Gli Illuminati

Gli araldi della nuova vita

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  1. Gama
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    Illuminati

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    Il Nidaime teneva fra le mani una cassa di legno, le parole erano ovattate e la vista era offuscata dal tempo in cui si perdevano i dettagli, una volta precisi e nitidi. Con me altre persone: Yami e Kodachi, anche loro avevano vinto il torneo per i sigilli; poi Shinodari Jaku, amministratrice di Oto. Mi ricordo che lo stavamo attendendo nel Palazzo del Suono, non si fece attendere molto.
    Il caldo era asfissiante nella palestra di Oto, Akashi era un maestro duro e severo, ma la riverenza che avevo nei suoi confronti non era dettata dalla paura, lo rispetto perché sapevo che grazie a lui avrei appreso il dono dei Mikawa. L'immagine vivida del palmo che avevo appena tagliato, il sangue che smise di fuoriuscire e divenne sotto il mio controllo. Mi ricordo ridere ma la risata che ora sento non appartiene alle mie corde, non sono io a ridere, non è mia l'irrefrenabile gioia che mi monta nel petto.
    Nella notte, illuminato da uno spicchio della luna, osservai per l'ultima volta il villaggio di Suna; il mantello che mi copriva interamente e nascondeva il volto, venne mosso da una leggera brezza che mosse la sabbia e quei sporadici arbusti. Quando iniziai a condurre i miei passi verso il villaggio di Oto nel mio cuore non c'era spazio per tristezza, anzi esso era carico di speranza, finalmente avrei conosciuto mio padre: "Va a Oto e cerca Tankezu Mikawa, quello è tuo padre" queste erano state le parole di mia madre che io seguii senza farmi domanda alcuna.
    Pioveva sangue ed io ero inginocchiato a terra con il fiatone, la spada sosteneva il peso e distante da me si imponeva all'orizzonte il Nibi. Forse per la prima volta temevo realmente che sarei morto.

    Altri ricordi offuscati mi sconvolsero la mente, erano ricordi che mi appartenevano ma che non avevo vissuto, eppure erano reali, ricordo ancora l'odore della palestra di Oto in cui Akashi mi guidò all'attivazione dei geni Mikawa o il bruciore del sigillo maledetto del lupo a due teste che mi fu affidato dal Nidaime. Ricordo quando mi avevano rapito mentre tornavo al villaggio del Suono, dopo la missione a Suna, ricordo la foresta così fitta che solo pochi raggi venivano filtrati dalle foglie; non riuscii a contrastarli, il dardo che mi si conficcò nella gamba era dotato di un sonnifero, non riuscii a rimanere in piedi ne tenere gli occhi aperti quando mi vennero a raccogliere. Poi brevi flash, il cunicolo che dall'esterno portava nelle viscere della montagna; le risa di Tanaka, mi guardava entusiasta e parlava, un fiume in piena di parole che non riuscii a trattenere nella mia mente ma che rimasero in suoni ovattati e distanti; la stanza bianca, i polsi legati da robuste cinghie assicurate al letto; il Garth che mi osservava così intensamente sull'isola sulla quale poi ci saremo sfidati per il ruolo di Capoclan.
    Tutto era confuso e non comprendevo come dei ricordi che sicuramente non mi appartenevano, li rivivevo in prima persona in maniera così dettagliata e precisa.
    La stanza era bianca e i due uomini se ne erano appena andati, avevano discusso dell'utilità - supposi al momento - di uccidermi o non uccidermi, sembrava che volessero trattenermi per degli studi ulteriori riguardo alla capacità di risvegliare ricordi, o qualcosa di simile. Aprii gli occhi e la stanza era completamente vuota, le credenze affisse ai muri condividevano con esso il colore e tentai di aprile cosa che feci con tutte le altre alla ricerca di un qualcosa che potesse tornarmi utile, non sapevo nemmeno cosa sarebbe potuto rivelarsi utile ma prima di pensare a come poterlo utilizzare volevo trovarlo, qualsiasi cosa si sarebbe rivelata essere. L'ormai Ex-Garth smise di strisciare e, agonizzante, mosso da un moto di orgoglio si mise in ginocchio e fieramente impugnò Mumei nella quale fece confluire la sua forza vitale prima di cadere a terra morto. Ero il nuovo capoclan dei Mikawa.
    c.o.m.e - s.t.a.i - s.o.g.g.e.t.t.o. - 1.1.2? Mi guardai attorno spaesato, nessuno era presente nella stanza, la voce registrata era atona e fredda; non riuscii che a parlare a mezza voce continuando a cercare intorno a me una via d'uscita, ero un fottuto topo in trappola, una fottuta cavia. Cccosa volete ancora da me? Maledetti bastardi, lasciatemi andare.
     
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17 replies since 29/4/2015, 22:33   481 views
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