La prima volta

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    Quel bastardo di mio Fratello

    Quindi sarebbe questa l'Accademia, eh, Mifuku?
    Mio fratello annuisce, schernendo con gli occhi il mio sguardo stupefatto. Non immaginavo fosse così grande. Né così piena di gente. Di ninja, anzi. Sempre col suo sorrisetto, Mifuku mi fa: Fratellino, io ho delle faccende da sbrigare dentro. Tu non puoi entrare, ovviamente. Aspettami qui in cortile.
    Perché mi hai portato allora?
    Per tirarti fuori da quel nulla sabbioso dove vivi...
    Mi tira una pacca sulla spalla e se ne va, salutando gente mentre si allontana. In pochi secondi sparisce all'interno dell'imponente edificio.
    Stronzo...
    Ci sono cascato come un allocco, lo ammetto. Anche se non capisco che vantaggio ne tragga mio fratello dall'avermi portato qui con l'inganno. Mi tiro su la sciarpa e mi ficco le mani sotto le ascelle. Fa un freddo boia in questo posto, almeno per i miei standard. Bello il mio deserto, col suo piacevole teporino! Qua però, almeno, non devo tenere gli occhiali e non devo coprirmi la faccia: il rischio di insolazione è quasi nullo con quei nuvoloni minacciosi lassù in alto. Mi mettono una certa tristezza, devo ammettere. Ma una tristezza particolare, di quella che in fondo non ti fa stare male. Girovago mogio per il cortile. Vedo una panchina e mi siedo. Sigaretta. Ahhh.
    Stronzo...
    Quel bastardo di mio fratello mi ha veramente fatto fare tutta questa strada per lasciarmi qui fuori a fare nulla? Bah. Chi lo capisce quello.

    La sigaretta è finita, ed io devo ammettere che non sto poi così male. Osservo la gente che va e viene. Il palazzo, sede di una delle più potenti organizzazioni del mondo, ha un aspetto diverso da come mi ero aspettato. Quando Mifuku ne parlava in casa, lo descriveva sempre come un luogo intimidatorio, un luogo in cui il potere si respirava come a Suna la polvere. Adesso, a vederlo, mi sembra solo un grosso, grosso edificio pieno di gente indaffarata. Caotico, più che minaccioso. Diverso, sicuramente, dalla calma vuota di casa mia.
    La gente che passa mi incuriosisce abbastanza. Hanno tutti aspetti un po' fuori dal comune. Quasi non mi sento a disagio per i miei indumenti eccessivamente pesanti, o per i miei capelli candidi. Mio malgrado mi rilasso e dimentico l'incazzatura con Mifuku. Mi sistemo sulla panchina e me ne accendo un'altra.
    Questo viaggio non sarà servito a nulla, ma almeno potrò dare una versione diversa a Misora.


    3YeZLH


    OT - IMPORTANTE! Leggere!Questa giocata, pur essendo aperta a chiunque voglia partecipare, è un po' particolare, quindi voglio darvi alcune linee guida. Intanto è ambientata prima che il mio Pg decidesse di diventare un ninja. Scopo della giocata vorrebbe essere incontrare persone durante la permanenza nel cortile dell'Accademia, con cui interagire, e che possibilmente lo spingano a intraprendere la strada da shinobi. Non prendetelo come un imperativo, però. Chi volesse partecipare si senta libero di farlo come meglio crede, ricordando però che al momento della giocata il mio PG non è armato, né conosce le basi delle arti ninja XD. Quindi non attaccatemi, ecco. Spero partecipiate!


     
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    Burocrazia Ninja


    Da ormai dieci anni i suoi piedi non calcavano più le strade di Suna e, ora che vi aveva fatto ritorno, niente gli appariva uguale a prima. La città non era veramente cambiata in quel periodo. Erano sorti pochi nuovi edifici ed altri erano stati abbattuti, ma niente che riuscisse a spiegare la sensazione di smarrimento che gli comunicava quel luogo. I suoni e gli odori, così come qualsiasi altra cosa con cui venisse a contatto, gli parlavano di un mondo diverso, di cui lui non sembrava aver mai fatto parte. Se qualcuno gli avesse detto che Suna era stata rasa al suolo e ricostruita in maniera del tutto diversa, non avrebbe faticato a crederci. Tuttavia, le cause di quel moto di inquietudine che pareva non volerlo abbandonare dovevano essere ricercate dentro di lui e non nei palazzi delle vie che percorreva guidato da Shirai. Inoltre, la cecità aveva sicuramente contribuito ad aumentare il suo senso di smarrimento, ma non era ciò che l'aveva turbato.
    Era lui stesso ad essere cambiato radicalmente.
    L'orfano spaventato che viveva di espedienti aveva cessato di esistere, lasciando il comando a Haruki Miyazawa, il monaco rosso. Il bambino affamato che abitava la zona ovest, insieme a prostitute e criminali, ora poteva camminare a testa alta per i quartieri dove abitavano le classi più abbienti. Non doveva più vergognarsi, non doveva più mendicare o rubacchiare per sopravvivere. Ora la sua vita aveva uno scopo. L'obiettivo di tutti i suoi sforzi non sarebbe più stato riuscire ad arrivare al giorno successivo, ma i suoi gesti sarebbero stati il frutto della volontà divina. Lui rappresentava il culto della Fiamma. Era diventato uno strumento del principio immanente che sosteneva l'esistenza del mondo. Il Tempio l'aveva raccolto dal fango e dalla miseria, elevandolo dal suo stato di reietto per conferirgli l'immenso onore di poter adempiere ad un volere superiore. Proteggere gli abitanti di Suna dalla minaccia dello Yonbi era diventata la missione della sua vita. Era pronto a sacrificare qualsiasi cosa perché il suo sacro compito non venisse ostacolato. Avrebbe anche rinunciato alla sua stessa vita, se necessario. Eppure, nonostante fosse orgoglioso del nuovo sé stesso, non si sentiva ancora a proprio agio a Suna. Per quanto si sforzasse, non riusciva a scacciare quello strano ammasso di pensieri ed emozioni a cui non riusciva a dare nome.


    Per questa ragione, aveva accettato di buon grado l'opportunità di lasciare il villaggio per qualche giorno, pur essendovi trasferito da poco. L'ordine, anche se mascherato da cortese richiesta, gli era stato riferito da un Jonin che si era presentato a casa sua con una lettera firmata dal Kazekage in persona. Shirai si era preoccupato di accogliere quell'ospite e di leggere quel documento, verificandone l'autenticità. La sua presenza era richiesta all'Accademia ninja a causa di alcune procedure burocratiche che dovevano essere concluse al più presto. Evidentemente, era necessario sbrigare qualche altra commissione perché il suo ingresso nelle fila dei ninja di Suna venisse ufficializzato. Dopo che Haruki ebbe acconsentito a recarsi all'accademia, il ninja lo informò che il villaggio si sarebbe preso l'onere di fornirgli i mezzi per raggiungerla. Il giorno seguente, come gli era stato comunicato, una carrozza arrivò a prenderli.


    [...]

    Shirai, vedi qualcuno a cui potremmo chiedere dove si trova l'ufficio di registrazione?
    Il piccolo novizio si guardò intorno, sondando con lo sguardo l'ingresso dell'accademia e le persone che l'attraversavano. C'erano molti a cui avrebbe potuto domandare, ma la sua attenzione venne catturata da un giovane ragazzo che presentava i tratti tipici dell'albinismo. Aveva corti capelli bianchi, pelle chiara e un'abbigliamento pesante. Doveva essere la prima volta che Shirai poteva vedere qualcuno con un aspetto così diverso da quello tipico degli abitanti di Suna e, probabilmente, si deve a ciò la sua scelta.
    Giunti davanti a lui, Shirai avrebbe lasciato parlare Haruki.
    Buongiorno, sarebbe così gentile da indicare a me e al mio compagno la via per raggiungere gli uffici dell'accademia?
    Come sempre, il tono della sua voce, seppur cordiale, sarebbe stato fermo e deciso, senza tentennamenti, contribuendo, insieme alla postura, a dargli l'aspetto di chi ha ricevuto un'educazione molto severa, probabilmente di stampo militare.


    Ok, post sicuramente non di alto livello, ma almeno è qualcosa da cui partire. Vediamo cosa si riesce a tirar fuori dall'incontro tra questi due...

    Visto che non ci saranno combattimenti o altre cose del genere, non ho inserito la tabella riassuntiva con parametri, salute, etc.
    Shirai è l'attendente di Haruki. Un giovane novizio di circa 10 anni, ha corti capelli biondi, carnagione olivastra e indossa una semplice veste monacale color senape. Invece, Haruki ha addosso gli stessi abiti che si vedono nell'immagine della scheda, quindi è molto appariscente. Per il resto, a te la mano.^^
     
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    Il Cieco Rosso e il Freddo Bianco

    Va bene essere eccentrici, ma qui si esagera. Beh, quantomeno non sono l'unico ad andare a viso coperto. È passata appena una mezz'ora da quando mi sono seduto qui, e questi due sono sicuramente la coppia più strana che io abbia visto finora. Uno, quello che mi ha guardato e mi è venuto incontro, è palese un bambino, più piccolo di Misora forse, vestito da monaco. Anzi, non vestito: è un monaco, a giudicare dall'atteggiamento. L'altro, beh, l'altro è anche lui un monaco, credo, ma di un grado diverso, superiore forse. Vesti rosse, fluenti, filigranate in oro, in netto contrasto con la semplicità austera di quelle del bambino. Ha il volto coperto da una specie di velo nero. No, non un velo: mentre si avvicina scortato dal giovane, capisco che deve trattarsi più di una sorta di "maschera". Non so se per la maschera o per natura, ma il monaco rosso non vede dove sta andando, e si fa guidare dal ragazzino. Verso di me. Ora, io non sono un tipo particolarmente religioso. Ho le mie credenze, questo sì, ma non posso dire di essere un praticante in senso stretto in nessuna religione. Ma la vista di quel monaco cieco, giovane (per quello che mi è dato vedere) ma al contempo austero e solenne, mi fa scattare in piedi come una molla. Mentre i due si avvicinano, mi inchino a mani giunte in segno di rispetto.
    Buongiorno, sarebbe così gentile da indicare a me e al mio compagno la via per raggiungere gli uffici dell'accademia?
    La domanda mi lascia perplesso per un secondo, poi mi rendo conto che il monaco appare fuori luogo in quel posto almeno quanto me. Chissà cosa mi ha fatto pensare che fosse un ninja. Di certo non ne ha l'aspetto. E così bendato non può di certo fare molto. Mi domando ancora una volta se sia davvero cieco o indossi quella specie di maschera per fini rituali. Devo trovare un modo non scortese di chiederglielo.
    Buongiorno, Eccellenza - dico, rimanendo a mani giunte - purtroppo ha avuto sfortuna. Ha chiesto probabilmente all'unico qua in giro a non conoscere la zona. È la prima volta che vengo qua, e solo per accompagnare mio fratello. Ma se non le dispiace, la accompagno volentieri a cercare quello che sta cercando. Qua fuori mi sto annoiando non poco, tutto solo, e sto morendo di freddo.
    Gli sorrido, nella speranza di vederlo ricambiare. Sarebbe l'unico modo di capire cosa stia pensando, dato che ha la faccia altrimenti coperta.
    Inoltre, Eccellenza - aggiungo - mi piacerebbe parlare con lei di un paio di cose riguardanti la filosofia e la fede, se non la disturbo. Ho un paio di dubbi che vorrei chiarire, e credo che lei possa essere la persona giusta.
    Visto da vicino sembra molto più giovane di quanto credessi. Non deve essere tanto più vecchio di me. Eppure appare così serio, ed ha pure un servo. Mi viene da pensare che io, al contrario, non è che abbia fatto molto fino ad ora. Un pensiero non proprio incoraggiante. Ma si sa, le strade che prende la vita sono tante e noi non le controlliamo appieno. Magari un giorno toccherà anche a me, oppure no, chi può dirlo?
    In ogni caso, Eccellenza, il mio nome è Minobu, Shitsuchi Minobu, del Villaggio della Sabbia.

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    RESPONSIBILITY

    You cannot escape the responsibility of tomorrow by evading it today.




    Non era una gran bella giornata, quella. Nuvoloni neri gravidi di pioggia coprivano il cielo e un vento pungente stuzzicava in malo modo ogni passante che, convinto più che mai a fare solo il proprio dovere e a farlo entro poco tempo, si stringeva nelle spalle proseguendo a grandi falcate per i corridoi dell'Accademia Ninja Centrale, salutando solo chi conosceva prima di procedere a testa bassa verso quella o quell'altra burocrazia da compilare o consegnare.
    Una normale giornata di lavoro, dunque. Niente di più.
    Forse.

    «FERMATELA IMMEDIATAMENTE!»



    Una voce esplose piena di rabbia in un punto indefinito dell'edificio amministrativo e improvvisamente qualcosa, con un grande fragore, parve esplodere: una finestra al terzo piano si era appena aperta di botto, sbattendo con violenza nel muro cui era incardinata, rimanendo intatta quasi per miracolo ma creando un baccano tale da far trasalire tutti gli altri burocrati nelle sale adiacenti.
    Chiunque l'avesse aperta doveva aver preso male le misure. Certamente questa sarebbe stata la prima cosa a cui una persona normale avrebbe pensato.

    «SHIZUKA-SAN FERMATEVI SUBITO! NON STO SCHERZANDO!»



    Un passerotto.
    No, un falco.

    No, no.

    Una persona.

    Già. Ecco cosa si era appena gettata da quella finestra aperta: una persona.
    Una ragazza per la precisione, come avrebbero testimoniato i lunghissimi capelli castani che, raccolti in un'alta cosa di cavallo, danzavano dietro il suo corpo incurvato nello slancio, liberando così un volto dalla carnagione rosea in cui due profondi occhi verde smeraldo ridevano al pari della bocca, carnosa e rubiconda.
    «Kiri di nuovo? Studenti di nuovo? Oh vi prego!» Strillò la ragazza volante, aggrappandosi al ramo dell'albero che si stagliava di fronte alla finestra da cui aveva era saltata, prima che il suo pittoresco appellativo si tramutasse in “la ragazza spappolata a terra”. Dietro di lei, immediatamente, un burocrate di venticinque o ventisei anni corse alla balaustra, con il suo ampio haori bianco recante il simbolo dell'Accademia sulle spalle contratte e il volto triturato dalla rabbia.
    «NON SIETE VOI A DECIDERE, SHIZUKA-SAN! MI AVETE SENTITO?!» Urlò il tipo, ruggendo come un drago inferocito. «SIETE LA COPIA SPUTATA DEL VOSTRO DANNATO MAESTRO!» Aggiunse furente, continuando a sbattere le mani sulla finestra prima che qualcuno, alle sue spalle, cercasse di fermarlo. Scostando quel blando tentativo di aiuto, l'uomo alzò le mani al cielo, iniziando furiosamente a inveire. «E VOI COSA DIAVOLO FATE?! PRENDETELA IMMEDIATAMENTE!» Strillò, battendo poi i piedi a terra. «E VOI SHIZUKA-SAN COME PENSATE CHE LA PRENDERA' L'AMMINISTRAZIONE DI KIRI, EH?! COSA DIREMO AL MIZUKAGE?!»
    «Ditegli che non ho voglia.»
    Rispose la donna che pareva chiamarsi Shizuka, sorridendo da un ramo mentre si grattava il retro del collo, spensierata. «Non penso che Bakaitai avrebbe problemi a crederci, davvero...e poi dai, sono così pieni di validi ninja a Kiri, perché devono sempre scomodare me da Konoha...? Questa cosa ha smesso di essere divertente tre missioni fa.»
    «B-B-B-B-B-AK...»
    Balbettò il burocrate, impallidendo istantaneamente. Portandosi le mani alla testa l'uomo cercò di articolare un suono che avesse un senso compiuto, ma sapeva già che non avrebbe mai potuto ripetere quell'orribile bestemmia che aveva sentito pronunciare... “bakaitai”? Il nobile e fiero Mizukage di Kirigakure no Sato?!
    Dal suo albero la ragazza, sconcertata da quella balbuzie isterica (ma divertente) sembrò cominciare a fare il verso al suo interlocutore e questo, a quel punto, parve essere sul punto di esplodere.
    C'era un limite di sopportazione per ogni essere umano, e a quanto pareva Kaito Shemasen aveva raggiunto il suo.
    «PRENDETELA A TUTTI I COSTI, MALEDIZIONEEEEEEEEE!» Strillò, e per poco non sembrò essere sul punto di roteare su se stesso e andare in frantumi...
    ...uno spettacolo che si sarebbe rivelato divertente da vedere, se non fosse stato che una sua “cattura” avrebbe comportato l'ennesima missione al Paese dell'Acqua. E gli Dei solo sapevano quanto odiasse quel posto.
    No. Non l'avrebbero avuta. Mai.
    Gettandosi di sotto dall'albero, la ragazza iniziò a correre mentre il suo volto si contraeva nell'orrore: odiava Kiri, cioè, si respirava acqua in quel posto del diavolo... era quasi peggio di Suna, dove ci si trovava la sabbia pure nelle mutande (e anche se non si erano mai tolte, il che lasciava molto spazio all'immaginazione)... Insomma, non potevano spedirla ad Oto, ogni tanto? Kusa, forse? O il Paese del Tè, certo, con quelle buone focaccine ripiene di marmellata...
    Un gorgoglio, simile al ruggito di un mostro, scosse le colonne bianche tra le quali la ragazza si era appena gettata, sperando di trovare un nascondiglio. Di tanto in tanto, sorridendo e facendo un cenno allegro con la mano, salutava qualche persona, che per tutta risposta si limitava a sospirare, sghignazzando con rassegnazione. Pareva infatti che non fosse la prima volta che una cosa del genere succedeva, lì all'accademia.
    Non era una novità: Shizuka Kobayashi non apprezzava prendere incarichi per altri villaggi. Per la verità, se ci riusciva, cercava anche di non prendere quelli del suo stesso villaggio.
    “Quando sarai Chunin, sarai libera.” Le aveva ripetuto Raizen almeno un centinaio di volte, per darle la forza di terminare i suoi allenamenti al limite della denuncia. “Vedrai. Farai un sacco di cose nuove.”
    Già. Ma se avesse saputo che quelle cose nuove erano girare per i Paesi conosciuti aiutando a destra e a manca, venir mandata in missioni di infiltrazione in cui puntualmente rischiava la pelle, essere infilata in ospedali per turni di giorni in cui era già un privilegio avere il tempo di lavarsi la faccia e un altro centinaio di obblighi di quel tipo... beh... si sarebbe limitata a rimanere l'erede del suo Clan e basta. La vita da Principessa, dopotutto, non era così male.
    «Dei perdonatemi, non è che non amo il mio lavoro...» Piagnucolò Shizuka Kobayashi, svoltando l'ennesimo angolo e gettandosi a quel punto nel cortile sul retro dell'edificio accademico. Pareva essere vuoto, ad eccezione di tre figure in fondo, una più stramba dell'altra. «...vorrei solo non amarlo così tanto, ecco.» Gemette, tirando a dritto. In effetti, per quante scene facesse, alla fine accettava tutti gli incarichi. Tutti. Ecco perché chiamavano sempre lei. Non sapeva dire di no. Era questo il grande problema.
    “E' tutto per la buona reputazione di Konoha.” Cercava di spiegarle puntualmente Takumi dell'amministrazione della Foglia. E quando si parlava della sua amata Konoha non c'era niente che lei non fosse pronta a fare...
    ...ma adesso basta. Era giunto finalmente il giorno in cui avrebbe iniziato a dire di “no”. Ecco.
    Non l'avrebbero avuta! Mai!!
    «TROVATELA! DEVE ESSERE DA QUESTE PARTI!» Urlò improvvisamente una voce da sotto il porticato che precedeva il cortile. Un forte rumore di passi e di lunghi haori di cotone svolazzanti accompagnò quelle parole come una condanna a morte.
    Facendosi pallida come un cadavere (quello che sarebbe diventata se fosse stata messa nelle di Kaito), la ragazza accelerò a tutta velocità e senza neanche dire una parola...
    ...si buttò letteralmente in mezzo al trio delle uniche persone lì presenti. Senza un attimo di esitazione la donna agguantò il tipo bendato per la collottola dell'abito, trascinandolo di fronte a sè per coprire la sua figura, poi, con una velocità che rasentava il secondo, si abbassò verso l'altro supposto ragazzo, quello incappucciato come se fosse Dicembre e non Maggio inoltrato, che era seduto sulla panchina... e prima che chiunque potesse dire o fare qualcosa, la fuggiasca si abbassò e... baciò l'imbacuccato, tirandosi dietro pure l'altro, il bendato, per far sì che la sua “idea geniale” non venisse subito smascherata. Un secondo dopo qualcosa stridette in fondo al cortile.
    «M-m-ma che diav–...» Gemette improvvisamente una voce maschile, strozzata.
    «...Dai Sorata, che fai, guardi...? Girati!» Supplicò una seconda più tenute, di ragazza, tanto imbarazzata da tremare.
    «Ma sono all'accademia, non dovrebbero fare queste cos–... e poi, ehi, quanti diavolo son–...»
    «A ognuno piace come piace. Uno, quattro, cento, chissenefrega?»
    Intervenne un'altra voce, spazientita. «Andiamo, o quella correrà via sul serio. E' incredibile quanto diavolo sia veloce quando ha un incarico!»

    ...E lentamente i passi ritornarono sulla loro strada, deviarono direzione e poi sparirono. Solo quando non si sarebbe più sentito alcun suono provenire dal porticato, la ragazza si sarebbe riportata in eretta postura da quella curva che aveva mantenuto fingendo di schioccare un bel bacio al tipo incappucciato.
    Fingendo, certo, si era solamente accostata all'orecchio di lui, quasi infilandole la testa nel cappuccio, magari, ma non avvicinandosi poi più di troppo... insomma, chi diavolo andava in giro a baciare sconosciuti?
    […] Più o meno gli stessi che si buttavano dalle finestre, ma non importava poi troppo, in quel momento.
    «Hai fumato?» Chiese la straniera a bruciapelo. I suoi occhi verdi, grandi e profondi, si socchiusero in uno sguardo accusatore. «Non si fuma, fa male, hai idea di quanti danni ricevano i tuoi polmoni? Sei un povero demente, smetti entro oggi.» Ordinò prima di girarsi verso il tipo bendato, a cui sistemò l'abbigliamento come meglio poté. «Bella mascherina, c'è una festa a tema da queste parti?» Domandò, ironica. Guardò poi il bimbetto, ma a lui si limitò solo a fare un sorriso allegro. «Beh grazie per la copertura, mi avete risparmiato un bel problema...» E così dicendo si scostò il mantello verde notte in cui era avvolta. Sotto ad esso era vestita interamente di nero, con pantaloni di pelle e stivali di cuoio alti fino alle ginocchia, mentre la parte superiore di quella che probabilmente era la sua “divisa” consisteva solo in un bustino senza maniche, stringato sulla schiena e dalla più che generosa scollatura su un altrettanto più che generoso seno. Sulla destra vi era una grossa sacca a tracolla e, oltre quella, nulla più... nessun coprifronte, né simbolo che tradisse chi realmente era e da dove proveniva. Nulla. «Ecco qua, per il disturbo.» E aprendo la borsa ne tirò fuori tre grossi biscotti ripieni di crema e menta che infilò tra le mani di tutti i presenti. «La pasticceria Usagi di Konoha è la migliore di tutte le Terre del Fuoco, questi bocconcini sono un prodotto nuovo, sono sicura che vi piaceranno...» Visto che ne divorò due in un nanosecondo, a lei sicuramente piacevano. «Detto questo, a presto! Vi auguro un buon proseguimento! Addio!» E senza aggiungere altro si girò, iniziando a trotterellare via.

    Era una cosa risaputa, del resto... Shizuka Kobayashi era una tipetta tutta particolare. Si poteva quasi dire che “lasciava il segno”.




    Bartok :diego: Canny ha insistito tanto, cerca di capire U___U (?)
    Scusate la mia pg... Canny, ti avevo detto che era una tutta particolare. Detto questo, ho scritto il post di fretta, abbiate pietà see ya!
     
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    Inaccettabile!



    Lei è molto gentile, ma non c'è bisogno di chia...
    Prima che Haruki potesse completare quella frase, sentì una mano afferrarlo per la collottola, mentre il suo corpo veniva trascinato qualche passo più avanti.
    Ma che diavolo?
    Fortunatamente, realizzò subito che non si trattava di un'attacco. Se quella persona poteva avvicinarsi senza essere percepita e colpirlo tanto facilmente, avrebbe potuto ucciderlo prima che lui potesse anche solo pensare di reagire. Inoltre, Shirai era addestrato ad avvisarlo di ogni minaccia che i suoi occhi non potevano vedere. Il fatto che non avesse detto nulla suggeriva la mancanza di un reale pericolo. Il povero monaco fu anche obbligato a piegarsi in avanti, mentre la sua mente, troppo occupata ad elaborare quanto stesse succedendo, trascurò le voci che provenivano da dietro di loro.
    Cos'era successo al mondo dopo che era entrato per la prima volta nel tempio? Prima, il puzzo del tradimento si era insidiato perfino all'interno del monastero e ora, parlando tranquillamente con un ragazzo, qualcuno si permetteva di strattonarlo come una bambola di pezza. Da quando i monaci venivano trattati in quel modo? Ai ninja e agli abitanti dei grandi Paesi non venivano più insegnati la disciplina e il rispetto?
    Qualche secondo più tardi, sentì ridursi la forza che lo tratteneva, potendo quindi ritornare ad una posizione eretta. Haruki era troppo impegnato a gestire lo sdegno e ad arginare i sentimenti negativi, perché potesse elaborare una risposta verbale.
    Solo quando sentì la voce di quell'estraneo, riuscì a reagire a quell'imperdonabile mancanza di rispetto. Era una donna, probabilmente molto giovane, poco più che un'adolescente. Haruki fece fatica a credere alle proprie orecchie. Aveva anche l'ardire di rimproverare Minobu, dopo averli trattati in quel modo.
    Tutto ciò è Inaccettabile!
    Sbottò infastidito, mentre il suo tono aveva cessato di essere inespressivo. Quando la ragazza si rivolse a lui, cercando di sistemare le sue vesti, allontanò le sue mani con una rapido gesto. Era già intollerabile che uno sconosciuto si permettesse di toccarlo, il fatto che fosse una ragazza a farlo peggiorava soltanto le cose.
    Oh, dei! È questo quanto rimane della pudicizia femminile? Dove sono finiti i valori che tutte le donne dovrebbero conoscere e considerare sacri?
    La maleducazione di quella ragazza non aveva fine e ciò che diceva sembrava avere come unico obiettivo far arrabbiare il monaco rosso.
    «Bella mascherina, c'è una festa a tema da queste parti?»
    Ovviamente, Haruki non sarebbe stato in grado di capire la non poi così sottile ironia celata in quella domanda.
    Questa non è una mascherina!
    Sputò quell'ultima parola come se fosse un grumo di veleno rimastogli in bocca. Aveva veramente superato ogni limite. Tutti dovevano essere impazziti durante la sua assenza. Oppure, negli altri villaggi avevano davvero cessato di insegnare le buone maniere? Anche le prostitute della zona ovest avrebbero mostrato più rispetto per un membro del clero.
    Ciononostante, quando parlò ancora, dalla sua voce non trasparivano rabbia o ira, ma, a chiunque l'avesse ascoltata, probabilmente sarebbe parsa più simile a quella di un professore o un sacerdote che ammonisce uno studente. D'altronde, certi sentimenti non si addicevano ad un monaco. A ogni modo, se fosse dipeso da lui, le avrebbe insegnato come comportarsi come avevano fatto con lui. Con il sangue e con il fuoco. Ma non si trovava più al Tempio e doveva limitarsi agli strumenti che aveva a disposizione. Sfortunatamente, i villaggi ninja non sembravano apprezzare i severi mezzi impiegati dai monaci. Si erano rammolliti con il tempo, abbandonando il fervore del passato. Più si immergeva in quel mondo intriso dal peccato, più Haruki sentiva la necessità di correggere gli errori che gli altri avevano trasformato nella prassi comune. Avrebbe iniziato insegnando a quella donna come agire in presenza di un uomo e, in particolare, di un esponente di un'istituzione religiosa.
    Lei sarebbe stata la prima conquista della sua personalissima crociata per ristabilire l'ordine nel mondo. Ormai era evidente che nessuno più si comportava come i loro antenati avrebbero voluto. La cosa non poteva che essere considerata del tutto Inaccettabile.
    Come sempre, la sua volontà incrollabile gli avrebbe impedito di desistere dal perseguire i propri scopi, anche difronte a difficoltà estreme. Quando Haruki si metteva in testa qualcosa, fargli cambiare idea costituiva un'impresa molto ardua. Inoltre, il suo altruismo gli imponeva di agire per salvare dalla perdizione le anime smarrite che incontrava sul suo cammino.
    Questo velo rappresenta il mio ruolo all'interno del sacro ordine che rappresento! È un simbolo del mio impegno e dei miei sacrifici. Non un vile orpello da indossare per divertimento!
    Sentenziò solennemente, mentre la donna continuava a insultarlo con i suoi modi da zotica. Infatti, aveva estratto qualcosa dalla sua borsa, che rapidamente infilò nelle mani dei tre ragazzi. Haruki lasciò cadere a terra il biscotto che la kunoichi gli aveva dato, senza aspettare che la ragazza finisse di elogiarne la bontà. Lui era un monaco. Era stato educato a disdegnare i piaceri materiali. Difficilmente si concedeva qualcosa di più elaborato di una ciotola di riso e del pesce. Pensava di imbonirlo con dei dolci? Inaccettabile. Mondare la propria anima da tanta insolenza le avrebbe richiesto di indossare un cilicio per almeno una settimana. Tuttavia, Haruki, viste le sue condizioni, si sarebbe accontentato di ricevere delle sentite scuse e la promessa di purificarsi attraverso il digiuno e l'astinenza dai piaceri materiali. Di qualsiasi tipo. Chissà di quali torbidi peccati si era macchiata quell'infedele. Scacciò quelle terribili immagini dalla sua mente, per tornare a concentrarsi sulla sua missione. Tuttavia, un particolare in quanto la kunoichi aveva detto lo turbò maggiormente.
    Pasticceria Usagi di Konoha?
    Si trovava difronte ad un altro abitante di quel villaggio? Atasuke gli aveva già dimostrato quanto poco severa fosse l'educazione impartita in quel luogo. Che quell'uomo fosse ancora vivo era già un insulto alla disciplina ninja, ora anche quella donna voleva rimarcare la totale manchevolezza del Paese del Fuoco?
    Riflettendo sul gesto della giovane, Haruki, nella sua immensa gentilezza, pensò subito alla purezza dell'anima del suo giovane allievo.
    Shirai, il tuo periodo di digiuno non è ancora finito. Spero tu non abbia intenzione di mangiare ciò che ti è stato dato.
    Poi, tornò a rivolgersi a quella screanzata che gli stava davanti.
    Signorina, dunque è così che si comportano gli abitanti di Konoha?
    Non aspetto che la donna ribattesse, continuando ad incalzarla con le sue domande.
    Pensa forse di riuscire a trovare marito, agendo con così poca grazia?
    I suoi genitori non si vergognano di avere una figlia che non pensa nemmeno a scusarsi, dopo aver agito in un modo tanto disdicevole?
    Forse non le sono state insegnate la compostezza e la raffinatezza, come si conviene ad una ragazza perbene?

    Haruki rimase immobile, le mani giunte in grembo, aspettando la risposta della giovane. Probabilmente, i suoi movimenti avrebbero anche tradito la sua cecità. Benché la ragazza si fosse allontanata e lui avesse cercato di seguirne il percorso, la sua testa non avrebbe indicato la stessa direzione che avrebbe assunto quella di una persona sana per rivolgersi a lei.
     
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    Dura la Vita del Mediatore

    Io credo fermamente nel kamma. Forse l'avevate capito. E, per chi non lo sapesse, il kamma è il sistema della retribuzione che ci guida nell'infinito circolo delle reincarnazioni. È il kamma che stabilisce in quale mondo ti reincarnerai, e il kamma lo forgiamo noi, vita dopo vita, accumulando semi karmici positivi e negativi. Tante azioni negative, e la prossima vita sarà peggiore. Tante azioni buone, e si va avanti nel ciclo, nella speranza, liberandosi in mondi migliori almeno dei bisogni materiali, di raggiungere un giorno la bodhi, l'Illuminazione. Inoltre le storture della nostra vita presente, così come gli avvenimenti positivi, sono frutto dei semi karmici delle vite precedenti. Ecco, spiegata in poche e manchevoli parole, in cosa credo io, Minobu Shitsuchi della Sabbia. Bene.
    COSA CAZZO DEVO AVER FATTO NELLA MIA VITA PRECEDENTE PER MERITARMI QUESTO?!?
    Un momento uno sta tranquillamente parlando con un simpatico giovane monaco, nella speranza di ricevere una parola saggia, o un semplice svago dalla noia di aspettare mio fratello.
    L'attimo dopo, BAM!, il tuo piccolo angolino di calma viene distrutto, infangato, disintegrato da...una ragazza! Quasi invidio il monaco cieco. Lui non ha visto quello che è successo. Non ha dovuto provare quel senso di impotenza. Anche se magari lui lo prova in continuazione. Non saprei. Ma io posso giurare di non essermi mai sentito così assurdamente scavalcato dagli eventi: la ragazza si è mossa ad una velocità quasi impercettibile. Semplicemente si è materializzata davanti a noi, ha afferrato entrambi per il collo e mi ha quasi baciato! È la prima volta che mi trovo così vicino ad una donna, e la sensazione, beh, è...del tutto indifferente, ad essere sincero. Adesso, col viso di lei ficcato nel cappuccio, riesco a sentirne l'odore. La consistenza della pelle contro la mia. Più in basso, due grosse protuberanze premono contro il mio petto. Tutto ciò non è spiacevole, ma non come mi aspettavo. È, diciamo, piuttosto indifferente. La ragazza rimane lì un po', tenendo me e il monaco stretti a lei, ma io sono troppo stupito per cercare di liberarmi. Grandi domande mi affollano la mente. Il kamma ha un modo tutto suo di dirti le cose.

    Adesso sto tenendo in mano un dolcetto. Sembra buono, ma non mi viene neppure in mente di assaggiarlo. La situazione sta diventando sempre più delirante, e sinceramente non sono sicuro di come comportarmi. Prima mi fa la ramanzina sul fumo (l'ho ignorata, come faccio in genere con chi prova a farmi smettere di fumare), poi si mette a prendere in giro il mio amico monaco, poi ci caccia in mano questi dannati biscotti. Per un istante anche il monaco sembra troppo stupefatto per parlare. Ovviamente non ricambia il mio sguardo sbigottito, ma sono sicuro che lo avrebbe fatto. Gli passa subito però. Ed inizia una tirata, molto, molto, moooolto stizzita, contro il malcostume della ragazza, in un disperato tentativo di ristabilire la propria dignità. Dopo poche parole, sinceramente mi sembra che stia anche esagerando. Certo, la ragazza ha lasciato esterrefatto anche me, ma sono sicuro che deve esserci un buon motivo per quello che ha fatto. Insomma, andare a criticare anche la famiglia di questa tipa, via, non si fa. Questo è un monaco vero, un asceta, un fottuto pruriginoso bigotto. Dei, perdonatemi per quello che sto per fare.
    Eccellenza, - lo interrompo - mi sembra che lei stia esagerando, ecco. Sicuramente la signorina ha avuto i suoi buoni motivi per fare quello che ha fatto, che comunque, Eccellenza, alla fine non è stato niente di più che farci prendere un bello spavento e...ehm...violare la santità della sua persona. Ehm. Non crede però che prima di iniziare a - vorrei direi pontificare, ma mi trattengo - muovere accuse alla signorina e alla sua famiglia, dovremmo quantomeno parlare e cercare di chiarirci. Sono sicuro che anche la signorina vuole farlo, non è vero signorina? Alzo la voce su queste ultime parole, perché la ragazza si sta già allontanando, senza la minima intenzione di aggiungere ulteriori spiegazioni.
    La prego, Eccellenza, non ne faccia una storia. Sta bene, no?, e questa è la cosa importante. Metta da parte il suo orgoglio e perdoni, sono sicuro che può farlo. E lei, signorina, dovrebbe quanto meno scusarsi con lui, e magari anche con me, ma è meno importante. Ha offeso un sant'uomo, credo, e il suo kamma potrebbe risentirne. Non vuole rinascere come, che so, una tenia, vero?
    E speriamo che il mio amico monaco sia più tollerante di quanto non sembri. O che alla ragazza non vengano altre strane idee. Non credo di farcela a sopportare una giornata del genere. E tutto perché mio fratello è, essenzialmente, uno stronzo e mi ha trascinato qui in questa gabbia di matti.
    Dei, datemi la forza di sopravvivere a questo confronto.
    3YeZLH



    Edited by C a n n e l l a - 29/5/2015, 18:57
     
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    UNEXPECTED

    The true adventurer goes forth aimless and uncalculating to meet and greet unknown fate.




    Shizuka Kobayashi era la Principessa ed unica Erede del più potente e famoso Clan di sete e tessuti del Paese del Fuoco. Si diceva di lei che fosse tanto brava a mercanteggiare, mantenendo in alto la dinastia che un giorno avrebbe guidato come Capoclan, tanto quanto lo fosse nel danzare, cantare, servire il té, e incantare i suoi ospiti con la dolcezza di sorrisi che pareva fossero in grado di ghermire i più indisponenti tra gli aristocratici delle terre conosciute.
    Una Principessa vera, dunque, come quelle che popolavano le fiabe che le bambine amavano farsi raccontare la sera prima di dormire.
    Una Principessa nel senso letterale del termine.

    ...Ecco perché nessuno aveva capito per quale ragione avesse deciso di intraprendere la carriera Shinobi.

    Si diceva che per opporsi al volere della sua famiglia e seguire così gli insegnamenti del famoso Raizen Ikigami, il Randagio della Foglia –conosciuto per le sue doti in combattimento tanto quanto per la sua scarsa propensione ad avere allievi, tra cui infatti compariva solamente lei–; la bella Principessa avesse dovuto stipulare un contratto con il suo stesso Clan, ponendo sulla scacchiera di un mondo troppo lontano da quello accessibile ai più, il suo futuro, le sue responsabilità e molte altre costanti che in tanti non avrebbero nemmeno immaginato poter essere oggetto di scambio, come l'amore e il rispetto.
    Intelligente, affilata, elegante e deliziosa, Shizuka era dunque stata per molto tempo il sogno di tanti importanti nobili, che avevano sperato di poterla sposare a qualche loro figlio...
    ...eppure, se l'avessero vista nell'ambiente shinobi, non avrebbero potuto immaginare che quella ragazza vestita di pelle e con lo sguardo divertito di una dispettosa cacciatrice, potesse essere la stessa leggiadra Principessa che sembrava volare sui suoi geta laccati durante le Danze delle Stagioni nel Paese del Fuoco.
    Immobile a qualche passo di distanza dal trio di individui, infatti, la Chunin della Foglia appariva molto lontana dall'immagine che l'aveva resa famosa nella fantasia comune, irrimediabilmente facendo credere, al momento di una sua presentazione, solo ad uno sfortunato caso di omonimia.
    Era ovvio, no? Del resto non poteva proprio essere che quella maliziosa lingua tagliente fosse davvero...
    «Sei cieco, mh?» Disse improvvisamente la ragazza, intrecciando le gambe per poi battere il tacco dei suoi stivali a terra un paio di volte. «Un sacerdote cieco, dunque.» Esclamò allegramente, facendo dondolare il suo biscotto tra le labbra. Non vi era malizia nelle sue parole, ma un'effettiva curiosità. Il suo volto, un caleidoscopio in continua mutazione, offriva infatti una costellazione sempre diversa di espressioni, altalenanti tra lo stupore, l'interesse e la tranquillità. In effetti, per quanto il primo dei suoi interlocutori sembrasse agitato, lei non appariva affatto condividere quel sentimento, proprio come se quanto le era stato appena detto, o forse la presenza stessa di quella persona, non le interessasse poi troppo. «...Appartieni all'ordine degli Shintoisti del Fuoco?» Chiese educatamente, ma poi, spezzando il biscotto con i denti e mettendoselo in bocca solo con la lingua, sorrise ironica. «Ovviamente no. Una persona come te, che non ho neanche bisogno di conoscere per vedere quanto sia poco attaccata alla realtà, assolutamente fuori posto, incapace di distinguere le cose con chiarezza, non può appartenere ai detentori del Fuoco.» Sentenziò con un'eleganza affilata. Passandosi un pollice ai lati della bocca, attenta a non rovinare il rossetto color ciliegia, la ragazza si pulì delle briciole del suo delizioso bocconcino prima di ritornare sui suoi passi e avvicinarsi al rosso, cui sorrise. «Pensi davvero che risponderò alle tue domande, ragazzino?» Chiese a quel punto con dolcezza e una neppur troppo velata punta di commiserazione. «Qualunque sia il “sacro ordine” a cui appartieni, hanno fatto davvero un lavoro incredibile nel crescerti. Non ho idea di quale sia il tuo scopo nella vita, ma se pensi che il tuo comportamento avvicinerà il tuo animo a quello di chi ti circonda, ti sbagli di grosso, poverino... ti hanno detto questo, nel posto da cui ti hanno rilasciato? Ti hanno davvero fatto credere che non sei assolutamente un ridicolo bimbo mascherato che parla con il rigore di cento anni fa e che la gente non deride osservando?» Domandò compassionevole per poi lanciare un'occhiata prima al bambino che teneva ancora il biscotto in mano e poi al ragazzo dai lineamenti candidi cui si era avvicinata in precedenza. «“Eccellenza”, giusto?» Disse ancora, sorridendo sarcastica. «Beh... perdonatemi per la mia mancanza nei vostri confronti, sono stata in effetti molto maleducata, ma dubito comunque di aver bisogno della vostra benevolenza e del vostro rigore.» E facendo un passetto indietro, si inchinò educatamente. La schiena dritta e la raffinatezza dei gesti, persino in un momento come quello tradivano un'educazione tra le più ricercate. «Una persona che si permette di giudicare, cieca non perché priva di vista ma perché totalmente incapace di comprendere il mondo in cui vive e le persone che lo vivono assieme a lui... una persona, in altre parole, così arida, non credo possa insegnarmi niente.» Ammise, riportandosi in eretta postura. «Quando imparerete a vivere, quando cioè avrete compreso che tendere una mano non significa prima colpirla e valutarla, ma semplicemente stringerla con dolcezza, avremo modo di parlare ancora. Per ora potete anche risparmiarvi di rispondere, “Eccellenza”.» E così dicendo, si scostò una ciocca di capelli dal collo facendo in modo che questi –lunghissimi e setosi, profumati di fiori di loto– colpissero il viso del sacerdote. Solo dopo quell'ultimo gesto di ostentata mancanza, Shizuka si voltò verso il bimbo, cui pose con dolcezza una mano sulla testa. Il suo sguardo, scevro della tagliente affilatura di cui si era vestito fino a quel momento, si stava già ammorbidendo. «Perdonami piccolo, non sapevo che tu dovessi rimanere digiuno.» Mormorò, ma si vide bene dall'indagare il motivo per cui gli fosse imposta una proibizione del genere, benché l'irritazione di una simile circostanza fosse evidente tanto nei suoi occhi quanto nel modo in cui diede le spalle al rosso. Socchiudendo gli occhi in un sorriso e iniziando a muoversi a quel punto con una leggiadria che gli occhi ciechi del monaco poco sarebbero riusciti a seguire, la kunoichi aprì dunque la sua borsa e ne tirò fuori un pupazzetto di cotone azzurro a forma di coniglietto dalle lunghe orecchie e il musetto paffuto. Attaccato ad una delle zampette vi era ancora un ago e una matassina di filo bianco che la ragazza, accucciandosi in terra, si sbrigò a fermare e chiudere.
    Poco più piccolo di una delle mani di lei, e dunque appena un ninnolo, il coniglietto aveva ricamata una splendida “K.” a puro filo d'oro su una delle zampette. Benché fosse evidente che quell'oggettino fosse stato ricamato con pezzi di fortuna, probabilmente più per passatempo che per un dovere reale, era di squisita fattura, pulito sia nel taglio che nella cucitura sartoriale, ma appunto imbottito di qualche manciata di sabbia bianca, probabilmente la stessa che si trovava nei grandi vasi nella sala d'attesa dell'edificio accademico. Niente di che, dunque, e la giovane Principessa, rendendosene conto, sorrise con sincero rammarico.
    «...Ti va di fare cambio?» Provò a chiedere, porgendo verso il bimbo che le pareva fosse stato chiamato con il nome di Shirai sia la mano vuota, in attesa di ricevere il biscottino, sia quella che conteneva il pupazzetto. Evidentemente, per quanto fredda fosse stata in precedenza, non intendeva comunque giudicare la circostanza che si ritrovava davanti, né pareva voler indurre il piccolo a disubbidire.
    Era abbastanza chiaro che non accettasse né trovasse logico quanto i suoi occhi vedevano e le sue orecchie avevano sentito, ma Shizuka Kobayashi era una donna che aveva viaggiato e conosciuto, sperimentato dunque molto più di quanto un suo coetaneo potesse vantare, e aveva pertanto imparato con il tempo che solo il rispetto del prossimo e l'ascolto silenzioso da cui nasce la comprensione e il miglioramento vicendevole, tutelavano quella pace che nel suo Paese veniva sempre chiamata a gran voce dalla “Volontà del Fuoco”. Ovviamente da questa consapevolezza a tenere a freno la lingua con un misogino maleducato, ottuso e chiaramente un povero hikikomori alla stregua del più pezzente di Otafuku, ce ne correva.
    Chiudendo gli occhi, sospirò.
    «Mi dispiace della gran confusione, qui all'accademia conosco quasi tutti, certo non potevo immaginare di finire a disturbare proprio le persone sbagliate.» Disse poi, mentre aspettava la decisione del bambino. Adesso si stava rivolgendo al ragazzo incappucciato, quasi fosse assolutamente decisa a non degnare più di attenzioni il monaco alle sue spalle. «Stavo cercando di...» Esitò, dubbiosa. Emh, come poteva spiegare? «...evitare di finire in un guaio, ecco.» Ripeté, perplessa. Che poi il suo tentativo l'avesse fatta cadere in uno ancora più grosso, ovviamente, preferì non valutarlo. Evidentemente gli Dei maledetti ce l'avevano proprio con lei. «I problemi al fronte stanno tenendo occupati molti Shinobi e c'è sempre da fare con richieste extra-villaggio, immagino tu lo sappia.» Disse, sospirando. Pareva dar per scontato che, almeno lui, fosse un ninja. Del resto era già abbastanza allucinante trovare un bonzo all'accademia, figurarsi due... «Ultimamente non faccio che fare la spola tra Kiri e Suna, ed essendo di Konoha non posso dire di trovare piacevoli quei climi eccessivi...» Mormorò, posando il mento sulle braccia intrecciate sopra le sue ginocchia. Ancora accucciata al suolo, si dondolò sui talloni per un po', prima di alzarsi. «Beh, con quanti team abbiamo disseminati per i territori extra-accademici penso che dopotutto sia necessario aiutare quando è possibile...» Borbottò cupamente. E in effetti lo credeva sul serio (anche se stava ancora scappando dall'ennesimo incarico). «...essere uno Shinobi significa questo, dopotutto, non pensi?» Chiese ancora, ma non sembrava considerare quella come una domanda vera e propria, o quantomeno una a cui era necessario rispondere. Sorridendo allegramente, con quel suo modo caratteristico che le faceva venire due fossette nelle guance, quasi avesse dodici anni e non venti, la Principessa di Konoha si aggiustò il mantello sulle spalle. «Beh, ti lascio a fare non ho capito cosa con il nostro sommo erudito.» Disse, prima di lanciare un'occhiata sarcastica al chiamato in causa. «Somma Santità, posso andare oppure pensate di riformare il mio carattere ancora, se mi è permesso l'ardire di chiedere?» Era talmente sarcastica che, a chi l'avesse ascoltata, probabilmente avrebbero cominciato a sanguinare le orecchie, ma lei, affilando lo sguardo, non parve curarsene. «Dunque... con permesso.» E inchinandosi con una teatrale piroetta fece per andarsene. In effetti pareva aver fretta.

    Cioè, non per altro... in teoria aveva quattro persone alle calcagne. Essere un'infiltrata le dava il grande vantaggio di saper sempre fruttare l'ambiente e le persone attorno a lei in modo eccellente, ma arrivati a quel punto non avrebbe saputo proprio come giocare ancora a dadi con la fortuna avendo per le mani solo un fumatore albino, un bambino e un sacerdote stitico.
    Deglutì, iniziando a sudare: Kaito l'avrebbe spellata. Ed essendo stato un torturatore prima di diventare burocrate, poteva ben credere che lo avrebbe fatto sul serio.


     
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    Haruki aveva ascoltato con attenzione quanto la donna aveva da dire, prima di parlare ancora.
    Questi Shintoisti del Fuoco devono essere alquanto pavidi, se pensa di potermi turbare con le sue parole.
    Si rivolse ad entrambi, cercando di rispondere anche al giovane che era stato trascinato insieme a lui in quella stramba situazione.
    La mia dignità o il mio onore, così come quelli dei mie confratelli, non possono essere sminuiti da azioni tanto sciocche. Quest'increscioso accadimento riguarda la decadenza della disciplina dei ninja. Per quanto le mie parole vi possano sembrare vane, il rispetto verso il codice di comportamento degli shinobi non può che essere assoluto.
    Poi, tornò a concentrasi su Shizuka, parlandole con la sua voce calma, lenta, da predicatore e, allo stesso tempo, colma di una severità sorprendente per un sedicenne.
    Ad ogni modo, come stavo dicendo a Minobu-san prima che lei mi interrompesse, non c'è bisogno di chiamarmi "Eccellenza". Il mio nome è Haruki Miyazawa e sono soltanto un umile monaco molto lontano dall'illuminazione.
    Si piegò in un veloce inchino, in segno di rispetto per le persone che gli stavano davanti.
    Tornando a noi due, signorina, per quanto la sua ostentata indifferenza e la sua altezzosa pretenziosità possano farla sentire immune da critiche, lei, oltre all'essersi comportata in modo disdicevole, si è anche dimostrata colpevole del peccato di cui mi accusa.
    Con la mano destra, sollevò l'ampia manica che copriva il braccio sinistro fino all'altezza della spalla. Ciò avrebbe permesso a Shizuka e Minobu di ammirare gli intricati simboli che coprivano la maggior parte della sua pelle. Una complessa alchimia di sigilli dava mostra di sé sul corpo del monaco rosso e, nonostante l'esperienza, Shizuka, anche se non avrebbe avuto difficoltà a riconoscervi il prodotto di tecniche estremamente antiche, non sarebbe riuscita ad interpretarne il significato. I segreti del Culto erano ben nascosti dall'abilità dei suoi sigillatori. Tuttavia, non sarebbero stati quelli ad attirare la loro attenzione. Dove la sua carne non era coperta dal nero dei Fuuinjutsu, erano presenti numerosissime cicatrici. Decine e decine di segni d'ustione, taglio, abrasione e chissà cos'altro. Sembrava che non ci fosse un solo centimetro di pelle intonso. Probabilmente, vi avrebbero trovato il retaggio di qualsiasi ferita che un uomo poteva infliggere ad un altro. Osservandolo meglio, si sarebbero anche accorti che quei segni non erano resi diversi solo dallo strumento con cui erano stati prodotti, ma anche dal differente stato di guarigione. I due avrebbero potuto ipotizzare con facilità che quei marchi fossero stati impressi nel corso di un tempo molto lungo e in momenti diversi. Forse in molti anni. Anche se Shizuka e Minobu avrebbero potuto vedere solo un suo braccio, non sarebbe stato sciocco supporre che anche il resto del suo corpo avesse affrontato le stesse prove di quell'arto.
    Io appartengo al Culto della Fiamma. Questo è ciò che mi hanno insegnato. Pensava che indossassi vesti tanto ampie e stravaganti solo per divertimento? Crede ancora che il mio rigore sia solo un vezzo da clericale? Noi monaci pretendiamo da noi stessi ciò che predichiamo alle genti.
    Haruki non aveva nessuna intenzione di desistere dall'obiettivo che si era prefissato. Quella donna doveva rendersi conto delle proprie debolezze e incamminarsi lungo la strada che, attraverso il pentimento e la contrizione, porta alla salvezza.
    Pensa ancora che il suo sarcasmo dozzinale e qualche scherno da ragazzina possano in qualche modo far vacillare la mia tempra? O che il vacuo chiacchiericcio della gente possa intorpidire la purezza della mia fede? Questa è la misura della mia devozione a ciò che è il mio dovere come ninja e come monaco.
    Lasciò la presa intorno al braccio destro, facendo tornare la manica a coprire le sue membra. Non voleva che troppe persone lo vedessero. Un monaco doveva avere l'umiltà di non ostentare le proprie virtù.
    Il mio unico compito è proteggere il mondo dalla terribile minaccia dei Bijuu e questi sono i segni del mio sacrificio. Io sarò anche diventato cieco, ma lei si dimostra altrettanto miope. Lei vuole insegnare a me come vivere, ma sembra non dare la giusta importanza ai valori necessari ad ogni ninja. Onore, lealtà, sacrificio, disciplina, onestà e rispetto. Questo è ciò che ho imparato, come monaco e come shinobi. Tuttavia, mi hanno anche insegnato ad apprezzare la devozione al proprio dovere. È per questo che, come abitante di Suna, la ringrazio per il suo impegno. È molto nobile da parte sua adoperarsi per salvaguardare la sicurezza dei paesi stranieri. Di questi tempi qualsiasi aiuto è sempre ben accetto.
    Si inchinò nuovamente, giungendo le mani, per poi fare una breve pausa. Nella sua voce non si potevano leggere astio o gentilezza, avrebbe detto quelle parole con la stessa sicurezza e tranquillità con cui gli avrebbe confermato che la terra era tonda o che il suo nome era Haruki.
    Inoltre, se la ragazza avesse pensato anche solo per un secondo che Haruki si fosse accontentato di quel sermone, si sarebbe sbagliata di grosso.
    Cionondimeno, mi domando se la sua immensa sapienza non le abbia suggerito di chiedere aiuto, invece che sorprenderci alle spalle e trattarci con scortesia. Pensava forse che mi sarei rifiutato di aiutare una kunoichi alleata? E l'idea di scusarsi, prima che io la riprendessi per la sua malagrazia, non le è mai passata per la testa? Mi illumini, sarebbe stato troppo impegnativo?
    Anzi, per usare le sue parole, non sarebbe stato meglio mostrare della dolcezza, prima di colpirci e valutarci?

    Haruki si sorprese di aver fatto del sarcasmo. Non era da lui abbandonarsi a simili sciocchezze. Le parole di un monaco devono fluire limpide e sicure come le acque di un fiume, prive di inutili impurità.

    Shirai, invece, seppur con esitazione, aveva accettato lo scambio offertogli dalla giovane, limitandosi a rispondere con un timido cenno della testa. Poi si era allontanato velocemente verso Haruki. Gli aveva stretto la mano e si era messo vicino a lui, come a volersi nascondere dalla kunoichi. Per quanto il Miyazwa potesse essere un insegnante estremante severo, il novizio vedeva in lui una figura simile ad un fratello maggiore o ad un padre. Il fatto che Shizuka gli si rivolgesse in modo tanto maleducato, non poteva che averlo turbato.
    Sentendo la presa del suo piccolo attendente, il monaco rosso si era limitato a sorridere e ad accarezzargli la testa con l'altra mano.


    Questa immagine dovrebbe darvi un'idea del numero di Fuuinjutsu che ricoprono la pelle di Haruki. ^^


    Edited by Bartok. - 28/5/2015, 21:04
     
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    Dove sta l'Ira dei Giusti?

    Devo averla combinata veramente grossa. Ormai è questa la conclusione a cui sono giunto: il mio kamma è irrimediabilmente macchiato e, a meno che io non passi la vita in un dannato monastero mangiando un chicco di riso al giorno, non riuscirò mai a farlo tornare abbastanza candido da non reincarnarmi nel peggiore degli spiriti infernali. Altrimenti, per quale motivo una giornata altrimenti noiosa, piacevolmente noiosa, si sarebbe dovuta evolvere in questo modo assurdo? Non bastava la signorina Shizuka, a interrompere la mia serena chiacchierata col suo quasi-bacio. No, doveva anche tirarci dentro il mio nuovo "amico" monaco. E il suddetto doveva rivelarsi ancora più bacchettone di quanto il suo aspetto e la sua carica lasciassero intuire. Ottimo. Un piccolo riassunto? La signorina, dopo averci strattonati, non si è scusata subito, ma lo ha fatto, più o meno, quando gliel'ho chiesto io. Bene. Ma il monaco, che adesso so chiamarsi Haruki, invece di accettare le scuse e liberarmi dalla presenza della kunoichi di Konoha, ha deciso di farle la ramanzina. Bene. Sul momento ho ingenuamente pensato che lei si sarebbe inchinata e se ne sarebbe andata, prendendo e portando a casa cotanta saggezza con la garbatezza di chi non condivide un'opinione, ma non lo fa notare a gran voce. Per amor del quieto vivere, almeno. Ovviamente mi sbagliavo. Gli ha risposto, la signorina, e con parole non del tutto fuori luogo. E così, in un rapido scambio di battute che nella mia letargia congenita ho pure fatto fatica a cogliere del tutto, una discussione civile, un semplice scambio di "scusi", "si figuri", "tutto bene", "saluti a casa", è diventata una guerra di saggezza. Parole secche e pronunciate con determinata freddezza. Veleno verbale all'ennesima potenza, da entrambe le parti. Ognuno sicuro di essere nel giusto. Due giganti, se mi passata la metafora non proprio calzante, a confronto.

    E nel mezzo, come pere cadute dalla parte sbagliata dell'albero, io e il timido ragazzino di nome Shirai. Lo guardo cercando di fargli capire che sì, anche io mi sento un po' uno stronzo in mezzo a quei due che litigano del nulla. Colgo le parole, ma non mi dicono nulla. Onore, disciplina, sacrificio. Doveri dei ninja. E chi se ne frega. Poi, al culmine del delirio. Shizuka regala un peluche al bimbo monaco. Un coniglietto. Ora, dico, chi è che va in giro carico di dolci e peluche? Magari ora viene fuori che ha pure la casa piena di gatti. E questo sarebbe un ninja? Di sicuro il monaco non ha visto lo scambio, o quantomeno non ha visto il coniglio. Meglio. Avrebbe fatto una tirata sulla poca serietà, peraltro del tutto condivisibile. Shizuka continua, e mi si rivolge direttamente per, cosa, la prima volta?, da quando è avvenuto il nostro incontro. Ottimo, pensavo di essere diventato invisibile, oltre che albino. Mi parla del significato dell'essere un ninja. Come se lo sapessi. E mentre guardo questi due non è che sia molto invogliato a scoprirlo. Non so cosa rispondergli e taccio.
    Poi tocca ad Haruki scadere nell'eccesso. Si tira su una manica. Ha il braccio ricoperto di cicatrici e simboli intricati. E inizia a parlare della sua vita di monaco, di come quei simboli siano la prova tangibile della sua devozione ad un ideale, che a quanto pare è quello di proteggerci dai Demoni. Poi ringrazia Shizuka per quello che fa per gli altri villaggi. Si inchina. Un barlume di speranza che viene infranto dall'ultima frecciatina sarcastica rivolta alla ragazza.

    Ecco, ora ditemi voi se io non sono la creatura più sfortunata dell'universo. Da qualche parte, nel mio passato, qualcosa deve essere successo, qualcosa che adesso la mia anima sta scontando. Sono sfigato pure nella sfiga: non la potevo scontare nella prossima vita? Ora basta, però. Decido che non posso più sopportare questa situazione. Anche e soprattutto perché nessuno dei due sembra badare eccessivamente a me. Sono troppo presi l'uno dall'altra, o meglio, da se stessi e dai loro immensi e stupidi ego. Due alternative: andarmene a cercare Mifuku e togliermi dalle palle, o dirgli due paroline.
    Oh, al diavolo! Decido per la seconda. Li interrompo prima che possano continuare quel grazioso ping-pong verbale, alzandomi e mettendomi a forza tra i due.
    ADESSO BASTA! Mi avete fatto diventare i capelli più bianchi di quanto non siano già! Ma vi state sentendo, vi rendete conto di quello che dite? O ascoltate solo le stilettate dell'altro per poterne riformulare di peggiori? Tu - dico, indicando Shizuka - dovevi chiedere aiuto. Non lo hai fatto, benissimo. Bastava scusarsi e andartene a compiere tutti i tuoi importantissimi incarichi extra-villaggio o che so io. Ah, e per inciso, io non sono un ninja. Non so niente della situazione politica tra villaggi, missioni e compagnia bella. Ma la colpa di tutto questo casino è - ed indico Haruki, per poi ricordarmi che non può vedermi. Gli premo l'indice contro la spalla. - tua! Che bisogno c'era di trattare così la ragazza? L'hai attaccata sul personale solo perché si è comportata in maniera stramba. Ha sorpreso anche me, lo ammetto, ma non da farne un dramma. Ho già pregato entrambi di smettere di beccarsi e comportarsi come persone civili. Mi avete ascoltato? No davvero! Ed ecco che qui tu - di nuovo verso Shizuka - entri prepontentemente nel torto. Lui pontifica da una parte, tu dall'altra, e lo accusi di essere solo un ridicolo bambino mascherato, parole tue. Pensate di avere la verità in tasca, tutti e due, tu con le tue cicatrici e il tuo onore, e tu con i tuoi modi bizzarri e le tue parole altezzose? Siete ridicoli, tutti e due. Si vede benissimo che abbiamo circa la stessa età, e per quanto possiamo avere avuto vite diversissime, sicuramente più traumatiche e piene di avvenimenti della mia, siamo tutti ugualmente lontani dalla Verità. L'unica verità è che un giorno pagheremo per tutto quello che abbiamo fatto. E non lo dico perché credo fideisticamente nel kamma: per me è una via da seguire, che vorrei regolasse ogni aspetto della mia vita. Nel dubbio, scelgo sempre la via mento traumatica per tutti, e voi dovreste fare lo stesso. Soprattutto tu, Haruki, dovresti accettare la mano che ti viene tesa, e tenere per te i tuoi giudizi. Nessuno di noi può giudicare gli altri. Né tu, né Shizuka, né io. Anzi sapete cosa vi dico: ignoratemi, non prestate caso alle mie parole, imbracciate le armi e risolvetevela alla vecchia maniera. Io penso che andrò dentro, perché ho un freddo boia. Mi scuso di essermi trovato qui, a trattenere te, Haruki, dando così modo a te, Shizuka, di trovare in noi due un riparo sufficiente. La colpa è solo mia.
    Mi inchino, mi accendo una sigaretta. Ne ho bisogno. Faccio per girare i tacchi, ma mentre lo faccio la vista mi si annebbia. L'ultima cosa che penso è: merda, ho parlato troppo...
    TUD!

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    UNEXPECTED

    The true adventurer goes forth aimless and uncalculating to meet and greet unknown fate.




    «Mmh?E' il momento dello spogliarello?»



    La situazione le era sfuggita di mano e questo fu abbastanza evidente quando il monaco cominciò a scoprirsi le braccia farneticando di cose che non stavano né in cielo (per fortuna sua) e né in terra (per fortuna propria). Non aveva ben capito per quale maledetta ragione quel tipo dovesse perseverare a replicare a qualsiasi cosa lei dicesse, rispondendo sempre per le rime nel tentativo di avere l'ultima parola.
    Alzando gli occhi al cielo mentre si portava una mano alla fronte, la Chunin della Foglia fece finire di parlare il tipo prima di sospirare sonoramente. Adesso sembrava davvero esausta, come se fosse una povera martire costretta lì dal giudizio ingiusto di un tribunale troppo severo.
    «Ascolta.» Esordì allora, con pacatezza. «Non voglio far vacillare nessuna tempra, per la verità non mi interessa nemmeno poi troppo cosa diavolo ti hanno fatto in quel buco da dove ti hanno rimesso in libertà.» Disse, riafferrando istantaneamente il braccio del Sacerdote, che scoprì ancora una volta con altrettanta velocità. Benché Haruki non avrebbe probabilmente potuto stare dietro a quel genere di rapidità e fermezza nella presa neanche se avesse avuto una vista perfetta, ciò che forse lo avrebbe colpito persino più di quella constatazione sarebbe stata la mano stessa della ragazza, che a dispetto delle cicatrici e dei calli che il sacerdote non avrebbe avuto difficoltà ad individuare sulla carnagione liscia e morbida, era molto più piccola di quello che ci si sarebbe aspettati. Con ogni probabilità colei a cui apparteneva non era poi molto alta, anzi forse era addirittura più bassa di lui. «“Culto della Fiamma”?» Disse solo dopo qualche attimo Shizuka, continuando a cercare nella geometria di sigilli e ferite ciò che sperava potesse aiutarla a comprendere quello che il monaco non pareva voleva rivelarle. Purtroppo, per quanto volesse sempre credere il contrario, non era ancora esperta come avrebbe voluto nell'arte dei Fuuinjutsu, ragion per cui, dopo aversi assicurata di aver memorizzato perfettamente quella simbologia –cosa che non le prese più di mezzo minuto grazie a quel tipo di memoria che era stata educata a maturare prima come Principessa di un Impero Economico e poi come Infiltrata– la kunoichi si limitò a lasciare la presa con disinvoltura. «Neanche nelle Terre più estreme dell'Anarouch ho mai sentito il nome di un ordine simile.» Disse la donna, ponendosi di fronte al rosso. Esattamente come questo aveva forse immaginato, il respiro della ragazzina arrivava da un punto più basso rispetto al suo viso, forse l'altezza della sua spalla. «Tieni in bocca parole molto superiori a quelle che ti puoi permettere, bonzo.» Disse la Chunin sorridendo mentre colpiva piano il viso del ragazzo con il dorso della sua mano destra. «Stai attento. Non so perché tu sia qui, ma sappi che nel mondo in cui hai messo piede entrando nei terreni accademici nessuno va in giro a riprendere il prossimo senza sapere chi ha di fronte, né tantomeno sventola in giro sigilli proibiti tanto antichi mentre fa danzare sulla lingua termini connessi ai Codati.» Sorrise con dolcezza prima di soffiare in faccia al ragazzo, dispettosamente. «Non avevo sbagliato la mia valutazione: credi di avere molto da offrire agli altri, ma non è così. Non so che genere di educazione tu abbia ricevuto, ma ciò che ti è stato detto è sbagliato. Il mondo Shinobi non affonda le proprie radici solo nell'abnegazione e nel sacrificio. Prima di questo vive per qualcosa che tu, povero ragazzino, non hai probabilmente mai sperimentato.» E così dicendo, reclinò leggermente la testa di lato, sorridendo. «Ti manca qualcosa che non potrai mai avere fintanto che non deciderai di cambiare, qualcosa che se non imparerai ad abbassare i muri dietro i quali ti sei schermato, costruendo una personalità che credi essere indistruttibile, non potrai mai ottenere. Sei cento anni in anticipo per poterti permettere di riprendermi, e non perché io sia la migliore sulla piazza...» Spiegò, sospirando. «...ma perché semplicemente ci sono passata prima di te. Dammi retta, Haruki.» Tagliò corto, chiamandolo per nome. «Non parlare con leggerezza di cose che non sai neanche cosa sono. Non essere convinto di detenere un rigore che in verità possiedi solo nella tua convinzione puerile. Non insistere a rieducare gli altri. Chi non ha visto il mondo, non può pensare di indirizzarlo. Chi non ha amato il prossimo, per quanto abietto esso sia, non può pretendere di mondarlo.» Si grattò la testa, sorridendo ancora una volta nell'abbassare leggermente lo sguardo. «Credimi.» Mormorò dopo un attimo di esitazione. «C'è chi ci è passato prima.» Poi però, l'espressione che per un istante era stata segnata da un sentimento indecifrabile, si perse nel labirinto di emozioni che la ragazza sembrava poter alternare da un attimo all'altro in modo sin troppo stupefacente, e Shizuka, voltadosi, fece appena in tempo a riacquistare il sorriso sarcastico che la contraddistingueva che...

    ...Minobu impazzì. Nel senso letterale del termine.
    Balzando in piedi dalla panchina su cui aveva immaginato potesse essersi fossilizzato, il ragazzo dai capelli bianchi iniziò infatti a strepitare, indicando prima Shizuka e poi Haruki, ininterrottamente, sbraitando e non risparmiando stoccate né per l'una né per l'altra parte. Per la verità comunque –come ebbe modo di pensare la kunoichi, grattandosi la testa– a discapito delle urla e del suo colorito progressivamente sempre più pallido (se possibile), che per un attimo le fecero temere il peggio, quello che stava dicendo non sembrava poi troppo sbagliato. Nel senso, in effetti fino a quel momento era l'unica persona che sembrava essere stata ragionevole.
    Già. L'unica ragionevole.
    «...Ti sei sentito escluso, Shiroi?» Domandò contrita Shizuka, portandosi una mano teatralmente tremante al viso. Che poi, chi diavolo era Shiroi? «Scusa, ti abbiamo ignorato e ti è presa così male...? Non offenderti, ti prego.» Continuò la Principessa, seguendo i movimenti del giovane che nel mentre stava dando loro le spalle, accendendosi una sigaretta. «Ti offro qualche raviolo al chioschetto qui davanti! Eddai, tra compagni bisogna cercare di capirsi!» Cinguettò la ragazza, alzando repentinamente una mano al cielo... «Diventiamo amici, Shiroi!» ...che lasciò cadere pesantemente sulla schiena dell'interlocutore intento ancora a darle le spalle.
    Un secondo dopo, questo, cadeva a terra come un sacco, rimanendo lì immobile.

    Silenzio.

    «Ehi... non scherzare.»

    Silenzio.

    «...Non ti avrò davvero fatto male per un colpo del genere.»

    Silenzio.

    «Shiroi...?»

    Silenzio.

    Girandosi e ritornando rapidamente sui suoi stessi passi, Shizuka posò una mano sulla spalla di Haruki sorridendo in un bagno di sudore.
    «E' morto.» Annunciò gravemente, annuendo. «Scavo una buca, tu benedici il suo corpo.» Disse prima di girarsi... e mettersi davvero a scavare una fossa poco profonda vicino al primo cespuglio ben folto che trovò, un'operazione che le costò qualche minuto abbondante visto che ebbe persino la premura di prendere le misure del cadavere. Quando ebbe finito, però, e trascinò per un piede il tipo dentro il buco, la soddisfazione di vedere questo così perfetto la riempì di una commozione tale da indurla a lacrimare.
    «Shiroi, eravamo migliori amici, è un peccato che tu sia caduto così.» Singhiozzò la Chunin, girando a pancia in su il cadavere prima di buttargli addosso un po' di foglie e alcuni fiori estirpati illegalmente dal cortile interno. «Ti ho voluto bene come ad un fratello. Non scorderò mai il tuo silenzio perpetuo e il puzzo di tabacco che ti usciva di bocca ogni volta che l'aprivi per dire cose a caso.» Ammise, incrociando le braccia sul petto del giovane. «Buon viaggio...» E calandosi lentamente su di lui fece per baciarlo sulla fronte... ma subito si paralizzò, sconcertata.
    Portandosi una mano alla bocca e indietreggiando nello strusciare per terra, la kunoichi si girò infine a guardare il sacerdote dopo un attimo di incredulità.
    «Harumi.» Chiamò. Chi fosse Harumi ovviamente era un mistero. «E' vivo!!!» Disse felicemente la ragazza, portandosi le mani al viso. «Gli Dei siano lieti di questo miracolo!!!» E a quel punto, gettandosi sul petto di Minobu, la ragazza fece finta di piangere disperatamente dalla commozione.

    […] Benché una persona normale avrebbe perdurato in quella recita meno di un minuto, tutto quell'ambaradan si protrasse per la bellezza di cinque, al termine dei quali la Principessa dei Kobayashi, riportandosi con il busto eretto, fece spallucce.
    «Ok mi sono divertita abbastanza.» Ammise. Poi però prese una mano di Minobu e piegandogli il dito indice infilò questo nel naso di lui. «...Oh Shiroi, ma cosa fai?» Chiese la ragazza iniziando a sghignazzare piano prima di asciugarsi le lacrime (stavolta sincere) dagli occhi.
    Solo quando si fu ripresa abbastanza da conquistare una certa integrità, la kunoichi sospirò, e senza smettere di sorridere alzò una mano all'altezza della spalla. Un istante dopo questa si illuminò di un alone di chakra blu elettrico ruggente e vivace, benché apparentemente imbrigliato. Educato.
    «Svenire per l'agitazione è qualcosa che avevo visto fare solo a mia nonna.» Avrebbe detto la ragazza, adagiando con dolcezza il palmo della sua mano sulla fronte del ragazzo dai capelli bianchi. Il tocco sarebbe stato inaspettatamente delicato benché deciso, fresco come acqua di ruscello ma coinvolgente come fuoco ardente. Un connubio di opposizioni, di contrasti marcati, eppure così sapientemente gestiti, dosati ed equilibrati, da creare un'orchestra piacevole. «Ehi Shiroi...» Chiamò la ragazza, sorridendo. Il suo chakra, piccante ed entusiasta, guizzò sulla fronte del ragazzo, andando a stimolare i recettori nervosi interessati alla sua rapida ripresa, che risvegliarono con rispettosa gentilezza. «...li vuoi o no questi ravioli?» Domandò, chiudendo gli occhi. «Offri tu, ovviamente. Usare i jutsu di medicina mi provoca sempre un grande appetito, e se tu non fossi svenuto a caso certo non sarei stata costretta a farvi ricorso.» Disse sorridendo. Era una Shinobi medico, dunque. «Dai svegliati, giuro che non ti ignoro più.» Promise. «Che diavolo di ninja sei, insomma? Un po' di amor proprio!» E a quel punto, avvicinandosi all'orecchio del ragazzo, bisbigliò lui qualcos'altro. Purtroppo però, se volontariamente o meno non era dato saperlo, il timbro di voce usato non fu tanto basso da poter impedire anche al rosso di sentire. «Se non ti svegli chi lo sente quella testa quadrata di Haruchi?»

    Già.
    ...Ma chi dannazione era Haruchi?


     
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    I'll be watching you.

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    Sei debole.
    Questa consapevolezza lo colpì con la stessa forza di una cannonata, spazzando via qualsiasi altro pensiero. Anche le parole di Shizuka smisero di avere un significato reale nella sua mente. Non che gli importasse molto di quella zotica. Le sue insinuazioni per quanto affilate e colme di fiele si erano già infrante contro la determinazione del monaco rosso. Haruki sapeva di essere nel giusto e i sordidi vaneggi di quella donna non facevano altro che alimentare la fiamma delle sue convinzioni. Per quanto la kunoichi di Konoha non potesse dire nulla per smuovere la fermezza di Haruki, il giovane Miyazawa si trovava nella stessa esatta situazione. Con la sola differenza che la sua volontà era illuminata dalla saggezza divina, mentre quella della kunoichi di Konoha era frutto della mancanza di disciplina. Gli appariva ormai evidente che per riportare gli altri ninja sulla via dalla Fiamma, avrebbe dovuto usare mezzi diversi dalla parola. Non aveva né il potere né l'autorità per smuovere dal peccato coloro che non potevano essere convinti dalle parole.
    Quella condizione era inaccettabile.
    Per porre rimedio al primo dei suoi difetti, sapeva cosa fare. Doveva iniziare ad allenarsi più duramente, doveva aumentare le sue conoscenze nelle arti ninja. Tuttavia, accrescere la sua influenza politica all'interno del villaggio sarebbe stato più complicato. Diventare al più presto un Jinchuuriki e dimostrare al Damyo il proprio valore sarebbero stati i primi passi sulla strada che da semplice monaco l'avrebbe portato agli scranni del consiglio di Suna. Se questi ragionamenti gli sembravano già sostenuti da una necessità inalienabile, quando la donna l'aveva toccato, Haruki ricevette un'ulteriore conferma della sacralità del suo dovere. Aveva avuto una sorta di visione, anche se molto meno chiara della precedente.
    La sua coscienza per quei pochi istanti aveva conosciuto un frammento di infinito, era stata attraversata da un'inspiegabile alchimia di suoni e immagini che raccontavano di quanto era accaduto e di quanto poteva succedere. Una cognizione estremamente profonda della realtà che non poteva essere spiegata a parole. Una volta tornato a casa, avrebbe richiesto al tempio alcuni antichi volumi. Doveva indagare la nature delle sue nuove percezioni e capire cos'era, di preciso, a provocarle.
    Ciononostante, per quanto gli risultasse difficile ammetterlo, su una cosa quella donna aveva ragione. Era evidente che ben pochi ninja accademici godevano di una morale degna di questo nome. Andare in giro a rivelare i propri segreti non era per nulla una buona scelta. Se la corruzione e il tradimento si erano insinuati perfino tra le mura del Tempio, in un villaggio ninja potevano trovarsi dovunque. Haruki avrebbe dovuto mostrare più attenzione nel rivelare le proprie intenzioni a persone di cui non poteva fidarsi. Per queste ragioni, si limitò a rispondere a quella donna con poche e semplici parole, mentre la sua voce continuava ad essere totalmente inespressiva.
    Con il sacrificio si può ottenere qualsiasi cosa e non c'è sacrificio senza dolore. Ma non mi interessa più discutere di ciò. È evidente che entrambi siamo fermi nelle nostre convinzioni e che lei non ha a cuore la salvezza della sua anima. Ad ogni modo, signorina, non si è ancora presentata.


    In aggiunta ai discorsi deplorevoli e dissennati di quella kunoichi, si aggiunsero le farneticazioni del ragazzo che Haruki aveva appena conosciuto. Si era messo a sbraitare di cose che non conosceva e non poteva capire, con il solo risultato di svenire per chissà quale ragione.
    Haruki se n'era accorto solo grazie a Shirai che, prontamente, gli aveva spiegato quanto era successo. Non aveva nessuna conoscenza in campo medico, pertanto determinare quali fossero le cause di quel mancamento gli sarebbe stato impossibile, mentre intervenendo non avrebbe fatto altro che danni. Inoltre, a preoccuparsi di quel ragazzino lagnoso ci aveva già pensato la zotica di Konoha.
    Ti prego, Shirai, porta questi documenti a chi di dovere e chiama un medico. Io sarò qui ad aspettarti.
    Estrasse da una tasca una piccola busta gialla, per poi porgerla al ragazzino che, senza replicare, obbedì al comando.
    Privato del suo prezioso attendente, Haruki si limitò ad ascoltare i rumori prodotti da quei due infedeli. Rimase immobile e in silenzio fino a quando la donna non lo nominò nuovamente. Non aveva nessuna intenzione di alimentare i suoi sciocchi giochi. Se voleva comportarsi come un infante che lo facesse senza il suo contributo. Chi non voleva farsi convincere del verbo della Fiamma che si esprimeva attraverso di lui, poteva essere persuaso solo con il sangue e il fuoco. Presto, quella donna non avrebbe più osato parlare in modo tanto sprezzante in sua presenza. Haruki riusciva perfettamente ad immaginarlo.
    Verrà il giorno in cui tutti si inchineranno davanti alla volontà divina.
    Presto, il mondo avrebbe rivissuto il fervore di un tempo.



    Mi chiamo Haruki, non Haruchi.
    Senza aspettare una risposta, continuò a rivolgersi a lei, non mostrando alcun interesse per il ragazzo steso a terra. Per lui provava solo un po' di pena, ma d'altronde era solo un civile. Se i ninja mostravano tutti lo stesso rigore di Shizuka e Atasuke, era già un miracolo che le persone comuni non si comportassero come vili selvaggi.
    Quando si sentirà soddisfatta anche di questa ridicola pagliacciata, sarei felice di ascoltare le sue storie a proposito dei codati. Sono un argomento che vorrei approfondire. Un monaco deve essere umile e la sua mente pronta ad apprendere quanto gli altri hanno da insegnare. Lei, nonostante la sua totale mancanza di buone maniere, sembra essere molto più esperta di me nel campo delle arti ninja.
    Haruki, per quanto la condotta di quella ragazza lo disgustasse, non mostrava nella voce alcun segno di astio o scherno. Se il destino aveva voluto fargli incontrare un individuo tanto deplorevole, c'era un motivo. Sprecare quell'occasione sarebbe stato un peccato imperdonabile. Avrebbe dovuto fare tesoro di quell'esperienza, cercando di apprendere il più possibile.
    Tutto accade per una ragione. Ogni cosa obbedisce alla volontà della Fiamma.
     
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    THE TWO OF THEM

    For good ideas and true innovation, you need human interaction, conflict, argument, debate.




    Era ancora inginocchiata a terra, con la mano ardente di chakra adagiata sulla fronte di Minobu, quando improvvisamente sentì la voce del Sacerdote ordinare al suo sottoposto-bambino di correre a chiamare un medico. Per un attimo fu stupefatta di quella richiesta ma poi, girandosi, sembrò come ricordare in quel momento che il secondo dei suoi tre compagni era cieco.
    Era strano per lei tenere a mente quella caratteristica, del resto il ragazzo parlava con quella sorta di stolta convinzione tipica solo di chi crede di vedere tutto e di vederlo bene... il che era, invero, una delle doti che maggiormente mancavano lui. E non a causa della vista, riteneva.
    Sospirando, Shizuka fece un cenno in aria con la mano libera, cercando di attirare l'attenzione di Shirai.
    «Non è necessario che venga chiamato nessun medico, sono io un medico.» Disse la ragazza, ma il bambino, dopo averle scoccato un'occhiata dubbiosa, partì comunque nella direzione che le era stata indicata. «Ah!» Esclamò allora lei, sconvolta. «Cos'era quell'espressione scettica, Shirai?! Torna subito qui, ragazzino!» Abbaiò, offesa. «Sono uno dei migliori medici di Konoha, bada bene! Presto sentirai il mio nome! Hai capito?! Presto!» Tuonò, ma non ne fu nemmeno per un istante poi troppo convinta.
    Shizuka Kobayashi era un'infiltrata e come tale si muoveva nell'ombra, nel silenzio del non lasciare traccia o ricordo di sé. Nessuno conosceva le sue capacità neanche nella stessa Foglia, che ignorava addirittura che la discendenza di sua madre, la grande Mononoke degli Uchiha, colei che un tempo era stata la più potente Jonin della dinastia del ventaglio, potesse averle trasmesso il gene dominante degli Occhi delle Menzogne.
    ...Solo Raizen sapeva. E lei, in un certo senso, se lo faceva bastare.
    Era a conoscenza dell'attitudine di molti Shinobi del mondo attuale, che vivevano per la gloria e l'ammirazione. Agivano per ottenere la riconoscenza di tutti, per essere acclamati come Dei. Parlavano di giustizia, rettitudine e morale con la stessa sicurezza con cui un folle disquisiva della verità delle cose. Eppure, erano amati oltre ogni misura.
    “Eroi” erano chiamati: i prodi protettori del proprio Villaggio, i signori della giustizia e della perfezione...
    ...lei, invece, al contrario di loro, non era niente più di un'ombra.
    Non era mai stata cresciuta per cercare la fama, per avere la devozione altrui, ma per essere la potente seconda faccia del Sole: la Luna.
    Da Principessa viveva con la modestia tipica di chi sapeva di poter fare molto, e di quel molto coltivava ogni germoglio, in silenzio, per offrire il massimo a chi un giorno ne avrebbe ammirato il fiore; da Shinobi invece serviva Konohagakure no Sato senza chiedere niente indietro. Senza lasciare traccia.
    Imperatrice delle menzogne, della manipolazione e della falsità, Shizuka era cresciuta ingannando chi aveva intorno sia come mercante –alla ricerca del migliore profitto– sia come Kunoichi –nel tentativo di proteggere le persone che amava, i suoi concittadini e il luogo in cui nasceva, da se stessa e le missioni in cui era coinvolta. Eppure, nonostante quella vita avrebbe forse potuto apparire ai più come un fardello insostenibile, lei ne era orgogliosa e dopotutto anche lieta.
    Benché non camminasse sulla strada che era universalmente riconosciuta come “giusta”, a discapito del suo vivere immersa fino alle ginocchia nella melma della corruzione per trovare il modo di pulire quella stessa mondezza e offrire ai propri fratelli e sorelle la serenità dell'equilibrio, Shizuka non poteva davvero odiare la strada su cui si trovava.
    Sapeva che ciò che i suoi concittadini e in generale le persone al fianco delle quali combatteva avrebbero visto di lei solo l'ombra ferma alle loro spalle, ma non rimpiangeva la sua posizione. Anche se tanti non lo sapevano, lei poteva sempre stupidamente vantarsi, nel profondo del suo cuore, di sapere che i loro sorrisi erano anche opera sua. Che la loro felicità era qualcosa per cui lottava senza tregua. Quello che era di lei, dunque, non importava.
    Non importava quanto avrebbe dovuto sedere nell'oscurità, con chi avrebbe dovuto scendere a patti e cosa avrebbe dovuto fare... tutto era per Konohagakure. Tutto era per la Pace.
    Tutto ciò che faceva, era per l'equilibrio. Il più alto. Il più puro.
    ...Eppure, nonostante tutto, mai per un istante aveva pensato di potersi considerare migliore degli altri. Mai aveva pensato di poter insegnare a chi aveva accanto cosa fosse davvero la correttezza delle cose.
    Probabilmente per quel motivo, il comportamento di Haruki Miyazaki era per lei il più lontano da comprendere. Lui che sembrava profeta di una verità unica e priva di macchia.
    Del grande “giusto”.

    «Non pensi di essere cento anni in anticipo per poter trattare di un argomento come quello dei demoni codati, Haruki?»
    La voce della Principessa del Fuoco era quieta. A dispetto di quella che aveva mantenuto fino a quel momento, sarcastica e caustica, adesso il suo tono era quello fermo di chi non sente più la necessità di scomporsi.
    Girandosi verso il suo interlocutore, la ragazza rimase un attimo in silenzio a guardare i lineamenti di chi aveva di fronte. Nella sua mente non poté fare a meno di comparire di nuovo la carnagione del braccio di lui, segnata da torture e sigilli ben oltre la comprensione di quella di un semplice Chunin come lei. Chiudendo gli occhi, sospirò impercettibilmente.
    «Sarò sincera con te, ora molto più di prima.» Riprese a dire la kunoichi, inchiodando con lo sguardo il Monaco Rosso al suo posto. Interrompendo il flusso di cure su Minobu, ormai perfettamente guarito e solo profondamente addormentato, Shizuka si alzò con spiazzante lentezza. Sia il suo tono di voce che i suoi occhi erano cambiati e benché Haruki non avesse potuto vederlo, avrebbe senza dubbio potuto sentirlo... come una sorta di agghiacciante sensazione che dalla base della sua nuca sarebbe rapidamente serpeggiata fino ai piedi. «Non hai in mano nessun sapere supremo. Non sei niente più di un adolescente che fronteggia per la prima volta qualcuno in grado di tenergli razionalmente testa. Hai di fronte a te molto più di un cammino retto e lineare per arrivare ad ottenere la purezza di comportamento e pensiero che cerchi così disperatamente di imporre agli altri.» E la sua voce, a quel punto, si abbassò come fosse stata gettata nelle profondità di una crepa avviluppata di oscurità. «Perciò smettila di cercare qualcosa che non ti puoi ancora permettere.» Ordinò in un gorgoglio profondo come la gola del mondo. Poi però, come se improvvisamente si fosse ricordata qualcosa di importante, si interruppe ed esitò.
    Non aveva alcun interesse nel terrorizzarlo, cosa che immaginò di poter fare molto bene –era chiaro dopotutto che quel ragazzo non avesse mai assaporato la vera paura, quella che solo uno Shinobi poteva infliggere e che nulla aveva a che vedere con il corpo e le parole. Per la verità, se le fosse stato possibile, voleva in qualche modo fare breccia in lui. Voleva riuscire a toccare la parte della sua persona che andava oltre l'abbigliamento ricercato e unico, il titolo imposto, il credo senza confine e limite...
    Affilando gli occhi, Shizuka Kobayashi rimase immobile. I suoi lunghissimi capelli castani, lisci come seta e leggeri come piume, ondeggiarono alla leggera brezza che si sollevò e che portò via con sé il suo profumo di fiori selvatici e loti color del tramonto, mentre lei, dopo un istante di breve esitazione, iniziò ad avanzare verso il suo interlocutore. Gli stivali venivano premuti al suolo con enfasi, perché producessero il rumore necessario affinché il giovane privo di vista ne percepisse l'avvicinamento e potesse dunque essere pronto al momento in cui la Principessa si fermò di fronte a lui, guardandolo dritto in faccia.
    Benché fosse evidente dai lineamenti del suo volto che quel ragazzo fosse di qualche anno più giovane, era lei quella più bassa. Neanche mettendosi in punta di piedi sarebbe infatti riuscita ad arrivare all'altezza di chi aveva di fronte, che si rassegnò perciò a guardare da quella spanna più in basso che le apparteneva, sorridendo ironicamente di sé.
    «Non devo essere una shinobi più esperta di quello che sono attualmente per capire che non ti piaccio.» Disse allora, scuotendo piano la testa. «Mi disprezzi? Ti faccio schifo?» Domandò educatamente, come se davvero fosse pronta a sentire la risposta di cui sembrava, paradossalmente, già conoscere il contenuto. «Tu invece mi piaci.» Affermò però a quel punto, e il modo cristallino in cui lo disse, la sincerità delle sue parole, semplice quasi da risultare priva di macchia, sarebbe stata talmente evidente da far arrossire chiunque, forse. «E sai perché? Perché ai miei occhi appari come un pulcino implume ancora intento a prendere bene le misure per compiere il suo primo volo.» Sorrise di quelle parole, chiudendo gli occhi nell'intrecciare le mani dietro la sua schiena. «Pensi di saper già volare, Haruki? Pensi seriamente che ciò che sei sia sufficiente?» Chiese in modo del tutto incredibile. Che fossero domande casuali, quelle? Perché stava chiedendo quelle cose, adesso? «Dimmi, Haruki...» Mormorò senza tregua la Principessa dei Kobayashi, riaprendo i suoi profondi occhi verdi sul volto del suo interlocutore. Non era necessario per lui avere la vista per capire che adesso era tornata seria. «Perché sei qui?»
    La domanda sarebbe arrivata con semplicità, e forse per questa ragione sarebbe apparsa del tutto spiazzante. Eppure lei, ancora immobile di fronte al ragazzo, non avrebbe denotato nessun tipo di incertezza. Si sarebbe limitata a rimanere ferma, in attesa, aspettando una risposta con una quiete quasi offensiva, proprio come se non le interessasse conoscerne il responso. E allora perché? Perché poneva quelle domande?
    Cosa voleva ottenere? Chi era davvero?
    Accennando ad un sorriso, fu a quel punto che Shizuka avrebbe alzato una mano e tentato di posarla sulla guancia sinistra di Haruki. Il tocco, se fosse stato permesso, sarebbe stato appena accennato, inaspettatamente delicato, in un certo senso materno ma in un altro femminile, profondo, un connubio dunque complicato da interpretare, come tutto il resto di lei, dopotutto. L'unica cosa che sarebbe stato facile individuare in quel gesto erano i calli che costellavano la carnagione liscia come seta e profumata come fiori appena colti. Calli di chi aveva impugnato armi e lottato più e più volte, prima di quel momento.
    «Ho incontrato centinaia di persone che parlavano di verità, risposte e rettitudine.» Ricominciò a dire dopo quel breve silenzio la Principessa del Fuoco. «Nessuno di loro, però, è ancora vivo.» Sospirò, scuotendo la testa. Per qualche ragione sentiva la mente annebbiata. Voleva dire qualcosa a quel ragazzo, lo voleva davvero, ma non sapeva come e forse neppure cosa. Sapeva solo che, per qualche ragione, il comportamento di lui era sbagliato...e lo era probabilmente perché nessuno aveva dato lui la possibilità di sperimentarne uno diverso.
    “Per favore” sarebbe allora stato forse il discorso più giusto da fare “avanza un passo dopo l'altro, con la calma che nasce dall'esperienza, godendo di ogni tappa affrontata, crescendo ad ogni evento vissuto. Impara...”
    «...Impara a ridere, a piangere e ad amare prima che il tuo cuore diventi arido e secchi nel deserto da cui nasce.» Disse invece, improvvisamente. «Impara a capire che la diversità del mondo è ciò che rende il mondo stesso un luogo da proteggere, e non correggere. Non c'è niente di perfetto nel creato, Haruki, ma la bellezza di poter comprendere la moltitudine di sfumature di tutto ciò che ci circonda, di tutti coloro che vivono ogni giorno con impegno e coraggio, rende il viaggio alla ricerca del nostro equilibrio l'avventura più straordinaria.» E così dicendo, avrebbe premuto con più convinzione la mano sul volto di lui. Alle sue spalle, la figura di un bambino stava tornando correndo in loro direzione, facendo strada a tre uomini adulti recanti l'haori del corpo nin accademico. «Poni domande interessanti, ma forse non quelle giuste. Prima di cercare di raggiungere il cielo, forse dovresti imparare a camminare sulla terra che hai sotto i piedi, Haruki.» Tagliò allora corto la Principessa, ritraendo piano la mano e guardando fermamente l'interlocutore. «E prima che tu inizi con rabbia a contraddirmi, ad offendermi, a biasimarmi per le mie parole, taci e rifletti. E' solo ascoltando gli altri che si cresce, è solo con il contatto altrui che ci si arricchisce, si cambia, si conosce la verità dietro la domanda. Nessuno può vivere per sempre da solo, Haruki, sopratutto se è uno Shinobi...» Detto questo, non aggiunse altro e si limitò a vedersi piombare addosso Shirai che accolse con un sorriso e una scompigliata di capelli. I tre Jonin che lo seguivano, invece, avevano bisogno di un benvenuto particolare... e di questo la Principessa del Fuoco ne fu certa quando uno di questi, fermandosi di botto e affilando lo sguardo su di lei, la squadrò da testa a piedi prima di inarcare un sopracciglio.
    «Avrai molte cose da raccontare a Kaito, temo.» Si limitò a dire il tipo, un biondo slavo con le gambe lunghe come quelle di una cicogna. «In effetti, da quello che stava sbraitando prima nei corridoi, penso che voi due parlerete, parlerete... parlerete fino a quando lui non perderà la voce, e tu la testa.»
    Sudando copiosamente, Shizuka deglutì.

    Nessuno poteva vivere da solo, soprattutto se Shinobi. Sacrosante parole.
     
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    Haruki l'aveva lasciata parlare senza interromperla. Aveva ascoltato con attenzione le parole di quella donna. Non si era scomposto quando Shizuka aveva cercato di intimidirlo, né quando con una mano gli aveva accarezzato la guancia sinistra. Per tutto il tempo il monaco era rimasto immobile come una statua, del tutto refrattario ai gesti e alle idee della kunoichi.
    Ancora una volta, aveva cercato di imbonirlo con i suoi discorsi ricolmi di melassa.
    Ancora una volta aveva cercato di minare la sua determinazione.
    Ancora una volta aveva fallito.
    Shizuka pensava di aver capito tutto di lui. Credeva di sapere quale fosse la misura della sua anima. Per lei, Haruki non era nient'altro che uno sprovveduto. Un giovane inesperto che non sapeva nulla della vita al di fuori delle mura del Tempio. Invero, aveva commesso un grossolano errore di valutazione. Quando riprese il suo discorso, la voce di Haruki non era mutata. Come sempre appariva calma, tuttavia carica di una certa severità. Io non sono mai solo, signorina. Dio è sempre con me. La Fede non mi abbandona mai ed è per questo che non ho dubbi sulla riuscita della mia missione. È questa la profonda differenza che ci separa. Lei non conosce l'ardore che anima ogni mia azione. Lei non conosce la grandezza della Fiamma. Si prese una breve pausa, per poi apostrofarla di nuovo. Se pensa che io la odi, si sbaglia. Io disapprovo il suo comportamento, ma è il peccato ciò che disprezzo. Le persone possono cambiare; possono redimersi. La dottrina ci insegna che esiste sempre una via per ottenere il perdono. Sono sicuro che anche lei, in cuor suo, prima o poi, si renderà conto della verità e della bellezza contenute in queste parole.
    Lui lo sapeva per esperienza. Prima di essere raccolto dal tempio, Haruki era uno di quelle persone che popolavano i quartieri più poveri di Suna. Non era nient'altro che un ammasso di carne e sangue dimenticato dalla legge e dagli uomini. Quella donna pensava che il Miyazawa non conoscesse affatto la vita, ma lui ne aveva visto il volto più oscuro. L'orrore, la paura e la disperazione erano state per molti anni le sue uniche compagne. A quei tempi, non aveva una famiglia, non aveva un'istruzione e non aveva un posto dove stare. Passava la maggior parte delle sue giornate a mendicare ai bordi delle strade o a rubacchiare il necessario per non morire di fame. Più volte era stato vittima dei soprusi dei più forti. I ricordi di quelle turpi violenze rimanevano ben saldi nella sua memoria. Ormai accadeva sempre più raramente, ma la notte gli capitava di rivivere in sogno quegli eventi. Spesso si svegliava tremante e madido di sudore, poi il suo cuore veniva colmato da una gioia incontenibile. Il giorno in cui Shinzo l'aveva salvato dalla miseria, Haruki aveva conosciuto Dio. Per la prima volta nella sua triviale esistenza, il vuoto nella sua anima era stato colmato. Gli fu dato un nome, gli venne affidato un posto nel mondo e un compito da svolgere. Lentamente nel suo cuore erano rifiorite la speranza e la felicità. Insieme a quei sentimenti si erano fatti strada in lui uno zelo e una determinazioni senza eguali. Era questa la caratteristica che lo differenziava dal resto dei suoi confratelli. Non era più il forte o il più intelligente, ma non c'era ostacolo difronte al quale la sua volontà vacillasse. Niente riusciva a farlo desistere dal portare a termine gli obiettivi che gli venivano assegnati, anche quando era la sua vita ad essere a repentaglio. La sua estrema fedeltà e il suo spirito di sacrificio l'avevano reso uno dei canditati più promettenti per il rituale di sigillo di un Bijuu. La cieca obbedienza che segnava ogni sua azione era il modo in cui Haruki aveva deciso di ripagare il suo salvatore.
    Non mi parli della felicità, dell'amore o della tristezza come se fossimo persone comuni. Non è ciò che siamo. Sia io che lei abbiamo rinunciato a questo lusso molto tempo fa. Noi abbiamo scelto l'abnegazione, il dovere e il sacrificio. Noi shinobi accettiamo la violenza e la guerra come parte integrante della nostra esistenza per garantire a tutti gli altri una vita tranquilla. Lei mi vede come un giovane inesperto, ma è evidente che anche lei non abbia ben compreso quali siano i doveri e gli obblighi di un ninja. L'ingenuità di Shizuka era del tutto inaccettabile. Com'era possibile che un ninja ben allenato ragionasse in modo tanto infantile? La sua mancanza di rigore la rendeva del tutto inadatta alla carriera che aveva scelto. Anzi, quelle caratteristiche, nel loro campo, erano un vizio che doveva essere eliminato al più presto. Probabilmente la decadenza che in quell'epoca caratterizzava i Grandi Paesi ninja era dovuta ad una estesa diffusione di quell'insostenibile lassismo. L'incapacità di sacrificare il proprio ego in favore di un bene più grande doveva aver contribuito ad accelerare il processo. Haruki continuò il suo sermone senza dare alcun segno di cedimento. Doveva riuscire a mostrare a quella Kunoichi quanto sbagliate fossero le sue posizioni e quanto dannose potessero essere per i suoi compatrioti. Io sono qui per compiere il mio dovere. Come monaco e come shinobi. Questo e null'altro è il significato della mia vita. Sono consapevole che la strada verso l'illuminazione sia tutt'altro che diritta e semplice. È una verità che il mio cuore conosce da ben prima del nostro incontro. Cionondimeno non ho intenzione di desistere. Conosco i miei limiti, ma non c'è ostacolo che non possa essere superato con la fede e con l'impegno. Io sono determinato a compiere la missione per cui sono stato scelto e per cui vivo. Ricordo il passato e posso vedere il mio futuro. Un futuro che mi impegnerò a costruire dando fondo ad ogni stilla della mia forza, compiendo tutti i sacrifici che mi saranno richiesti. Oh, sì. Haruki era cieco, ma il suo spirito riusciva a delineare con precisione il corso che la storia avrebbe assunto se tutti si fossero convertiti al Culto della Fiamma. Era quella visione che lo spingeva a contrastare strenuamente le farneticazioni di quella donna. La convinzione di poter creare un mondo migliore, dove l'obbedienza e la disciplina sarebbero state esaltate e non osteggiate, gli impediva di accettare la situazione attuale. Era pronto a tutto per realizzare quel proposito e ben presto se ne sarebbe accorta anche Shizuka. Pensa forse che io abbia paura di morire? Io sono solo uno strumento della volontà divina. La mia esistenza ha valore nella misura in cui posso adempiere al mio sacro compito. Io sono tutto fuorché indispensabile e non c'è niente che potrebbe rendermi più felice del sapere che qualcun altro ha raccolto il mio retaggio e quello dei miei confratelli. Finché anche un solo uomo osserverà i precetti della Fiamma, il nostro Ordine continuerà ad esistere e con esso tutti coloro che vi hanno fatto parte. Lei, invece, per cosa sarebbe pronta a donare quanto di più prezioso possiede? L'udito di Haruki colse i passi di Shirai, ma il suo attendente non era l'unico ad essersi avvicinato a loro. Altre persone avevano raggiunto il monaco rosso e la zotica di Konoha, interrompendo il loro colloquio. Quelle persone sembravano conoscere la donna che gli stava davanti. Haruki si limitò a rimanere in silenzio, cercando di capire cosa stesse accadendo.
     
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    BOND

    The strong bond of friendship is not always a balanced equation.




    Rimase un istante in silenzio, fissando il suo interlocutore. Era la prima volta che qualcuno la marcava sui primi istanti del suo comportamento e non le dava nessuna possibilità di rifarsi e lei, interdetta, esitò.
    «Senti, perché io e te non riusciamo a comunicare?» Domandò alla fine, dopo aver pensato strenuamente ed essersi premuta indice e pollice della destra sulla fronte, dubbiosa. Non riusciva a capire come una persona potesse essere così quadrata, ed era assurdo che lo fosse proprio un ragazzo tanto giovane. Insomma quanti anni poteva avere? Almeno tre o quattro meno di lei. «Non sto biasimando il tuo Credo. Io sono stata consacrata al Tempio Shintoista del Fuoco quando ero piccola, e come ogni membro del mio Clan apprezzo e seguo la via del Credo, come potrei biasimarti per una cosa del genere? E' possibile che il mio modo di agire non sia ortodosso, non come lo immagini tu almeno, è vero, ma credi davvero di poterti permettere di parlarmi in questi termini? Come puoi sapere come agisco e affronto la vita del fedele, della donna e dello Shinobi?» Immaginare una persona come Shizuka, che non esitava a imprecare sonoramente nelle più disparate delle circostanze, richiedeva un certo sforzo preponderato, ma come poterle dare contro? Da Erede Kobayashi era davvero devota al Fuoco...anche se effettivamente Haruki non aveva tutti i torti a dire che il suo comportamento non era dei migliori. Del resto se la sua famiglia avesse solo immaginato la metà delle cose che faceva da Shinobi, come minimo l'avrebbe immolata agli Dei. Sorrise a disagio, pensando a quelle cose...ma dopotutto, ciò che faceva era in nome di una causa, e questa era la Pace Accademica e la salvezza di Konoha. Avrebbe accettato di essere biasimata per ciò che era, se avesse comunque potuto mantenere i suoi propositi. Era finito il tempo in cui si lasciava spaventare dalla solitudine di un percorso come il suo. Chiuse gli occhi, e annuì. «E poi... com'è possibile che tu fraintenda ogni cosa che dico?» Riprese a dire, riportando il suo sguardo sul volto del ragazzo. «Vedi perché dico che sei cieco, Haruki? Tu vivi ascoltando gli altri solo per non capirli. E' ammirevole che tu abbia un così forte senso di giustizia e dei valori tanto radicati, ma come pensi di poter...» Esitò un istante, cercando di mettere il discorso, stavolta, in un modo che il sacerdote potesse capire. Capire davvero. «...come pensi di poter aiutare gli altri a diventare persone meritevoli, a comprendere ciò che è giusto e sbagliato, se tu per primo non hai visto tutte le realtà di questo mondo e non le hai vissute sulla tua pelle come proprie? Pensi che solamente parlando come fai, e perché no, quando sarai più potente usando la forza, le persone si convertiranno al tuo Credo? Alla tua verità?» Chiese gentilmente. «Esistono molti tipi di convincimento, Haruki, e due di questi sono la Paura e la Violenza. Ma è davvero questo che vuoi ottenere nel tuo percorso? E' così che vuoi aprirti agli altri, lasciando che loro vedano, attraverso di te e per te?» Domandò, sorridendo con pazienza. Lui era senza dubbio un ragazzo dalla forte tempra... ma ai suoi occhi era ancora un pulcino visto. E lei, appena un passerotto. Del resto, guardando a se stessa, sapeva di dover ancora volare lungo lidi sconfinati e cieli vastissimi prima di potersi definire falco.
    Chiuse gli occhi ancora una volta e a quel punto, inspirando a fondo, intrecciò le mani in grembo.
    Non credeva che sarebbe mai arrivato il giorno in cui avrebbe potuto parlare così a qualcuno...
    «Cos'è uno Shinobi, Haruki?» Chiese allora la Principessa del Fuoco, gentilmente. «Cosa serve lo Shinobi, Haruki?» Domandò ancora. «Qual è l'obiettivo dello Shinobi, Haruki?» Diede il tempo al ragazzo di pensare, di assorbire quelle domande, poi annuì. «Uno Shinobi è uno dei tasselli che formano il muro in grado di proteggere il Villaggio che definisce come proprio, ciò che serve e a cui deve fedeltà... ma non c'è Villaggio senza le persone. Ed è quindi al servizio della gente che noi Shinobi siamo. Serviamo la Pace che chi ci ha preceduto ha creato con fatica e molte perdite. Serviamo la giustizia.» Disse, poi tentennò un po'. Per un attimo si ricordò stupidamente il suo volto bambinesco, aveva circa la stessa età del ragazzo che si ritrovava davanti e una mano tagliata da un kunai impugnato male. Fissava il volto del suo maestro, Raizen Ikigami, che la ammoniva per l'ennesima volta. Era stato difficile far capire ad una Principessa cosa significasse essere un militare. Trattenne a stento una risata, rammentando la mano pesante del Colosso che le piombava sulla testa con un pugno mentre lei affermava di rifiutarsi di aiutare qualsiasi altro villaggio ad eccezione di Konoha o di portare rispetto a stupidi stranieri. Era sciocca, al tempo. Ma una sciocca convinta, come Haruki. «Esistono molte interpretazioni dell'essere Shinobi, ovviamente. Incontrerai nel tuo percorso chi ha adottato idee molto diverse da questa, e ascolterai tante verità diverse. Questa, però, è la mia.» Riprese a spiegare con dolcezza. «Noi combattiamo, viviamo nell'obbligo, è vero... ma nessuna mente sarà mai solida abbastanza da affrontare quello che un giorno tu vedrai.» E che lei aveva già vissuto. «Nemmeno la tua.» Sperò che quella volta il ragazzo non l'aggredisse, negando. Immaginò però che sarebbe andata così, era evidente del resto che quel giovane aspirante avesse già visto abbastanza orrore da poter dare lezioni a molti. Ma non aveva visto il vero fondo. E lei temette per un istante che se questo fosse avvenuto prima che lui fosse stato pronto, ciò avrebbe potuto mandarlo in frantumi. Com'era capitato a lei. «Non possiamo servire un Villaggio, l'Accademia di cui fa parte e tutte le persone se non capiamo cos'è la vita, l'amore, l'odio...se non viviamo tutto sulla nostra pelle. Se non rendiamo nostre tante diverse realtà, crescendo, cambiando, pur mantenendo solidi i nostri principi e le nostre verità.» Guardò in silenzio Haruki, e poi sospirò. Avrebbe voluto avere più tempo. Avrebbe voluto che il loro incontro fosse stato diverso. Avrebbe voluto poter spiegare lui tanto di quello che sapeva... in qualche modo, dopotutto, quel ragazzo gli ricordava se stessa. «Sei una persona importante, Haruki.» Disse a quel punto la Principessa, del tutto improvvisamente. Sorrideva. «Non esisterà mai nessun altro come te, perché neanche gli Dei possono creare un uomo uguale all'altro. La tua esistenza ha valore per questo. Sei indispensabile. Per questo e per tante altre cose che spero che capirai, un giorno.» Sorrise nel dire quelle parole. E lo fece con una dolcezza rara. «Se un giorno tu avessi bisogno, se fossi solo contro tutto e tutti, se avessi bisogno di una mano, di una guida. Io sarei lì. Anche se tu non volessi. Anche se pregassi per morire. E questo perché benedico il momento in cui ti ho conosciuto; tu che mi stai facendo mettere in discussione su cose che credevo di aver dimenticato da tempo.» Mormorò intrecciandosi le braccia dietro la schiena. «Vedi, Haruki? I legami tra le persone sono così. E' in questo modo che si creano fili indissolubili. E' così che la Pace perdura. Che il mondo evolve. Che la storia prosegue.» Spiegò, facendo spallucce. «Come Shinobi dobbiamo essere pronti a morire. Ma soprattutto a vivere. A farlo per il nostro Villaggio, per le persone, quelle che amiamo e anche quelle che detestiamo. Se tu morissi, io ne sarei addolorata.» Spiegò, e così dicendo cercò di prendere il palmo della mano del sacerdote, disegnando con il suo indice un cerchio sopra di questo. «Non sei solo, capisci? Nessuno può esserlo. Gli Dei non ci insegnano questo...e nemmeno il nostro cuore.» Fare quel genere di discorsi la imbarazzava sempre un po', si sentiva una delle protagoniste di quei romanzi idioti che Miwa, una delle sue domestiche, leggeva con tanto ardore. Ne aveva sfogliata solo qualche pagina, ma il numero di volte in cui si ripetevano i kanji di “amore” e “cuore” era bastato a farla desistere da una specializzazione in cardiologia.

    “Lei, invece, per cosa sarebbe pronta a donare quanto di più prezioso possiede?”



    Era la prima volta che lui le poneva una domanda apparentemente seria. Ne rimase stupita.
    «Ogni volta che esco in missione so che potrei non tornare.» Rispose allora lei, con calma. «Non mi tirerò mai indietro dal mio dovere. Agirò sempre per il bene del mio Villaggio. Servirò Konohagakure no Sato e la Pace Accademica fino a quando ogni singola fibra del mio corpo non andrà disfatta, non cederà e non svanirà...» Sussurrò. Avrebbe voluto sorridere, ma non ci riuscì. Improvvisamente il ricordo di Karasu le balenò in mente e lei, trasalendo, ne fu travolta. Si chiese se avrebbe mai smesso di ricordare. Di rammentare il taglio gelido della lama che la dilaniava, che affondava nelle sue carni, il sangue caldo che la copriva come una seconda veste, il suo corpo sventrato che camminava per puro moto di volontà e poi cadeva a terra, nella polvere... rammentò la risata di colui che la voleva, le urla che seguirono di chi l'aveva salvata. Era morta. E rinata. Suo malgrado le mani le tremarono e lei, allora, non esitò a ritrarle da quella di Haruki. «Sarei pronta a morire per Konoha.» Disse, stringendosi le mani al petto. «Ma non è detto che dia per scontato che accada. Se succedesse, come potrei essere ancora utile alla mia gente? Chi consolerebbe mia madre, mio padre e tutta la mia famiglia? E le persone che amo?» Ce n'erano così tante, e in così tanti villaggi diversi... «E se tu morissi, chi pensi che potrebbe guidare Shirai? E lui, chi guiderebbe? E io cosa pensi che potrei fare?» Chiese, perplessa. «Vedi, Haruki, dai molte cose per scontate. Ed ecco perché sei cieco.» Lo fissò per un attimo. «Cioè sei cieco per davvero, ma... insomma ci siamo capiti.» Gli ammiccò, ma ovviamente lui non lo vide. Sghignazzò per la centesima volta su quello scherzo di pessimo gusto, poi si rifece seria. «Vivi, Haruki. E continua ad adempiere al tuo dovere con forza. Sempre. Sperimenta tutto, perché non c'è dono più grande che gli Dei ci abbiano fatto del poter vivere a pieno le nostre scelte. Hai il grande privilegio di poter proteggere e guidare gli altri, ed è un dono senza pari, questo. Vivilo.» Gli suggerì infine. A quel punto però i suoi occhi si alzarono sul gruppo che avanzava spedito verso di loro, e lei sospirò, sconsolata. «Vorrei tanto poterti parlare ancora, spiegarti un mucchio di cose. Discutere di altrettante. Vorrei poterti seguire, farti capire quanto è splendida la vita e tutto ciò che è possibile fare, come Shinobi e persone semplici. Vorrei comprendere perché sei interessato così tanto ai Bijuu, perché parli di cose che non dovresti sapere, e vorrei trasmetterti il sapere che ho in merito, ma...» Forse lui non era ancora pronto a ricevere qualcosa dagli altri. Esisteva un momento per tutte le cose, dicevano. Forse era davvero così.

    “Avrai molte cose da raccontare a Kaito, temo.”



    La Chunin sospirò.
    «Kaito mi ucciderà.» Gemette per tutta risposta, abbattuta.
    «Farebbe bene.» Commentò il biondo, perplesso. Veder saltare una kunoichi da una finestra non era cosa di tutti i giorni in effetti. «Certo che per essere una Kobayashi ne fai di casini.»
    «Noi Kobayashi siamo famosi anche per questo.»
    Ironizzò la Principessa, ridendo. «Dai, Mui, lo sai che avrei accettato. Beh, non che possa ritirarmi da un dovere accademico, Takumi poi chi lo sente.» Brontolò offesa pensando all'amministratore.
    Di nuovo Kiri, maledizione... Itai avrebbe dovuto offrirle centinaia e centinaia di prelibatezze per tutte le volte che la mandava a chiamare.
    «E allora perché semplicemente non accetti? Tu e Kaito siete insopportabili.» Bofonchiò uno dei Jonin del gruppo, a braccia conserte. «Ogni volta è la stessa storia.» Rincarò, girandosi poi a guardare qui e là come se stesse cercando qualcosa, o qualcuno. «E un'altra cosa, Shizuka... il piccoletto ha riferito che un tipo è svenuto. Perché ci hai fatto chiamare?» Chiese, spazientito. «E' assurdo che proprio tu chieda supporto medico.» Ringhiò, fissando torvamente l'interlocutrice. «Mi risultava che fossi la migliore apprendista di Norio Uchiha-sama. Sei diventata scema?!»
    «Ehi, io gliel'ho detto che ero un medico!»
    Replicò offesa Shizuka, girandosi a fissare male Shirai, a cui fece una linguaccia. «E' lui che non mi ha creduto!»
    «E chi diavolo può credere ad una che ha la faccia da bambina, scema?!»
    Abbaiò l'altro, dando un'indicazione con una mano e facendo intervenire il resto del gruppo, che si sbrigò a prendere l'albino sulla barella e portarlo lentamente via. «Ce ne occupiamo noi, comunque. Lo rimandiamo a casa appena si sveglia.»
    «E lui?»
    Intervenne il biondo, sistemandosi l'haori da corpo medico con flemma prima di indicare il sacerdote.
    «E' un mio amico.» Rispose Shizuka, sorridendo. «Haruki Miyazaki.» E così dicendo gli mise una mano sulla spalla. «Lui invece è il piccolo Shirai.» Aggiunse, scompigliando i capelli del bambino.
    Di fronte al trio, il biondo dalle gambe lunghe sospirò, mentre l'altro faceva roteare gli occhi al cielo.
    «Beh, vieni con noi?» Chiese il primo dei Jonin, mettendosi a braccia conserte. «O passi dopo?»
    «Volevo salutare i miei amici, appena saranno ripartiti verrò subito.»
    Rispose la Principessa, sorridendo e mostrando i denti sguaiatamente.
    «Guardala, guardala come ritarda Kaito.» Scoppiò a ridere il secondo dei due, scuotendo la testa. «Fai come ti pare, ma stasera non rincaseremo insieme. Ho da fare, e tu ci metti sempre una vita.» La derise poi. E a ben guardare, infatti, il ragazzo aveva una fascia al braccio che lo identificava come Shinobi della Foglia. Ogni burocrate, del resto, apparteneva ad uno dei Gakure dell'Alleanza.
    «No dai.» Gemette Shizuka, con voce squillante. «Di notte il continente è pericoloso... sono una Principessa... e se mi rapissero...?» Cinguettò, recitando la parte della nobile in pericolo. Tutti risero.
    «Se ti rapissero verremo a salvarti.» Tagliò corto il Konohoniano. «E' così che si fa tra amici, no? Siamo uniti, purtroppo.» Domandò, tirandole una pacca sulla spalla mentre rideva. «Ma immagino che Raizen Ikigami e Atasuke Uchiha mi ucciderebbero se sapessero che ti ho mollato qui, di notte. Facciamo che ti aspetto al Gate dell'Accademia, eh?» Suggerì ammiccando.
    «Non provarci, bestia.» Lo ammonì il biondo, tirandolo per il colletto della divisa. «A presto, Kobayashi.»
    «Mata nee!»
    Salutò di rimando Shizuka, girandosi poi verso Haruki quando il duo scomparve alla vista. «Tornate a casa, allora?» Chiese, sorridendo. «Vi accompagnò al Gate.»

    Era senza dubbio la persona più controversa che Haruki avesse mai incontrato. Sembrava avere diversi strati di interpretazione.
    Era una tipa strana. Anche troppo, forse.
    Ma era sincera... almeno in quell'occasione e almeno con lui.
    Questo era indubbio.
     
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    Quando la Kobayashi lo presentò agli altri uomini, Haruki si limitò ad inchinarsi e a replicare con poche parole. È un onore conoscervi. Nonostante il suo aspetto del tutto inespressivo, quella situazione gli stava venendo a noia. Aveva ascoltato quella donna blaterare cose senza senso per troppo tempo. Era evidente che non potesse capire. Non riusciva ad andare oltre alla vacua individualità su cui aveva fondato la propria esistenza e aveva addirittura l'ardire di trattarlo come uno sprovveduto. Il monaco rosso le aveva perfino concesso di toccarlo, assecondandola in quella follia, nella speranza che quella mente potesse partorire un'idea accettabile. Tuttavia, al di là del suo ammirabile impegno verso un ninja che aveva appena conosciuto, Haruki non poteva condividere niente di quanto aveva detto. Quella donna rappresentava la prova tangibile di quanto poco potessero le parole su una mente annebbiata dal peccato. Inoltre, la situazione sembrava essere peggiore di quanto il Miyazawa potesse immaginare. La zotica di Konoha non solo era un membro del clan Kobayashi, ma era anche in buoni rapporti con Atasuke Uchiha e Raizen Ikigami, l'Hokage. Evidentemente era il sistema stesso ad essere corrotto fino al midollo. Si aggrappò alla speranza che almeno quel Kage fosse una persona retta e dalla salda morale, ma, considerando i Konohani con cui aveva a che fare, gli sembrò solo una vana illusione. Più si immergeva nel mondo ninja, più ne riusciva a vedere gli orrori. Se l'erede di uno dei clan più influenti del continente si poteva permettere un simile comportamento, cosa doveva aspettarsi da coloro che non avevano avuto la fortuna di nascere in una famiglia che potesse fornirgli un'educazione degna di questo nome? Perfino le puttane e i mendicanti del ghetto di Suna gli sembravano meno empi. Almeno loro non potevano essere biasimati per quella condizione. Il loro unico scopo era sopravvivere, figuriamoci se a qualcuno potessero interessare le sorti del mondo. Haruki lo sapeva bene, d'altronde anche lui aveva fatto parte di quelle schiere di disperati che ogni giorno combattono per un tozzo di pane o un luogo dove dormire.


    Il Miyazawa avrebbe accettato di essere accompagnato fino al Gate da Shizuka. D'altronde non aveva alternative. Sapeva benissimo che quella donna li avrebbe seguiti in ogni caso. Pertanto, avrebbe preso quell'ultima occasione per replicare ancora alle sue empietà. Vede, non è una questione di comunicazione. Comprendo benissimo quanto lei dice, ma ciò non lo rende meno deplorevole, a mio giudizio. Il sacrificio di sé stessi in favore di un bene più grande è ciò che rende un uomo un vero shinobi. Ogni giorno molti shinobi perdono la vita perché il proprio villaggio possa continuare a prosperare. Scelgono di portare a termine la missione, invece che continuare a vivere. Facendo ciò si fregiano dell'onore più grande per un ninja. Non so cosa l'abbia spinta a diventare una kunoichi, ma è questo che deve aspettarsi dal suo futuro. Non può sperare di godersi la comune esistenza concessa a chi non ha fatto della guerra la propria quotidianità. Io e lei probabilmente moriremo giovani e sul campo di battaglia. Esattamente come è successo per molti alti shinobi, nessuno conoscerà la misura dei nostri sforzi e a quante cose abbiamo rinunciato per garantire l'ordine, eppure ciò non ha alcuna importanza. Non esiste niente che possa superare la gioia di sapere di aver speso la propria anima per un ideale superiore. Fece una breve pausa, per poi riprendere il filo del discorso. Shirai sa benissimo che la mia vita, esattamente come la sua, ha valore solo in funzione del nostro sacro compito. Se dovessi essere ucciso prima di poter completare il suo addestramento, verrà assegnato ad un altro dei maestri del tempio cosicché egli possa apprendere la dottrina. Inoltre, lei ha ragione nel dire che esistono molti modi per persuadere una persona. Tuttavia, difronte al volere divino le nostre scelte sono limitate all'obbedienza. A pochi passi dal Gate, il monaco rosso si inchinò verso la Kobayashi. Kizaru lo imitò, facendo lo stesso. Ora, se non le dispiace, è giunto per noi il momento di andare. Avvicinandosi alla carrozza, Haruki si sarebbe rivolto ancora un'ultima volta alla Kunoichi. Spero che Dio ci permetta di incontrarci ancora. Le dimostrerò che, benché i miei occhi abbiano perso la luce, la mia vista è molto più acuta di quanto lei immagini.
     
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