Hankachi-Otoshi

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    DARKNESS AND LIGHT

    Darkness cannot drive out darkness; only light can do that.
    Hate cannot drive out hate; only love can do that.




    «E' UN IDIOTA!»

    Qualcosa si rovesciò a terra con un gran frastuono e in un attimo le cantine si infiammarono con ferocia fino a che qualcosa non cristallizzò tutto e ordinò nuovamente la quiete. Se i sentimenti fossero stati percepibili sulla pelle, la rabbia e il disgusto sarebbero stati certamente i protagonisti di quel momento.
    «E' stato sincero, fratello! Cosa pensi di potergli chiedere?» Intervenne con infinita pazienza una voce femminile, cercando di ostentare una calma che si spezzò però quando qualcosa si frantumò su di un muro, facendola strillare.
    «“ALLEATI, AMICI, FRATELLI”! HO GIA' SENTITO QUESTA SOLFA!» Ci fu una risata gutturale e sei fiamme ardenti si smascherarono dall'oscurità che le avevano nascoste. «Lui mente. E' uno stolto, un uomo che crede che parlando a vanvera otterrà la clemenza e la fiducia altrui. Non è con l'incertezza che si ottengono risposte. Non è non prendendo decisioni, né alcuna posizione, che si risolvono i problemi. Avrei accettato che prendesse per sé più tempo e rispondesse con mente lucida e ferma, piuttosto che mentire in un inganno di parole senza valore! Non c'è nessuna possibilità che sia ciò che vogliamo!»
    «...Fratello... la Parola afferma... “fiducia, amore, gentilezza”... sono queste le chiavi per aprire le porte del mondo...»
    Mormorò lentamente una terza voce. Una snella coda rossa si mosse, battendo nervosamente a terra, come a cercare un qualche tipo di forza. Fu presto evidente che era quella di parlare di nuovo. «Lui... non ha risposto come volevamo... ma può forse migliorare... crescere...» Ci fu un'esitazione. «...Mai dubitare senza prima... provare...»
    «NON COMBATTERO' PER LUI!»
    Rispose per contro l'altra voce, maschile e traboccante di rabbia. «NON IO!»
    «Ti prego... Ti prego, fratello mio, proviamo a calmarci, proviamo a sperare ancora una volta. Sono certa che insieme troveremo la risposta più giusta...»

    Ma per Toshiro, la Kitsune sovrana delle fiamme ardenti, non c'era niente in cui sperare.
    Cucciolo abbandonato dal destino e dalla fortuna, lui che aveva perduto padre e madre nell'ultima grande guerra combattuta dalla sua Dinastia, la volpe dal pelo scarlatto e gli occhi color dell'oro non avrebbe ceduto di fronte a niente che fosse stata incertezza. Debolezza. Stupidità.
    Lui era uno spadaccino. Un guerriero.
    Benché fosse cresciuto solo, unico cucciolo privo del calore di una famiglia a cui fare ritorno, si era temprato un passo dopo l'altro. Fedele alla giustizia, leale verso il suo sangue, Toshiro era tutto ciò che un combattente doveva essere: forte e fiero.
    Non avrebbe approvato un uomo senza virtù come Atasuke Uchiha. Mai.
    Aprendo la bocca fece appena in tempo ad emettere un ringhio sommesso... che qualcosa, improvvisamente, esplose con violenza inaudita.


    Kitsu non aveva mai avuto paura in tutta la sua vita.
    Cresciuta in una comunità contraddistinta da amore e gentilezza, tra le calde braccia di sua madre e i sorrisi di suo padre, l'unica sofferenza che aveva mai sperimentato era quella che scaturiva dopo un litigio con la sua sorellina. Un sentimento di dolore, dunque, che non durava mai più di qualche istante.
    In quel momento, però, si riscoprì a tremare.
    La codina, flebilmente stretta tra le gambe, e le orecchie piegate all'indietro, preannunciavano la disperazione che si materializzò concreta sotto forma di lacrime calde e brillanti. Trasalì, lasciandosi scappare un gemito, e per un attimo pensò che sarebbe morta.
    Quando quella mano le afferrò il collo e la sollevò da terra, fu sul punto di mettersi a piangere.

    «Lascia che ti spieghi nuovamente...»

    La sua voce era il suono di un koto nella notte, vibrante e antica.
    L'imperatrice delle nebbie di fuoco e di oscurità, come la protagonista di un libro proibito.
    Il suo passo impercettibile avanzava senza toccare terra. Non era più di carne e sangue. Era solo sentimento.
    E quel sentimento, era l'ira.

    «...ci sono poche cose che mi sono care in questo mondo: il mio Villaggio e le persone che amo...»

    I suoi occhi, rossi come il sangue appena stillato, vivevano di riverberi neri come il nulla totale. Dentro di loro spaventosi fiori, figli di un peccato molto più vecchio di chi lo portava, erano sbocciati come un miraggio dettato da una notte insonne.
    La bocca di lei, scarlatta e piena, era ripiegata in un sorriso che sembrava il ghigno di un animale.
    Un lupo.
    No, una tigre.

    No.
    Non era nessuno degli animali esistenti a quel mondo.
    Era qualcosa dimenticato da molto tempo, ormai.
    Estinto in quella realtà, quella dell'uomo, da moltissime centinaia di anni...

    «...Atasuke è una di queste persone.
    Toccatelo. Fate lui del male.
    E io vi ucciderò.
    Non importa dove scapperete. In quali sembianze. Per quanto tempo.
    Rinascerò, se dovessi morire, e lo farei una, cento, mille volte...
    ...vi troverei e vi dilanierei con le mie mani.
    Vi sterminerei una dopo l'altra.
    Per sempre.»


    Era una Yokai. Una Corrotta.
    L'aura scura si levava attorno a lei come la seconda veste di un'immortale del Makai, vestendola con grazia pericolosa e raccapricciante...
    ...e lei, la più pura delle creature di quel mondo, ne ebbe paura come se ne poteva avere di un incubo che si scopre reale. Di una malattia inguaribile da cui si viene toccati.
    Suo malgrado, iniziò sommessamente a piangere.

    «Piangi, muori... non mi interessa.
    Datemi Atasuke indietro. Ora.
    O di te, tua sorella e tutta la vostra sudicia gente non rimarrà che il cadavere impalato nella Piana del Fuoco.»


    E il ghigno diventò risata.



    Le fiamme divamparono come mostri senzienti distruggendo la porta dei sotterranei dell'edificio e allungando le loro lingue biforcute fino giù alla scalinata che portava alle cantine. La luce che ne derivò, l'urlo di un dimenticato nel cuore del mondo, si riversò con rabbia ovunque, ingurgitando ogni angolo di buio. In un attimo l'oscurità divenne luce.
    E lì, dietro quella luce, che contro tutto ciò che poteva dirsi essere la bilancia del buono e del giusto era adesso il “peccato” e non il “perdono”, vi era Shizuka.
    I capelli castani di lei, mossi dal vento alzato dal suo Katon, danzavano dietro le sue spalle aprendosi come un ventaglio mentre il suo volto, snaturato da un sentimento dimenticato dalla razza a cui apparteneva, guardava in basso con freddezza.
    Le sue iridi scarlatte erano un dipinto di rabbia sorda, ma per una volta, non anche muta.
    «Il tempo di giocare è finito.» Disse la Principessa della Foglia, sorridendo.
    A dispetto di quanto avrebbe forse fatto in un altro momento, stavolta non vacillò di fronte alla vista delle quattro volpi che sostavano nelle cantine del fatiscente ristorante abbandonato. Non si curò delle due in forma umana –l'una con sei code infiammate e già pronta a sguainare la sua katana, né dell'altra, una bellissima giovane donna dai fluenti capelli color del miele colante– e neppure delle altre due in forma animale –una volpe dall'aspetto più antico, color dell'argento, e una più spaventata e incerta, di un vermiglio malva–, il suo sguardo era solo per il ragazzo inginocchiato a terra in una posizione innaturale e scomposta, apparentemente privo di sensi.
    «Lasciatelo.» Ordinò la Chunin senza mezzi termini. «O le faccio esplodere come fuochi d'artificio la notte di un matsuri.» Disse gentilmente, sollevando la mano destra in cui stringeva le code di Hari e Kitsu, spaventate e piangenti.
    «TU... SUDICIA CORROTTA! LASCIALE!» Ruggì la volpe rossa, estraendo realmente la spada. La sua bocca tremò di rabbia, ma anche di paura.
    Le sue sorelle... le sue piccole sorelle... era per loro due, per le loro suppliche infantili e le infinite promesse che avevano fatto lui, che si era prestato a quello stupido teatrino...
    ...e ora, eccole lì. Eccole nelle mani di un'umana.
    Schiave e in lacrime.
    E' questo il vero volto degli umani, chisai-nee... perché, perché non l'avete capito subito?
    Non importa quanto gentili vi possano sembrare e per quanti anni li seguiate... sono assassini. Mostri.
    «Hari! Kitsu!» Gemette la bellissima Kitsune dal kimono bianco e rosso. Si alzò, ma le gambe le tremavano talmente tanto che fu costretta ad appoggiarsi all'ombrellino parasole che stringeva tra mani oscillanti. Avrebbe voluto deglutire, ma non ci riuscì.

    «La Principessa del Fuoco, devo supporre.»

    La voce che intervenne era calma. Forse l'unica tra quelle presenti.
    Non fu difficile capire che era quella della volpe d'argento.
    Seduta di fronte ad Atasuke, con cui manteneva il contatto tramite una zampa, l'argentea kitsune abbassò la testa in un inchino che, per un istante, lasciò tutti senza parole. Tutti, tranne Shizuka stessa.
    Lei, immobile in cima alle scale, non si scomodò a ricambiare quell'ostentata e inutile forma di rispetto. Non era lì per fare società.
    Era lì per Atasuke.

    «Supponi bene... come devo chiamarti? Volpe? Donnola? Oh, non formalizziamoci, bestia Rispose allegramente la ragazza, scandagliando rapida il sottosuolo. Il suo Sharingan si mosse rapido, cercando costrutti o qualsiasi altra forma di trappola, ma l'unica anomalia che riscopriva era quella che avvolgeva Atasuke.
    Affilò lo sguardo, tastando istintivamente con la mano libera la sua saccoccia ninja legata sulla fascia lombare mentre la sua mente scattava nella valutazione: quattro. Escludendo le due bambine, che era chiaro avevano potuto metterla in difficoltà solo per chissà quale diavoleria data loro “in prestito”, era chiaro che se doveva affrontare qualcuno erano solo quelle quattro bestie.
    Poteva farcela...? Non conoscendo l'abilità, né la forza di ciascuno, poteva farcela...?
    Doveva.
    «Temo che tu stia fraintendo, Principessa.» Si limitò a dire la kitsune d'argento, alzando lo sguardo verso Shizuka. Portò i suoi occhi di volpe in quelli di lei e parve sorridere. «Non siamo qui per nuocere ad Atasuke Uchiha, come tu ritieni.»
    «Nemmeno io sono qui per nuocere a voi.»
    Fece presente la ragazza, sorridendo allo stesso modo. «Ma voi avete ridotto il mio compagno in quel modo...» Osservò, alzando il mento in direzione del giovane del Ventaglio. «...quindi mi sembra difficile credere alle vostre parole.» Fece spallucce, sospirando. «Ma non mi interessa, davvero. Lasciatemelo portare via. Voglio solo andarmene.»
    «Ho paura che questo non sia possibile.»
    Replicò l'argentea, scuotendo la testa. «Se dovesse uscire ora da questa illusione, morirebbe.»
    Quelle parole risuonarono lente, semplici come la più quieta delle verità. Sembrava che serbassero in sé apprezzamenti sul più futile degli argomenti e forse per questo, in un primo secondo, Shizuka parve non capirle.
    Ferma dove si trovava, con la mano ancora stretta attorno alle code di Hari e Kitsu, la Principessa del Fuoco esitò... poi, lentamente, reclinò la testa all'indietro mente sul suo volto compariva un'espressione di stupore.
    ...Cosa aveva detto?
    Cos–...
    Di punto in bianco la presa sulle due code delle kitsune gemelle cedette e queste, liberate dal loro giogo, caddero pesantemente a terra. Il tonfo che ne conseguì arrivò alle orecchie della Kobayashi da un luogo distante della realtà, come se effettivamente non fosse accaduto vicino ai suoi piedi ma molto, molto lontano da lì. Persino quando le cucciole, piangendo disperate, corsero giù per le scale e si gettarono nelle braccia della volpe bella e gentile, Shizuka non fu sicura che stesse accadendo qualcosa accanto a lei.
    Esitò, sentendosi improvvisamente smarrita.
    «L'illusione nella quale si trova ora Atasuke Uchiha è un contatto diretto tra la sua mente e quella collettiva della nostra intera Dinastia. La potenza di cui è vittima, anche se per noi può essere irrisoria, supera quella sopportabile dal cervello di voi umani.» Riprese a dire la volpe d'argento, senza distogliere lo sguardo dalla donna a cui parlava. I suoi occhi chiari scandagliavano ogni reazione e impercettibile tremore di lei, come a volerla studiare, mettere alla prova... «Se mi costringerai a rilasciare l'illusione ne morirà.»
    «P-posso curarlo.»
    Aveva un fortissimo fischio nelle orecchie, come se qualcuno l'avesse avvelenata. Sentiva in effetti come se ci fosse qualcosa che, in fondo a lei, gorgogliava.
    Per un attimo fu sul punto di vomitare. Era certa di doverlo fare.
    C'era qualcosa che la mangiava da dentro, ne era certa. Se non avesse vomitato, lei, forse–...
    «Lo farai.» Disse la volpe d'argento, continuando a guardarla. «Se continuerai a camminare sul filo tra il Makai e la Genjitsu, potrai toccarlo.»
    Non aveva alcuna idea di cosa stesse dicendo quell'animale. Avrebbe voluto farlo presente, ma si accorse con orrore che la voce non le usciva più di bocca. Tutta la rabbia e il disgusto provato in precedenza sembravano essere svaniti, soppiantati da una nuova tavolozza di sentimenti...
    «Come... come ne esce...» Mormorò Shizuka, compiendo un passo avanti in modo incerto. Non riusciva ad allontanare i suoi occhi dalla figura di Atasuke.
    «NON AVVICINARTI LURIDO RIFIUTO!» Ruggì con orrore la volpe dalle sei fiamme, ponendosi di fronte alle sue sorelle. Lo sguardo ardente sembrava pronto a combattere per la salvezza di loro, ma ciò in cui si specchiò non era più il pozzo scuro che aveva dato lui i brividi solo pochi istanti prima. Non c'era più traccia, in quelle iridi rosse, del sentimento soverchiante di odio che le aveva per un istante rese il peggiore degli specchi sul mondo...
    «Fai silenzio.» Ordinò la volpe grigia, senza però sbilanciarsi. Ritornò dunque con lo sguardo su Shizuka. «Il percorso in cui si trova è quasi a fine. Permettimi di valutarlo un'ultima volta.» Parve per un attimo quasi sul punto di sorridere, benché non ci fosse assolutamente niente di divertente in quella faccenda, nonostante tutto non lo fece. «Sei ancora in grado di provare una tale paura, Principessa...» Osservò l'argentea, muovendo le orecchie in avanti come a voler captare qualcosa. «...a quanto pare hai impedito al tuo animo di diventare nero come chi ti ha preceduta.» Abbassò la testa ancora una volta, e adesso lo fece con rispetto. «Ho già visto occhi come i tuoi, quello sguardo, Principessa, l'ho già visto. Può apparire simile a quello del tuo sangue, ma è diverso. Lo ricordo. Al contrario di te, però, quelle persone non erano riuscite in ciò che tu sei stata capace di far–...» Ma non fu in grado di finire la frase.
    «Se finisce questo “percorso” esce dall'illusione senza danni?» Lo interruppe Shizuka. Sembrava non aver sentito una sola parola di quello che le era stato detto, come se non le interessasse. Guardava Atasuke e non distoglieva lo sguardo neanche per un istante mentre i suoi occhi, da rossi che erano, cominciarono lentamente ad assopirsi in un colore più tenue, lentamente, lentamente... «Se esce da questa illusione, sta bene?» ...tornando verdi come praterie in primavera.
    «Non ha alcun danno fisico, la sua salute è perfetta...» Si azzardò a dire con voce molto più che tremante la bella kitsune dai capelli di miele. Per quanto si impegnasse non riusciva ad alzare lo sguardo in quello della donna, perché sapeva cosa avrebbe visto. Sapeva che vi avrebbe scorto l'aura di “lui”.
    Quel pensiero, la fece rabbrividire.
    «Si.» Convenne l'argentea, annuendo. «Sei in grado di domare ciò che urla dentro di te per la sua salvezza, Principessa?»
    Avrebbe tanto voluto chiedere di cosa stesse parlando, ma con suo enorme stupore Shizuka si accorse in quel momento che qualcosa stava davvero urlando. E quel qualcosa era profondamente iroso. Furioso.
    Ah... aveva già sentito quell'urlo, molto tempo fa. Già, ora ricordava.

    In un flash l'immagine del fuoco e delle fiamme, degli edifici di Konoha crollanti e dei cadaveri ai cigli della strada la colpirono con violenza.
    Quella voce si impose su di lei, strappandole via carne e sanità ad ogni parola. Ad ogni bisbiglio mieloso, quasi innamorato.
    Si portò le mani al collo, tremando nel ricordare il peso della ricetrasmittente. Il rumore delle ali di quei corvi.
    Quegli occhi. Quei maledetti occhi.
    Il freddo della lama sul suo corpo. Il sangue.
    “Vieni con me, io ti ho cercata così a lungo...” Aveva detto.
    Trasalì, terrorizzata, quando improvvisamente un'altra voce sovrastò quella dell'incubo.
    Seria e forte. Potente sopra ogni altra.
    Era il suo faro nella notte. Era seguendo lei che era viva.
    Amava quella voce, avrebbe dato tutto per quella voce. Tutto.
    “Non esistono cose come le maledizioni del sangue, Shizuka. Da quando hai smesso di essere mia allieva sei diventata stupida, oppure cosa? Scrollati di dosso quest'aspetto misero e alza gli occhi. Non ti dona.”

    Non le donava.

    «La paura.» La paura non le donava. «E' fatta per essere vinta.» Disse Shizuka Kobayashi, rialzando lo sguardo in quello della volpe d'argento. «Posso dominare tutto. Me stessa e qualsiasi altra cosa, purché io ottenga ciò che voglio.»
    E quel qualcosa dentro di lei che ruggiva, incatenato al suo essere in modo perenne, si mosse e tirò rabbiosamente le catene che fermavano il suo incedere. Ma fu messo a tacere.
    Non è il tuo tempo. Non sono qui per te. Non siamo qui per me.
    «Ridammi Atasuke, volpe. Non curarti di nient'altro. Aspetterò per quanto tempo è necessario che io aspetti, ma se capirò di non potermi fidare di te, ti ucciderò.» Del resto morte per morte era un dazio giusto ed equo ai suoi occhi.
    «Oh.» Mormorò l'argentea, affilando lo sguardo. Ghignò, snudando i canini, non potendo fare a meno di pensarlo... «Mi sembra un buon compromesso.»

    ...era lei. Era perfetta.



    La volpe che avanzò verso di lui sembrava dipinta con pennellate lunghe e sfumate che dalla decisione del muso andavano sollevandosi verso la punta della coda, più fine e accennata.
    Nonostante ciò, la delicatezza con cui si muoveva, la fluidità con cui avanzava, sembrava la più grande realizzazione di un pittore incredibile e perfetto. La più alta rappresentazione della magistrale bravura degli Dei.
    Era possibile che Atasuke Uchiha non avesse mai visto niente del genere giacché il senso di stupore e incredulità che quella visione avrebbe suscitato in lui, era ben lungi dalla più stupenda delle coscienze umane.
    Piccola da poter arrivare lui appena alle ginocchia, la volpe avanzò in sua direzione senza alcuna esitazione, fermandosi al suo cospetto in silenzio, per poi sedersi. Quando alzò i suoi occhi in quelli dell'uomo, le sue iridi contenevano il riflesso di milioni di personalità.

    “Esse ritenevano che egli non avesse compreso cosa era stato richiesto lui.”



    Benché il muso dell'animale non si schiuse, le parole di queste fluirono verso Atasuke come un rivolo di verità mai confessate.

    “Esse compresero che egli non era ancora pronto per ciò che doveva e ciò che poteva.”



    La volpe scosse la testa, sconsolata, ma non chiuse gli occhi né distolse lo sguardo da quello del Chunin degli Uchiha.
    Immobile ai piedi di questo, splendido dipinto di giustizia e perfezione, non esitò neppure per un secondo.

    “Esse erano divise dalla linea della decisione.
    Vi era tra loro chi riteneva che egli potesse suonare il flauto, e invece chi, al contrario, temeva che non sarebbe mai stato capace neanche di riscoprirlo, dentro di sè. Giacché là, nella profondità del cuore in cui risiede la melodia dimenticata che un tempo permetteva alle volpi e agli essere umani di danzare insieme, qualcosa di oscuro aveva messo una singola radice.
    E quella radice, impediva al flauto di farsi percepire correttamente.”



    Splendida inchiostratura ricca di vita e pulsante sentimento, la kitsune reclinò leggermente la testa di lato. Le sue orecchie sembrarono sfumare in avanti, come se proprio in quell'istante il pittore che l'aveva creata ne stesse correggendo l'aspetto da un luogo invisibile della realtà.

    “Esse, dunque, decisero che il tempo sarebbe arrivato se egli fosse riuscito a recuperare la melodia dimenticata.”



    E così dicendo, la bellissima creatura si alzò lentamente sulle zampe e la volpe che era mutò forma, divenendo bambino e poi ragazzo.
    Nudo e senza segreti. Privo di macchia e menzogna.
    Il ragazzo dalla lunga coda sfumata guardò Atasuke negli occhi e sorrise con gentilezza mentre alzava leggermente una zampa che diveniva mano verso il torace di lui, toccandolo con un artiglio mutato in dito.

    “L'estirpazione del seme richiederà tempo e devozione, impegno e costanza.
    Esse si chiesero: potrà egli avere tutto questo per ricordare le parole di quel canto e i passi di quella danza da lungo tempo abbandonati nelle pieghe del tempo?”



    Quando il dito avrebbe toccato il torace dell'Uchiha, qualcosa, improvvisamente, avrebbe emanato un bagliore senza alcun precedente, come un raggio di sole che da distante diveniva vicino e potente.

    “La melodia risiede nel cuore di ogni essere umano, solo che egli non sa di averla.
    Ma lui adesso sapeva. Sapeva che se avesse voluto radunare la Pace di un tempo avrebbe dovuto riunire i pezzi, superando le prove che lo attendevano.”



    E quel bagliore, fattosi se possibile più accecante, esplose in mille pezzi di diversa forma e riverbero, colore e tonalità, suono e odore.
    In un istante ciascuno di quei frammenti unici e preziosi schizzò in parti diverse di quella realtà fittizia, sparendo nel nulla che l'oscurità del tutto accoglieva.

    “Esse avrebbero atteso.
    Esse avrebbero guardato.
    Esse avrebbero valutato.

    Il Dono di ciascuna di esse era pronto ad essere donato.
    Ma sarebbe mai stato offerto?
    Sarebbe mai stato accettato?”



    Passando il dito indice sul torace dell'Uchiha, lì alla cui altezza vi era il cuore, il ragazzo volpe disegnò una circonferenza, come se stesse chiudendo qualcosa e lo sigillasse con quella dolcezza e delicatezza tipica del soffio del vento.
    Lo stesso vento che, lentamente, cominciò a spirare sempre più forte...

    “Egli si trovava ai piedi di una grande scalinata, la cui vetta era troppo distante per poter comprendere cosa vi si trovasse.
    Esse avrebbero guardato, in silenzio, i suoi passi avanzare su di questa.
    E avrebbero deciso.”



    ...e lentamente i colori di quella creatura incredibile e splendida sotto milioni di aspetti impossibili da descrivere a parole, cominciarono a venir risucchiati all'indietro, mentre il vento imperversava, sempre più alto, in un ululato maestoso e potente che, al contempo, spingeva dalla parte opposta l'Uchiha.

    “Esse avrebbero aspettato. Guardato. E valutato.”



    Continuò a ripetere la voce del vento mentre Atasuke iniziava a venir trascinato in un mulinello di tempesta sempre più imponente.

    “Egli cercherà?
    Affronterà?
    Avanzerà?

    Atasuke Uchiha, tu giuri di servire, guidare e ricordare?”



    E fu il più terribile del caos.
     
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