La prima volta

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    BOND

    The strong bond of friendship is not always a balanced equation.




    Rimase un istante in silenzio, fissando il suo interlocutore. Era la prima volta che qualcuno la marcava sui primi istanti del suo comportamento e non le dava nessuna possibilità di rifarsi e lei, interdetta, esitò.
    «Senti, perché io e te non riusciamo a comunicare?» Domandò alla fine, dopo aver pensato strenuamente ed essersi premuta indice e pollice della destra sulla fronte, dubbiosa. Non riusciva a capire come una persona potesse essere così quadrata, ed era assurdo che lo fosse proprio un ragazzo tanto giovane. Insomma quanti anni poteva avere? Almeno tre o quattro meno di lei. «Non sto biasimando il tuo Credo. Io sono stata consacrata al Tempio Shintoista del Fuoco quando ero piccola, e come ogni membro del mio Clan apprezzo e seguo la via del Credo, come potrei biasimarti per una cosa del genere? E' possibile che il mio modo di agire non sia ortodosso, non come lo immagini tu almeno, è vero, ma credi davvero di poterti permettere di parlarmi in questi termini? Come puoi sapere come agisco e affronto la vita del fedele, della donna e dello Shinobi?» Immaginare una persona come Shizuka, che non esitava a imprecare sonoramente nelle più disparate delle circostanze, richiedeva un certo sforzo preponderato, ma come poterle dare contro? Da Erede Kobayashi era davvero devota al Fuoco...anche se effettivamente Haruki non aveva tutti i torti a dire che il suo comportamento non era dei migliori. Del resto se la sua famiglia avesse solo immaginato la metà delle cose che faceva da Shinobi, come minimo l'avrebbe immolata agli Dei. Sorrise a disagio, pensando a quelle cose...ma dopotutto, ciò che faceva era in nome di una causa, e questa era la Pace Accademica e la salvezza di Konoha. Avrebbe accettato di essere biasimata per ciò che era, se avesse comunque potuto mantenere i suoi propositi. Era finito il tempo in cui si lasciava spaventare dalla solitudine di un percorso come il suo. Chiuse gli occhi, e annuì. «E poi... com'è possibile che tu fraintenda ogni cosa che dico?» Riprese a dire, riportando il suo sguardo sul volto del ragazzo. «Vedi perché dico che sei cieco, Haruki? Tu vivi ascoltando gli altri solo per non capirli. E' ammirevole che tu abbia un così forte senso di giustizia e dei valori tanto radicati, ma come pensi di poter...» Esitò un istante, cercando di mettere il discorso, stavolta, in un modo che il sacerdote potesse capire. Capire davvero. «...come pensi di poter aiutare gli altri a diventare persone meritevoli, a comprendere ciò che è giusto e sbagliato, se tu per primo non hai visto tutte le realtà di questo mondo e non le hai vissute sulla tua pelle come proprie? Pensi che solamente parlando come fai, e perché no, quando sarai più potente usando la forza, le persone si convertiranno al tuo Credo? Alla tua verità?» Chiese gentilmente. «Esistono molti tipi di convincimento, Haruki, e due di questi sono la Paura e la Violenza. Ma è davvero questo che vuoi ottenere nel tuo percorso? E' così che vuoi aprirti agli altri, lasciando che loro vedano, attraverso di te e per te?» Domandò, sorridendo con pazienza. Lui era senza dubbio un ragazzo dalla forte tempra... ma ai suoi occhi era ancora un pulcino visto. E lei, appena un passerotto. Del resto, guardando a se stessa, sapeva di dover ancora volare lungo lidi sconfinati e cieli vastissimi prima di potersi definire falco.
    Chiuse gli occhi ancora una volta e a quel punto, inspirando a fondo, intrecciò le mani in grembo.
    Non credeva che sarebbe mai arrivato il giorno in cui avrebbe potuto parlare così a qualcuno...
    «Cos'è uno Shinobi, Haruki?» Chiese allora la Principessa del Fuoco, gentilmente. «Cosa serve lo Shinobi, Haruki?» Domandò ancora. «Qual è l'obiettivo dello Shinobi, Haruki?» Diede il tempo al ragazzo di pensare, di assorbire quelle domande, poi annuì. «Uno Shinobi è uno dei tasselli che formano il muro in grado di proteggere il Villaggio che definisce come proprio, ciò che serve e a cui deve fedeltà... ma non c'è Villaggio senza le persone. Ed è quindi al servizio della gente che noi Shinobi siamo. Serviamo la Pace che chi ci ha preceduto ha creato con fatica e molte perdite. Serviamo la giustizia.» Disse, poi tentennò un po'. Per un attimo si ricordò stupidamente il suo volto bambinesco, aveva circa la stessa età del ragazzo che si ritrovava davanti e una mano tagliata da un kunai impugnato male. Fissava il volto del suo maestro, Raizen Ikigami, che la ammoniva per l'ennesima volta. Era stato difficile far capire ad una Principessa cosa significasse essere un militare. Trattenne a stento una risata, rammentando la mano pesante del Colosso che le piombava sulla testa con un pugno mentre lei affermava di rifiutarsi di aiutare qualsiasi altro villaggio ad eccezione di Konoha o di portare rispetto a stupidi stranieri. Era sciocca, al tempo. Ma una sciocca convinta, come Haruki. «Esistono molte interpretazioni dell'essere Shinobi, ovviamente. Incontrerai nel tuo percorso chi ha adottato idee molto diverse da questa, e ascolterai tante verità diverse. Questa, però, è la mia.» Riprese a spiegare con dolcezza. «Noi combattiamo, viviamo nell'obbligo, è vero... ma nessuna mente sarà mai solida abbastanza da affrontare quello che un giorno tu vedrai.» E che lei aveva già vissuto. «Nemmeno la tua.» Sperò che quella volta il ragazzo non l'aggredisse, negando. Immaginò però che sarebbe andata così, era evidente del resto che quel giovane aspirante avesse già visto abbastanza orrore da poter dare lezioni a molti. Ma non aveva visto il vero fondo. E lei temette per un istante che se questo fosse avvenuto prima che lui fosse stato pronto, ciò avrebbe potuto mandarlo in frantumi. Com'era capitato a lei. «Non possiamo servire un Villaggio, l'Accademia di cui fa parte e tutte le persone se non capiamo cos'è la vita, l'amore, l'odio...se non viviamo tutto sulla nostra pelle. Se non rendiamo nostre tante diverse realtà, crescendo, cambiando, pur mantenendo solidi i nostri principi e le nostre verità.» Guardò in silenzio Haruki, e poi sospirò. Avrebbe voluto avere più tempo. Avrebbe voluto che il loro incontro fosse stato diverso. Avrebbe voluto poter spiegare lui tanto di quello che sapeva... in qualche modo, dopotutto, quel ragazzo gli ricordava se stessa. «Sei una persona importante, Haruki.» Disse a quel punto la Principessa, del tutto improvvisamente. Sorrideva. «Non esisterà mai nessun altro come te, perché neanche gli Dei possono creare un uomo uguale all'altro. La tua esistenza ha valore per questo. Sei indispensabile. Per questo e per tante altre cose che spero che capirai, un giorno.» Sorrise nel dire quelle parole. E lo fece con una dolcezza rara. «Se un giorno tu avessi bisogno, se fossi solo contro tutto e tutti, se avessi bisogno di una mano, di una guida. Io sarei lì. Anche se tu non volessi. Anche se pregassi per morire. E questo perché benedico il momento in cui ti ho conosciuto; tu che mi stai facendo mettere in discussione su cose che credevo di aver dimenticato da tempo.» Mormorò intrecciandosi le braccia dietro la schiena. «Vedi, Haruki? I legami tra le persone sono così. E' in questo modo che si creano fili indissolubili. E' così che la Pace perdura. Che il mondo evolve. Che la storia prosegue.» Spiegò, facendo spallucce. «Come Shinobi dobbiamo essere pronti a morire. Ma soprattutto a vivere. A farlo per il nostro Villaggio, per le persone, quelle che amiamo e anche quelle che detestiamo. Se tu morissi, io ne sarei addolorata.» Spiegò, e così dicendo cercò di prendere il palmo della mano del sacerdote, disegnando con il suo indice un cerchio sopra di questo. «Non sei solo, capisci? Nessuno può esserlo. Gli Dei non ci insegnano questo...e nemmeno il nostro cuore.» Fare quel genere di discorsi la imbarazzava sempre un po', si sentiva una delle protagoniste di quei romanzi idioti che Miwa, una delle sue domestiche, leggeva con tanto ardore. Ne aveva sfogliata solo qualche pagina, ma il numero di volte in cui si ripetevano i kanji di “amore” e “cuore” era bastato a farla desistere da una specializzazione in cardiologia.

    “Lei, invece, per cosa sarebbe pronta a donare quanto di più prezioso possiede?”



    Era la prima volta che lui le poneva una domanda apparentemente seria. Ne rimase stupita.
    «Ogni volta che esco in missione so che potrei non tornare.» Rispose allora lei, con calma. «Non mi tirerò mai indietro dal mio dovere. Agirò sempre per il bene del mio Villaggio. Servirò Konohagakure no Sato e la Pace Accademica fino a quando ogni singola fibra del mio corpo non andrà disfatta, non cederà e non svanirà...» Sussurrò. Avrebbe voluto sorridere, ma non ci riuscì. Improvvisamente il ricordo di Karasu le balenò in mente e lei, trasalendo, ne fu travolta. Si chiese se avrebbe mai smesso di ricordare. Di rammentare il taglio gelido della lama che la dilaniava, che affondava nelle sue carni, il sangue caldo che la copriva come una seconda veste, il suo corpo sventrato che camminava per puro moto di volontà e poi cadeva a terra, nella polvere... rammentò la risata di colui che la voleva, le urla che seguirono di chi l'aveva salvata. Era morta. E rinata. Suo malgrado le mani le tremarono e lei, allora, non esitò a ritrarle da quella di Haruki. «Sarei pronta a morire per Konoha.» Disse, stringendosi le mani al petto. «Ma non è detto che dia per scontato che accada. Se succedesse, come potrei essere ancora utile alla mia gente? Chi consolerebbe mia madre, mio padre e tutta la mia famiglia? E le persone che amo?» Ce n'erano così tante, e in così tanti villaggi diversi... «E se tu morissi, chi pensi che potrebbe guidare Shirai? E lui, chi guiderebbe? E io cosa pensi che potrei fare?» Chiese, perplessa. «Vedi, Haruki, dai molte cose per scontate. Ed ecco perché sei cieco.» Lo fissò per un attimo. «Cioè sei cieco per davvero, ma... insomma ci siamo capiti.» Gli ammiccò, ma ovviamente lui non lo vide. Sghignazzò per la centesima volta su quello scherzo di pessimo gusto, poi si rifece seria. «Vivi, Haruki. E continua ad adempiere al tuo dovere con forza. Sempre. Sperimenta tutto, perché non c'è dono più grande che gli Dei ci abbiano fatto del poter vivere a pieno le nostre scelte. Hai il grande privilegio di poter proteggere e guidare gli altri, ed è un dono senza pari, questo. Vivilo.» Gli suggerì infine. A quel punto però i suoi occhi si alzarono sul gruppo che avanzava spedito verso di loro, e lei sospirò, sconsolata. «Vorrei tanto poterti parlare ancora, spiegarti un mucchio di cose. Discutere di altrettante. Vorrei poterti seguire, farti capire quanto è splendida la vita e tutto ciò che è possibile fare, come Shinobi e persone semplici. Vorrei comprendere perché sei interessato così tanto ai Bijuu, perché parli di cose che non dovresti sapere, e vorrei trasmetterti il sapere che ho in merito, ma...» Forse lui non era ancora pronto a ricevere qualcosa dagli altri. Esisteva un momento per tutte le cose, dicevano. Forse era davvero così.

    “Avrai molte cose da raccontare a Kaito, temo.”



    La Chunin sospirò.
    «Kaito mi ucciderà.» Gemette per tutta risposta, abbattuta.
    «Farebbe bene.» Commentò il biondo, perplesso. Veder saltare una kunoichi da una finestra non era cosa di tutti i giorni in effetti. «Certo che per essere una Kobayashi ne fai di casini.»
    «Noi Kobayashi siamo famosi anche per questo.»
    Ironizzò la Principessa, ridendo. «Dai, Mui, lo sai che avrei accettato. Beh, non che possa ritirarmi da un dovere accademico, Takumi poi chi lo sente.» Brontolò offesa pensando all'amministratore.
    Di nuovo Kiri, maledizione... Itai avrebbe dovuto offrirle centinaia e centinaia di prelibatezze per tutte le volte che la mandava a chiamare.
    «E allora perché semplicemente non accetti? Tu e Kaito siete insopportabili.» Bofonchiò uno dei Jonin del gruppo, a braccia conserte. «Ogni volta è la stessa storia.» Rincarò, girandosi poi a guardare qui e là come se stesse cercando qualcosa, o qualcuno. «E un'altra cosa, Shizuka... il piccoletto ha riferito che un tipo è svenuto. Perché ci hai fatto chiamare?» Chiese, spazientito. «E' assurdo che proprio tu chieda supporto medico.» Ringhiò, fissando torvamente l'interlocutrice. «Mi risultava che fossi la migliore apprendista di Norio Uchiha-sama. Sei diventata scema?!»
    «Ehi, io gliel'ho detto che ero un medico!»
    Replicò offesa Shizuka, girandosi a fissare male Shirai, a cui fece una linguaccia. «E' lui che non mi ha creduto!»
    «E chi diavolo può credere ad una che ha la faccia da bambina, scema?!»
    Abbaiò l'altro, dando un'indicazione con una mano e facendo intervenire il resto del gruppo, che si sbrigò a prendere l'albino sulla barella e portarlo lentamente via. «Ce ne occupiamo noi, comunque. Lo rimandiamo a casa appena si sveglia.»
    «E lui?»
    Intervenne il biondo, sistemandosi l'haori da corpo medico con flemma prima di indicare il sacerdote.
    «E' un mio amico.» Rispose Shizuka, sorridendo. «Haruki Miyazaki.» E così dicendo gli mise una mano sulla spalla. «Lui invece è il piccolo Shirai.» Aggiunse, scompigliando i capelli del bambino.
    Di fronte al trio, il biondo dalle gambe lunghe sospirò, mentre l'altro faceva roteare gli occhi al cielo.
    «Beh, vieni con noi?» Chiese il primo dei Jonin, mettendosi a braccia conserte. «O passi dopo?»
    «Volevo salutare i miei amici, appena saranno ripartiti verrò subito.»
    Rispose la Principessa, sorridendo e mostrando i denti sguaiatamente.
    «Guardala, guardala come ritarda Kaito.» Scoppiò a ridere il secondo dei due, scuotendo la testa. «Fai come ti pare, ma stasera non rincaseremo insieme. Ho da fare, e tu ci metti sempre una vita.» La derise poi. E a ben guardare, infatti, il ragazzo aveva una fascia al braccio che lo identificava come Shinobi della Foglia. Ogni burocrate, del resto, apparteneva ad uno dei Gakure dell'Alleanza.
    «No dai.» Gemette Shizuka, con voce squillante. «Di notte il continente è pericoloso... sono una Principessa... e se mi rapissero...?» Cinguettò, recitando la parte della nobile in pericolo. Tutti risero.
    «Se ti rapissero verremo a salvarti.» Tagliò corto il Konohoniano. «E' così che si fa tra amici, no? Siamo uniti, purtroppo.» Domandò, tirandole una pacca sulla spalla mentre rideva. «Ma immagino che Raizen Ikigami e Atasuke Uchiha mi ucciderebbero se sapessero che ti ho mollato qui, di notte. Facciamo che ti aspetto al Gate dell'Accademia, eh?» Suggerì ammiccando.
    «Non provarci, bestia.» Lo ammonì il biondo, tirandolo per il colletto della divisa. «A presto, Kobayashi.»
    «Mata nee!»
    Salutò di rimando Shizuka, girandosi poi verso Haruki quando il duo scomparve alla vista. «Tornate a casa, allora?» Chiese, sorridendo. «Vi accompagnò al Gate.»

    Era senza dubbio la persona più controversa che Haruki avesse mai incontrato. Sembrava avere diversi strati di interpretazione.
    Era una tipa strana. Anche troppo, forse.
    Ma era sincera... almeno in quell'occasione e almeno con lui.
    Questo era indubbio.
     
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