girandosi di scatto.
    «Fratello... non puoi andartene... noi non abbiamo ancora valutato...» Intervenne prontamente la prima delle voci. Era pacata e quieta. Imperturbabile come ghiaccio cristallizzato.
    «Non dirmi cosa devo o non devo fare fare!» Sibilò l'ultima di quelle, e le parole esplosero in un bagliore infuocato troppo veloce perché le tre ombre prendesssero volto e identità, ma sufficiente a permettere a chi sedeva di fronte al Chunin di rivelare le sue fattezze: una volpe dal mantello bianco e le iridi grigie come argento.
    «Siedi.» Ordinò la candida Kitsune. L'ombra a cui si rivolgeva rimase in piedi, quasi in una sfida, ma non si mosse ulteriormente. «Le tue sorelle più piccole hanno seguito questo umano per dieci dei suoi brevi anni ed hanno entrambe offerto il loro Dono per garantire al Concilio che egli è ciò che cercavamo.»
    «Sono cucciole.»
    Ringhiò gutturalmente la voce. Era quella di un uomo, si sarebbe potuto dire. Molto più che adolescente, un po' meno che adulto. «Hanno udito storie sugli umani come essi le udivano su di noi. Sono cresciute sognando la loro amicizia. Vivono di fantasia, Kachou, non hanno visto l'orrore della guerra.»
    «E neanche noi.»
    Rispose la seconda delle voci iniziali. Benché la situazione fosse divenuta d'improvviso tesa, questa era ancora elegante e gentile. Paziente e dolce. «Non eravamo che cuccioli quando il Concilio decise di allontanare quelle che di noi erano rimaste...» Ricordò con rammarico. «...Ma egli soffre e capisce. Il suo cuore è terreno fertile, germoglio in piena fioritura. Egli può capire: le sue orecchie odono, i suoi occhi piangono, le sue mani esitano. Non asserisco di dovremmo credere lui con superficialità, ma se solo provassimo a capire, anziché ancora una volta ritrarci con sdegno, sono certa ch'egli, tra tutti gli umani che ancor oggi vivono, potrebbe realmente–...»
    «TACI!» Sbottò di nuovo la voce del maschio e un'altra fiammata divampò nel sottosuolo, stavolta talmente potente da ruggire con violenza sino al corpo di Atasuke Uchiha, ancora incosciente. Fu l'intervento della Kitsune d'argento a riportare ancora una volta la calma: sbattendo la sua coda a terra, difatti, fece sì che le fiamme morissero all'istante.
    Di quei pochi secondi solo due cose si poterono vedere: un paio di asciutti occhi d'oro, furiosi; un delizioso parasole lillà; e una lunga e snella coda dal pelo rosso come un tramonto estivo...
    «Agisci come un Corrotto.» Disse la Kitsune d'argento, e d'improvviso l'aria parve farsi solida come marmo spigoloso. «Possa la tua fiamma illuminare la via che sembri aver smarrito.» Si limitò a dire. Non fece né aggiunse altro, ma qualsiasi cosa quelle due frasi avessero voluto significare, bastarono a far sì che silenzio cadesse e niente più si muovesse...
    ...fino a quando la voce del giovane Chunin degli Uchiha non si librò ancora una volta nell'oscurità, guidando l'attenzione delle ombre su di lui come la melodia di un flauto fatato lungamente desiderato.

    “...Perchè mi avete convocato fin qui? Perchè io? Che cosa ho di tanto particolare da meritare tutto questo?”



    «Odio il suo carattere, si crede sempre così importante e al centro dell'attenzione...non ha niente di particolare. Non merita di essere qui.» Ringhiò tra i denti tremanti la voce maschile.
    Ignorando quell'affermazione una delle rimanenti due ombre, dopo un attimo di esitazione, si mosse dal fondo della sala sotterranea, avanzando. L'oscurità rendeva impossibile comprendere chi potesse essere, ma la leggiadria con cui si spostava e la delicatezza con cui si fermò di fronte al corpo dello Shinobi, nettamente più grande in stazza, suggerivano una figura minuta e dal dorso lungo...
    Esitando per qualche istante, muovendosi brevemente sul posto in modo nervoso, l'ombra si avvicinò e poi allontanò, quasi fosse indecisa su cosa fare, poi però, riuscì con tremore a toccare il ragazzo, posando su una delle sue mani aperte, riverse al suolo, una delle sue piccole... zampette.
    Un istante dopo, il contatto mentale fu instaurato e Atasuke, dal limbo di incoscienza nel quale versava, riprese a percepire kanji, stavolta di ghiaccio, che da dentro il suo torace si irradiavano di fronte a lui, formando frasi complete.

    “Esse erano creature votate alla bontà.
    In loro non vi era mai stata intenzione protesa alla violenza. Incapaci di punire gli altri con la cattiveria tipica di chi non ha scopo ma solo malizia, avevano attinto all'amore nutrito per gli umani così da essere in grado di combattere.”



    I kanji color del ghiaccio e della luna si frantumarono, brillando in una pioggia di bagliori splendidi così da lasciare posto ai successivi, che nacquero come boccioli di neve. Destinati a durare poco, ma potenti nel loro grande significato.

    “Esse avevano combattuto per un ideale: quello della giustizia. Della pace. Della comprensione.
    Consce che il mondo in cui avevano desiderato rinascere, sangue e carne come qualsiasi altra creatura, non era destinato a comprendere le cose con l'accettazione, si erano fatte parte di un percorso che credevano avrebbe portato alla serenità di un tempo, quando le parole erano quelle della mente e le espressioni del volto la rappresentazione delle reali intenzioni di ognuno.”



    Vi fu una piccola esitazione.
    Quando le frasi candide come il gelo si dispersero, ci volle qualche istante perché altre le sostituissero.

    “Perdendo il loro legame con le anime umane a cui si erano rese devote, esse avevano perduto anche la loro capacità di credere.
    Esse, avevano smarrito il grande dono di capire cosa era giusto e cosa era sbagliato. Cosa era buono e cosa era cattivo.
    Incapaci di trovare la via che in passato sapevano di aver intrapreso con ardore, esse hanno allora giaciuto nell'attesa che qualcosa cambiasse.
    Ma nulla era cambiato.
    ...E così decisero di cercare.”



    La pioggia di bagliori di ghiaccio in cui esplosero i kanji di quelle frasi formarono l'immagine di un bambino che correva sulle strade di un villaggio di campagna. I piedini scalzi inciampavano sui piccoli ciottoli delle vie, ma non si fermavano mai, e nella loro corsa senza fiato crescevano assieme al piccolo, che diveniva ragazzo mentre il suo corpo si snelliva e alzava, le sue spalle si facevano più grandi e le sue braccia più possenti; cosicché il ragazzo divenne uomo, e quell'uomo, ancora correndo, indossava un lungo haori e il coprifronte di un villaggio: quello di Konoha.

    “Esse cercarono qualcuno in grado di poter ricordare loro cosa significasse conoscere l'orrore, ma scegliere la giustizia.
    Esse cercarono qualcuno che pur convivendo con il male, decidesse di sedere nel bene.
    Esse cercarono, e lo fecero per abbastanza tempo da rendere i semi, sequoie. I ruscelli, oceani.
    Alla fine, trovarono qualcuno.”



    Le frasi di ghiaccio, sbocciate come fiori color della luna sopra l'immagine di poco prima, si spezzarono in un turbinio di cristalli di neve. E questo, cancellando l'immagine dell'inizio, ne formò una nuova.
    Una figura femminile di bassa statura ma dalle forme generose, vestita con uno splendido kimono, era in piedi e guardava verso est: il suo collo e le sue mani erano incatenate, e le catene di fuoco nero che la tenevano sprofondavano nell'oscurità del basso. Nonostante questo ella guardava avanti, con caparbia risolutezza, sorridendo nel modo tipico di una madre pronta a difendere il suo piccolo: indistruttibile e fiera.
    Alle sue spalle una figura più imponente guardava verso ovest. Le braccia muscolose come argani erano intrecciate tra di loro e dalle sue spalle si materializzava, issandosi verso il cielo, un'entità mostruosa e gigante, la quale guardava nella stessa direzione di colui dentro il quale sedeva, ma ruggiva e rideva in modo molto simile a quello di colei che sostava alle sue spalle.
    Davanti alle due figure una terza, più snella e longilinea, la stessa che indossava l'haori visto in precedenza, guardava nella direzione di Atasuke, sorridendo.
    Sorrideva a se stesso. E Atasuke Uchiha guardava la sua immagine di cristalli di ghiaccio.

    “Egli sedeva tra due tipi diversi di verità, distanti ma uniti, malvagi ma giusti. Era un'unione troppo forte perché egli potesse farne parte. Ma era comunque solido abbastanza da sopportare quel giogo senza che questo lo rendesse un Corrotto.
    Eppure anche lui, dentro di sé, serbava il demone che nasce dal seme dell'oscurità.”



    L'immagine si frantumò e la pioggia che ne scaturì, durò solo qualche istante prima di lasciare che l'oscurità tornasse a regnare sovrana.

    “Esse si chiesero: può egli rinunciare completamente alla parte scura di sé?
    Egli può, nel nome della giustizia e della bontà, decidere di rendersi acqua che scorre per non contaminarsi del Fuoco che arde e del Vento che ulula?

    Esse si chiesero: egli può essere colui che insegnerà loro, ancora una volta, le risposte del mondo, cercandole e scoprendole insieme.
    Egli sarà pronto oppure no a ricordare ciò che è giusto pur essendo nell'orrore, a percorrere la strada che lo condurrà alla scoperta della verità e, attraverso d'essa, a conquistare il loro cuore... con il rischio che questo non voglia ascoltarlo, né assecondarlo, né accettarlo?”



    E un'ultima frase comparve, sostituendosi ancora una volta alle precedenti, una nuova sequenza di frasi: stavolta il ghiaccio era argento e fuoco insieme. Era gentilezza e compassione, quiete e ascolto, rabbia e desiderio, impazienza e giocosità.
    Era tutto. E niente.

    “Egli può essere colui che le porterà alla scoperta del mondo e della verità.
    Insieme vivendo. Insieme amando. Insieme attendendo.

    Attendendo il giorno in cui la pace tornerà. La giustizia canterà.
    L'uomo e la Volpe danzeranno in cerchio, su fiumi di nubi e venti di melodia.

    Egli potrà essere il flauto che suonerà la loro rinascita?”



    E poi, fu il silenzio.
     
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17 replies since 22/3/2015, 21:07   1213 views
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