La prima volta

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    THE TWO OF THEM

    For good ideas and true innovation, you need human interaction, conflict, argument, debate.




    Era ancora inginocchiata a terra, con la mano ardente di chakra adagiata sulla fronte di Minobu, quando improvvisamente sentì la voce del Sacerdote ordinare al suo sottoposto-bambino di correre a chiamare un medico. Per un attimo fu stupefatta di quella richiesta ma poi, girandosi, sembrò come ricordare in quel momento che il secondo dei suoi tre compagni era cieco.
    Era strano per lei tenere a mente quella caratteristica, del resto il ragazzo parlava con quella sorta di stolta convinzione tipica solo di chi crede di vedere tutto e di vederlo bene... il che era, invero, una delle doti che maggiormente mancavano lui. E non a causa della vista, riteneva.
    Sospirando, Shizuka fece un cenno in aria con la mano libera, cercando di attirare l'attenzione di Shirai.
    «Non è necessario che venga chiamato nessun medico, sono io un medico.» Disse la ragazza, ma il bambino, dopo averle scoccato un'occhiata dubbiosa, partì comunque nella direzione che le era stata indicata. «Ah!» Esclamò allora lei, sconvolta. «Cos'era quell'espressione scettica, Shirai?! Torna subito qui, ragazzino!» Abbaiò, offesa. «Sono uno dei migliori medici di Konoha, bada bene! Presto sentirai il mio nome! Hai capito?! Presto!» Tuonò, ma non ne fu nemmeno per un istante poi troppo convinta.
    Shizuka Kobayashi era un'infiltrata e come tale si muoveva nell'ombra, nel silenzio del non lasciare traccia o ricordo di sé. Nessuno conosceva le sue capacità neanche nella stessa Foglia, che ignorava addirittura che la discendenza di sua madre, la grande Mononoke degli Uchiha, colei che un tempo era stata la più potente Jonin della dinastia del ventaglio, potesse averle trasmesso il gene dominante degli Occhi delle Menzogne.
    ...Solo Raizen sapeva. E lei, in un certo senso, se lo faceva bastare.
    Era a conoscenza dell'attitudine di molti Shinobi del mondo attuale, che vivevano per la gloria e l'ammirazione. Agivano per ottenere la riconoscenza di tutti, per essere acclamati come Dei. Parlavano di giustizia, rettitudine e morale con la stessa sicurezza con cui un folle disquisiva della verità delle cose. Eppure, erano amati oltre ogni misura.
    “Eroi” erano chiamati: i prodi protettori del proprio Villaggio, i signori della giustizia e della perfezione...
    ...lei, invece, al contrario di loro, non era niente più di un'ombra.
    Non era mai stata cresciuta per cercare la fama, per avere la devozione altrui, ma per essere la potente seconda faccia del Sole: la Luna.
    Da Principessa viveva con la modestia tipica di chi sapeva di poter fare molto, e di quel molto coltivava ogni germoglio, in silenzio, per offrire il massimo a chi un giorno ne avrebbe ammirato il fiore; da Shinobi invece serviva Konohagakure no Sato senza chiedere niente indietro. Senza lasciare traccia.
    Imperatrice delle menzogne, della manipolazione e della falsità, Shizuka era cresciuta ingannando chi aveva intorno sia come mercante –alla ricerca del migliore profitto– sia come Kunoichi –nel tentativo di proteggere le persone che amava, i suoi concittadini e il luogo in cui nasceva, da se stessa e le missioni in cui era coinvolta. Eppure, nonostante quella vita avrebbe forse potuto apparire ai più come un fardello insostenibile, lei ne era orgogliosa e dopotutto anche lieta.
    Benché non camminasse sulla strada che era universalmente riconosciuta come “giusta”, a discapito del suo vivere immersa fino alle ginocchia nella melma della corruzione per trovare il modo di pulire quella stessa mondezza e offrire ai propri fratelli e sorelle la serenità dell'equilibrio, Shizuka non poteva davvero odiare la strada su cui si trovava.
    Sapeva che ciò che i suoi concittadini e in generale le persone al fianco delle quali combatteva avrebbero visto di lei solo l'ombra ferma alle loro spalle, ma non rimpiangeva la sua posizione. Anche se tanti non lo sapevano, lei poteva sempre stupidamente vantarsi, nel profondo del suo cuore, di sapere che i loro sorrisi erano anche opera sua. Che la loro felicità era qualcosa per cui lottava senza tregua. Quello che era di lei, dunque, non importava.
    Non importava quanto avrebbe dovuto sedere nell'oscurità, con chi avrebbe dovuto scendere a patti e cosa avrebbe dovuto fare... tutto era per Konohagakure. Tutto era per la Pace.
    Tutto ciò che faceva, era per l'equilibrio. Il più alto. Il più puro.
    ...Eppure, nonostante tutto, mai per un istante aveva pensato di potersi considerare migliore degli altri. Mai aveva pensato di poter insegnare a chi aveva accanto cosa fosse davvero la correttezza delle cose.
    Probabilmente per quel motivo, il comportamento di Haruki Miyazaki era per lei il più lontano da comprendere. Lui che sembrava profeta di una verità unica e priva di macchia.
    Del grande “giusto”.

    «Non pensi di essere cento anni in anticipo per poter trattare di un argomento come quello dei demoni codati, Haruki?»
    La voce della Principessa del Fuoco era quieta. A dispetto di quella che aveva mantenuto fino a quel momento, sarcastica e caustica, adesso il suo tono era quello fermo di chi non sente più la necessità di scomporsi.
    Girandosi verso il suo interlocutore, la ragazza rimase un attimo in silenzio a guardare i lineamenti di chi aveva di fronte. Nella sua mente non poté fare a meno di comparire di nuovo la carnagione del braccio di lui, segnata da torture e sigilli ben oltre la comprensione di quella di un semplice Chunin come lei. Chiudendo gli occhi, sospirò impercettibilmente.
    «Sarò sincera con te, ora molto più di prima.» Riprese a dire la kunoichi, inchiodando con lo sguardo il Monaco Rosso al suo posto. Interrompendo il flusso di cure su Minobu, ormai perfettamente guarito e solo profondamente addormentato, Shizuka si alzò con spiazzante lentezza. Sia il suo tono di voce che i suoi occhi erano cambiati e benché Haruki non avesse potuto vederlo, avrebbe senza dubbio potuto sentirlo... come una sorta di agghiacciante sensazione che dalla base della sua nuca sarebbe rapidamente serpeggiata fino ai piedi. «Non hai in mano nessun sapere supremo. Non sei niente più di un adolescente che fronteggia per la prima volta qualcuno in grado di tenergli razionalmente testa. Hai di fronte a te molto più di un cammino retto e lineare per arrivare ad ottenere la purezza di comportamento e pensiero che cerchi così disperatamente di imporre agli altri.» E la sua voce, a quel punto, si abbassò come fosse stata gettata nelle profondità di una crepa avviluppata di oscurità. «Perciò smettila di cercare qualcosa che non ti puoi ancora permettere.» Ordinò in un gorgoglio profondo come la gola del mondo. Poi però, come se improvvisamente si fosse ricordata qualcosa di importante, si interruppe ed esitò.
    Non aveva alcun interesse nel terrorizzarlo, cosa che immaginò di poter fare molto bene –era chiaro dopotutto che quel ragazzo non avesse mai assaporato la vera paura, quella che solo uno Shinobi poteva infliggere e che nulla aveva a che vedere con il corpo e le parole. Per la verità, se le fosse stato possibile, voleva in qualche modo fare breccia in lui. Voleva riuscire a toccare la parte della sua persona che andava oltre l'abbigliamento ricercato e unico, il titolo imposto, il credo senza confine e limite...
    Affilando gli occhi, Shizuka Kobayashi rimase immobile. I suoi lunghissimi capelli castani, lisci come seta e leggeri come piume, ondeggiarono alla leggera brezza che si sollevò e che portò via con sé il suo profumo di fiori selvatici e loti color del tramonto, mentre lei, dopo un istante di breve esitazione, iniziò ad avanzare verso il suo interlocutore. Gli stivali venivano premuti al suolo con enfasi, perché producessero il rumore necessario affinché il giovane privo di vista ne percepisse l'avvicinamento e potesse dunque essere pronto al momento in cui la Principessa si fermò di fronte a lui, guardandolo dritto in faccia.
    Benché fosse evidente dai lineamenti del suo volto che quel ragazzo fosse di qualche anno più giovane, era lei quella più bassa. Neanche mettendosi in punta di piedi sarebbe infatti riuscita ad arrivare all'altezza di chi aveva di fronte, che si rassegnò perciò a guardare da quella spanna più in basso che le apparteneva, sorridendo ironicamente di sé.
    «Non devo essere una shinobi più esperta di quello che sono attualmente per capire che non ti piaccio.» Disse allora, scuotendo piano la testa. «Mi disprezzi? Ti faccio schifo?» Domandò educatamente, come se davvero fosse pronta a sentire la risposta di cui sembrava, paradossalmente, già conoscere il contenuto. «Tu invece mi piaci.» Affermò però a quel punto, e il modo cristallino in cui lo disse, la sincerità delle sue parole, semplice quasi da risultare priva di macchia, sarebbe stata talmente evidente da far arrossire chiunque, forse. «E sai perché? Perché ai miei occhi appari come un pulcino implume ancora intento a prendere bene le misure per compiere il suo primo volo.» Sorrise di quelle parole, chiudendo gli occhi nell'intrecciare le mani dietro la sua schiena. «Pensi di saper già volare, Haruki? Pensi seriamente che ciò che sei sia sufficiente?» Chiese in modo del tutto incredibile. Che fossero domande casuali, quelle? Perché stava chiedendo quelle cose, adesso? «Dimmi, Haruki...» Mormorò senza tregua la Principessa dei Kobayashi, riaprendo i suoi profondi occhi verdi sul volto del suo interlocutore. Non era necessario per lui avere la vista per capire che adesso era tornata seria. «Perché sei qui?»
    La domanda sarebbe arrivata con semplicità, e forse per questa ragione sarebbe apparsa del tutto spiazzante. Eppure lei, ancora immobile di fronte al ragazzo, non avrebbe denotato nessun tipo di incertezza. Si sarebbe limitata a rimanere ferma, in attesa, aspettando una risposta con una quiete quasi offensiva, proprio come se non le interessasse conoscerne il responso. E allora perché? Perché poneva quelle domande?
    Cosa voleva ottenere? Chi era davvero?
    Accennando ad un sorriso, fu a quel punto che Shizuka avrebbe alzato una mano e tentato di posarla sulla guancia sinistra di Haruki. Il tocco, se fosse stato permesso, sarebbe stato appena accennato, inaspettatamente delicato, in un certo senso materno ma in un altro femminile, profondo, un connubio dunque complicato da interpretare, come tutto il resto di lei, dopotutto. L'unica cosa che sarebbe stato facile individuare in quel gesto erano i calli che costellavano la carnagione liscia come seta e profumata come fiori appena colti. Calli di chi aveva impugnato armi e lottato più e più volte, prima di quel momento.
    «Ho incontrato centinaia di persone che parlavano di verità, risposte e rettitudine.» Ricominciò a dire dopo quel breve silenzio la Principessa del Fuoco. «Nessuno di loro, però, è ancora vivo.» Sospirò, scuotendo la testa. Per qualche ragione sentiva la mente annebbiata. Voleva dire qualcosa a quel ragazzo, lo voleva davvero, ma non sapeva come e forse neppure cosa. Sapeva solo che, per qualche ragione, il comportamento di lui era sbagliato...e lo era probabilmente perché nessuno aveva dato lui la possibilità di sperimentarne uno diverso.
    “Per favore” sarebbe allora stato forse il discorso più giusto da fare “avanza un passo dopo l'altro, con la calma che nasce dall'esperienza, godendo di ogni tappa affrontata, crescendo ad ogni evento vissuto. Impara...”
    «...Impara a ridere, a piangere e ad amare prima che il tuo cuore diventi arido e secchi nel deserto da cui nasce.» Disse invece, improvvisamente. «Impara a capire che la diversità del mondo è ciò che rende il mondo stesso un luogo da proteggere, e non correggere. Non c'è niente di perfetto nel creato, Haruki, ma la bellezza di poter comprendere la moltitudine di sfumature di tutto ciò che ci circonda, di tutti coloro che vivono ogni giorno con impegno e coraggio, rende il viaggio alla ricerca del nostro equilibrio l'avventura più straordinaria.» E così dicendo, avrebbe premuto con più convinzione la mano sul volto di lui. Alle sue spalle, la figura di un bambino stava tornando correndo in loro direzione, facendo strada a tre uomini adulti recanti l'haori del corpo nin accademico. «Poni domande interessanti, ma forse non quelle giuste. Prima di cercare di raggiungere il cielo, forse dovresti imparare a camminare sulla terra che hai sotto i piedi, Haruki.» Tagliò allora corto la Principessa, ritraendo piano la mano e guardando fermamente l'interlocutore. «E prima che tu inizi con rabbia a contraddirmi, ad offendermi, a biasimarmi per le mie parole, taci e rifletti. E' solo ascoltando gli altri che si cresce, è solo con il contatto altrui che ci si arricchisce, si cambia, si conosce la verità dietro la domanda. Nessuno può vivere per sempre da solo, Haruki, sopratutto se è uno Shinobi...» Detto questo, non aggiunse altro e si limitò a vedersi piombare addosso Shirai che accolse con un sorriso e una scompigliata di capelli. I tre Jonin che lo seguivano, invece, avevano bisogno di un benvenuto particolare... e di questo la Principessa del Fuoco ne fu certa quando uno di questi, fermandosi di botto e affilando lo sguardo su di lei, la squadrò da testa a piedi prima di inarcare un sopracciglio.
    «Avrai molte cose da raccontare a Kaito, temo.» Si limitò a dire il tipo, un biondo slavo con le gambe lunghe come quelle di una cicogna. «In effetti, da quello che stava sbraitando prima nei corridoi, penso che voi due parlerete, parlerete... parlerete fino a quando lui non perderà la voce, e tu la testa.»
    Sudando copiosamente, Shizuka deglutì.

    Nessuno poteva vivere da solo, soprattutto se Shinobi. Sacrosante parole.
     
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15 replies since 15/5/2015, 16:11   474 views
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