La prima volta

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    UNEXPECTED

    The true adventurer goes forth aimless and uncalculating to meet and greet unknown fate.




    Shizuka Kobayashi era la Principessa ed unica Erede del più potente e famoso Clan di sete e tessuti del Paese del Fuoco. Si diceva di lei che fosse tanto brava a mercanteggiare, mantenendo in alto la dinastia che un giorno avrebbe guidato come Capoclan, tanto quanto lo fosse nel danzare, cantare, servire il té, e incantare i suoi ospiti con la dolcezza di sorrisi che pareva fossero in grado di ghermire i più indisponenti tra gli aristocratici delle terre conosciute.
    Una Principessa vera, dunque, come quelle che popolavano le fiabe che le bambine amavano farsi raccontare la sera prima di dormire.
    Una Principessa nel senso letterale del termine.

    ...Ecco perché nessuno aveva capito per quale ragione avesse deciso di intraprendere la carriera Shinobi.

    Si diceva che per opporsi al volere della sua famiglia e seguire così gli insegnamenti del famoso Raizen Ikigami, il Randagio della Foglia –conosciuto per le sue doti in combattimento tanto quanto per la sua scarsa propensione ad avere allievi, tra cui infatti compariva solamente lei–; la bella Principessa avesse dovuto stipulare un contratto con il suo stesso Clan, ponendo sulla scacchiera di un mondo troppo lontano da quello accessibile ai più, il suo futuro, le sue responsabilità e molte altre costanti che in tanti non avrebbero nemmeno immaginato poter essere oggetto di scambio, come l'amore e il rispetto.
    Intelligente, affilata, elegante e deliziosa, Shizuka era dunque stata per molto tempo il sogno di tanti importanti nobili, che avevano sperato di poterla sposare a qualche loro figlio...
    ...eppure, se l'avessero vista nell'ambiente shinobi, non avrebbero potuto immaginare che quella ragazza vestita di pelle e con lo sguardo divertito di una dispettosa cacciatrice, potesse essere la stessa leggiadra Principessa che sembrava volare sui suoi geta laccati durante le Danze delle Stagioni nel Paese del Fuoco.
    Immobile a qualche passo di distanza dal trio di individui, infatti, la Chunin della Foglia appariva molto lontana dall'immagine che l'aveva resa famosa nella fantasia comune, irrimediabilmente facendo credere, al momento di una sua presentazione, solo ad uno sfortunato caso di omonimia.
    Era ovvio, no? Del resto non poteva proprio essere che quella maliziosa lingua tagliente fosse davvero...
    «Sei cieco, mh?» Disse improvvisamente la ragazza, intrecciando le gambe per poi battere il tacco dei suoi stivali a terra un paio di volte. «Un sacerdote cieco, dunque.» Esclamò allegramente, facendo dondolare il suo biscotto tra le labbra. Non vi era malizia nelle sue parole, ma un'effettiva curiosità. Il suo volto, un caleidoscopio in continua mutazione, offriva infatti una costellazione sempre diversa di espressioni, altalenanti tra lo stupore, l'interesse e la tranquillità. In effetti, per quanto il primo dei suoi interlocutori sembrasse agitato, lei non appariva affatto condividere quel sentimento, proprio come se quanto le era stato appena detto, o forse la presenza stessa di quella persona, non le interessasse poi troppo. «...Appartieni all'ordine degli Shintoisti del Fuoco?» Chiese educatamente, ma poi, spezzando il biscotto con i denti e mettendoselo in bocca solo con la lingua, sorrise ironica. «Ovviamente no. Una persona come te, che non ho neanche bisogno di conoscere per vedere quanto sia poco attaccata alla realtà, assolutamente fuori posto, incapace di distinguere le cose con chiarezza, non può appartenere ai detentori del Fuoco.» Sentenziò con un'eleganza affilata. Passandosi un pollice ai lati della bocca, attenta a non rovinare il rossetto color ciliegia, la ragazza si pulì delle briciole del suo delizioso bocconcino prima di ritornare sui suoi passi e avvicinarsi al rosso, cui sorrise. «Pensi davvero che risponderò alle tue domande, ragazzino?» Chiese a quel punto con dolcezza e una neppur troppo velata punta di commiserazione. «Qualunque sia il “sacro ordine” a cui appartieni, hanno fatto davvero un lavoro incredibile nel crescerti. Non ho idea di quale sia il tuo scopo nella vita, ma se pensi che il tuo comportamento avvicinerà il tuo animo a quello di chi ti circonda, ti sbagli di grosso, poverino... ti hanno detto questo, nel posto da cui ti hanno rilasciato? Ti hanno davvero fatto credere che non sei assolutamente un ridicolo bimbo mascherato che parla con il rigore di cento anni fa e che la gente non deride osservando?» Domandò compassionevole per poi lanciare un'occhiata prima al bambino che teneva ancora il biscotto in mano e poi al ragazzo dai lineamenti candidi cui si era avvicinata in precedenza. «“Eccellenza”, giusto?» Disse ancora, sorridendo sarcastica. «Beh... perdonatemi per la mia mancanza nei vostri confronti, sono stata in effetti molto maleducata, ma dubito comunque di aver bisogno della vostra benevolenza e del vostro rigore.» E facendo un passetto indietro, si inchinò educatamente. La schiena dritta e la raffinatezza dei gesti, persino in un momento come quello tradivano un'educazione tra le più ricercate. «Una persona che si permette di giudicare, cieca non perché priva di vista ma perché totalmente incapace di comprendere il mondo in cui vive e le persone che lo vivono assieme a lui... una persona, in altre parole, così arida, non credo possa insegnarmi niente.» Ammise, riportandosi in eretta postura. «Quando imparerete a vivere, quando cioè avrete compreso che tendere una mano non significa prima colpirla e valutarla, ma semplicemente stringerla con dolcezza, avremo modo di parlare ancora. Per ora potete anche risparmiarvi di rispondere, “Eccellenza”.» E così dicendo, si scostò una ciocca di capelli dal collo facendo in modo che questi –lunghissimi e setosi, profumati di fiori di loto– colpissero il viso del sacerdote. Solo dopo quell'ultimo gesto di ostentata mancanza, Shizuka si voltò verso il bimbo, cui pose con dolcezza una mano sulla testa. Il suo sguardo, scevro della tagliente affilatura di cui si era vestito fino a quel momento, si stava già ammorbidendo. «Perdonami piccolo, non sapevo che tu dovessi rimanere digiuno.» Mormorò, ma si vide bene dall'indagare il motivo per cui gli fosse imposta una proibizione del genere, benché l'irritazione di una simile circostanza fosse evidente tanto nei suoi occhi quanto nel modo in cui diede le spalle al rosso. Socchiudendo gli occhi in un sorriso e iniziando a muoversi a quel punto con una leggiadria che gli occhi ciechi del monaco poco sarebbero riusciti a seguire, la kunoichi aprì dunque la sua borsa e ne tirò fuori un pupazzetto di cotone azzurro a forma di coniglietto dalle lunghe orecchie e il musetto paffuto. Attaccato ad una delle zampette vi era ancora un ago e una matassina di filo bianco che la ragazza, accucciandosi in terra, si sbrigò a fermare e chiudere.
    Poco più piccolo di una delle mani di lei, e dunque appena un ninnolo, il coniglietto aveva ricamata una splendida “K.” a puro filo d'oro su una delle zampette. Benché fosse evidente che quell'oggettino fosse stato ricamato con pezzi di fortuna, probabilmente più per passatempo che per un dovere reale, era di squisita fattura, pulito sia nel taglio che nella cucitura sartoriale, ma appunto imbottito di qualche manciata di sabbia bianca, probabilmente la stessa che si trovava nei grandi vasi nella sala d'attesa dell'edificio accademico. Niente di che, dunque, e la giovane Principessa, rendendosene conto, sorrise con sincero rammarico.
    «...Ti va di fare cambio?» Provò a chiedere, porgendo verso il bimbo che le pareva fosse stato chiamato con il nome di Shirai sia la mano vuota, in attesa di ricevere il biscottino, sia quella che conteneva il pupazzetto. Evidentemente, per quanto fredda fosse stata in precedenza, non intendeva comunque giudicare la circostanza che si ritrovava davanti, né pareva voler indurre il piccolo a disubbidire.
    Era abbastanza chiaro che non accettasse né trovasse logico quanto i suoi occhi vedevano e le sue orecchie avevano sentito, ma Shizuka Kobayashi era una donna che aveva viaggiato e conosciuto, sperimentato dunque molto più di quanto un suo coetaneo potesse vantare, e aveva pertanto imparato con il tempo che solo il rispetto del prossimo e l'ascolto silenzioso da cui nasce la comprensione e il miglioramento vicendevole, tutelavano quella pace che nel suo Paese veniva sempre chiamata a gran voce dalla “Volontà del Fuoco”. Ovviamente da questa consapevolezza a tenere a freno la lingua con un misogino maleducato, ottuso e chiaramente un povero hikikomori alla stregua del più pezzente di Otafuku, ce ne correva.
    Chiudendo gli occhi, sospirò.
    «Mi dispiace della gran confusione, qui all'accademia conosco quasi tutti, certo non potevo immaginare di finire a disturbare proprio le persone sbagliate.» Disse poi, mentre aspettava la decisione del bambino. Adesso si stava rivolgendo al ragazzo incappucciato, quasi fosse assolutamente decisa a non degnare più di attenzioni il monaco alle sue spalle. «Stavo cercando di...» Esitò, dubbiosa. Emh, come poteva spiegare? «...evitare di finire in un guaio, ecco.» Ripeté, perplessa. Che poi il suo tentativo l'avesse fatta cadere in uno ancora più grosso, ovviamente, preferì non valutarlo. Evidentemente gli Dei maledetti ce l'avevano proprio con lei. «I problemi al fronte stanno tenendo occupati molti Shinobi e c'è sempre da fare con richieste extra-villaggio, immagino tu lo sappia.» Disse, sospirando. Pareva dar per scontato che, almeno lui, fosse un ninja. Del resto era già abbastanza allucinante trovare un bonzo all'accademia, figurarsi due... «Ultimamente non faccio che fare la spola tra Kiri e Suna, ed essendo di Konoha non posso dire di trovare piacevoli quei climi eccessivi...» Mormorò, posando il mento sulle braccia intrecciate sopra le sue ginocchia. Ancora accucciata al suolo, si dondolò sui talloni per un po', prima di alzarsi. «Beh, con quanti team abbiamo disseminati per i territori extra-accademici penso che dopotutto sia necessario aiutare quando è possibile...» Borbottò cupamente. E in effetti lo credeva sul serio (anche se stava ancora scappando dall'ennesimo incarico). «...essere uno Shinobi significa questo, dopotutto, non pensi?» Chiese ancora, ma non sembrava considerare quella come una domanda vera e propria, o quantomeno una a cui era necessario rispondere. Sorridendo allegramente, con quel suo modo caratteristico che le faceva venire due fossette nelle guance, quasi avesse dodici anni e non venti, la Principessa di Konoha si aggiustò il mantello sulle spalle. «Beh, ti lascio a fare non ho capito cosa con il nostro sommo erudito.» Disse, prima di lanciare un'occhiata sarcastica al chiamato in causa. «Somma Santità, posso andare oppure pensate di riformare il mio carattere ancora, se mi è permesso l'ardire di chiedere?» Era talmente sarcastica che, a chi l'avesse ascoltata, probabilmente avrebbero cominciato a sanguinare le orecchie, ma lei, affilando lo sguardo, non parve curarsene. «Dunque... con permesso.» E inchinandosi con una teatrale piroetta fece per andarsene. In effetti pareva aver fretta.

    Cioè, non per altro... in teoria aveva quattro persone alle calcagne. Essere un'infiltrata le dava il grande vantaggio di saper sempre fruttare l'ambiente e le persone attorno a lei in modo eccellente, ma arrivati a quel punto non avrebbe saputo proprio come giocare ancora a dadi con la fortuna avendo per le mani solo un fumatore albino, un bambino e un sacerdote stitico.
    Deglutì, iniziando a sudare: Kaito l'avrebbe spellata. Ed essendo stato un torturatore prima di diventare burocrate, poteva ben credere che lo avrebbe fatto sul serio.


     
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