[Gioco] Vizi di Forma

Grado C

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    Vizi di Forma

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    Che la scorta sia con te

    Segua quella carovana!


    Soundtrack:
    Iced Earth - Desert Rain


    The desert rain is changing me
    It's called on me... To rise.



    Cra.
    L'enorme corvo inclinò leggermente la testa, come se stesse cercando di comprendere il motivo per cui uno stupido cucciolo femmina di umano si trovasse in quel posto. Era un esemplare magnifico, il piumaggio lustro e perfetto di chi viene curato di continuo, i vispi e profondissimi occhi neri che parevano in grado di attraversare l'anima e scrutarvi dentro.
    Deglutii, ancora non del tutto ripresa dall'irruenta entrata in scena dell'animale, fatta di un sonoro e gracchiante atterraggio in picchiata dopo essermi volato sopra la testa in ampi cerchi per quattro-cinque volte.
    Il corvo portava legata alla zampa una piccola lettera recante l'inequivocabile simbolo del Villaggio della Nebbia, il che lasciava poco adito a dubbi su chi fosse il mittente e anche sul perché fossi io la destinataria, nonostante in quell'esatto istante mi trovassi sdraiata all'interno di una delle barche tirate in secco sul bagnasciuga da mia madre. Adoravo starmene lì, specie quando la pioggia cadeva leggera producendo un lievissimo suono arrivando a contatto con il mare: la mia corporatura esile mi permetteva di nascondermi interamente, risultando quasi invisibile a chiunque non guardasse direttamente all'interno della barca. Oh, e naturalmente a chiunque non avesse avuto la discutibile fortuna di essere nato corvo.
    Cra.
    Allungai la mano per prendere la lettera. Non poteva trattarsi di nulla di buono, essendoci di mezzo l'Amministrazione. Slegai il nastrino che fissava il pezzetto di carta alla zampa color ebano del corvo, il quale per tutta risposta si lasciò andare in indesiderate effusioni tramite una violenta beccata sull'anulare della mia mano destra.
    « Acc... » gemetti, ficcandomi la nocca fra le labbra mentre una goccia cremisi di sangue faceva capolino dal mio dito. Rischiai anche di darmi un morso dalla stizza, nel tentare l'improbabile impresa di rompere il sigillo di ceralacca della lettera con il solo ausilio della mano sinistra.
    Convocazione. Ero desiderata al più presto all'interno del Palazzo dell'Amministrazione, dove avrei dovuto ricevere ulteriori e più dettagliate istruzioni su una missione. Bla bla bla, firmato il direttore di non so quale ufficio.
    Post scriptum, tanto utile quanto poco tempestivo: Attezione, il corvo morde. Grazie tante, direttore.
    Agitai la mano per far andare via l'uccello, tracciando una minuscola scia di goccioline di sangue nell'aria. L'animale spiccò il volo con un ultimo cra di disapprovazione. Sarei stata ancora cinque minuti sdraiata nella barca, dopodiché sarei andata all'amministrazione. Solo cinque minuti...

    « C'è nessuno? Sono Uriko Nonomura, ho ricevuto una convocazione dall'amministrazione! »
    Battei con forza il pugno chiuso contro la porta di legno, ansimando. Alle mie spalle, un'anziana coppia stava riportando dentro al loro negozio un bancone ormai svuotato di tutta la mercanzia venduta durante la giornata, mentre il sole si tingeva di un'ultima violenta sfumatura di rosso prima di tuffarsi oltre il mare per il meritato riposo notturno.
    Chiaramente, quei cinque minuti erano diventati cinque ore, e io mi ero appena fatta tutta Kiri di corsa sperando che l'ufficio dell'Amministrazione non fosse già chiuso.
    Gli istanti seguenti mi parvero interminabili: se essere convocati dall'Amministrazione non poteva portare nulla di buono, non presentarsi alla suddetta convocazione doveva essere decisamente peggiore. Non avevo idea delle punizioni che uno shinobi disertore, seppur involontario come me, potesse subire, ma sicuramente sapevo di non avere la minima intenzione di scoprirlo.
    Dopo quelle che mi parvero ere geologiche sentii un passo strascicato e lievemente claudicante dall'altra parte della porta, dapprima ovattato, poi più nitido. Qualcosa scattò all'interno della serratura, dopodiché lo stipite si socchiuse lasciandomi intravedere un solo occhio nero, sovrastato da un folto sopracciglio scuro.
    « L'ufficio è chiuso, torni domani » disse una voce, bassa e burbera ma dal timbro chiaramente femminile.
    « Ho appena ricevuto una convocazione, credo che sia urgente » le risposi, alzando la lettera in modo tale che il sigillo della Nebbia fosse ben visibile. L'occhio lo scrutò per un attimo, poi lo sferragliare di un catenaccio preannunciò l'apertura della porta. La signora era bassa, tarchiata, dalla palpebra cadente e l''espressione piuttosto infastidita. Una gioia per gli occhi, insomma.
    Bofonchiando qualcosa - sarei pronta a giurare di aver udito le parole ragazzine, ninja, ritardo, piloti, anche se l'ultima poteva suonare anche sinistramente simile a idioti -, la bidella con la gioia di vivere mi guidò per un lungo corridoio, sul pavimento del quale una fila di piante a basso fusto proiettava delle lunghe ombre simili a tentacoli. Era decisamente l'ora del tramonto.
    « Aspetta qui, vado a chiamare il cap... » non fece in tempo a finire la frase, che una delle porte che si affacciavano sulla stanza in cui ero stata scortata (palesemente una sala d'attesta, a giudicare dalla fila di sedie addossata ad una parete e la pila di riviste di almeno dieci anni prima appoggiate su un tavolinetto di vetro in un angolo) si aprì cigolando, lasciando che sulla soglia si stagliasse in controluce la silhouette di un uomo intento a mettersi un cappotto.
    « Kasumi, io qui ho finito, sono anche in ritardo per la cen... Oh. »
    L'uomo mi scrutò per un attimo, prima di voltarsi nuovamente verso il suo ufficio.
    « Signorina Nonomura, mi segua » mormorò sconsolato, lasciando cadere a terra la giacca.

    « ...e questo è quanto » terminò l'uomo dopo aver concluso la sua spiegazione.
    Stetti un attimo in silenzio, ponderando sulle informazioni che avevo appena ricevuto. Si trattava di una missione di scorta nel piacevole tepore sunese. Scorta. Proprio io, che di capacità in corpo a corpo ne avevo all'incirca meno di zero. Cosa pensavano che avrei fatto, se qualcuno avesse attaccato l'importante Shiratoshi Anzo aka cugino del daimyo? Sfida a braccio di ferro coi cattivi?
    « Non creda comunque che non farò rapporto per questo intollerabile ritardo, io stesso le ho inviato il corvo quasi sei ore fa. » La voce dell'uomo penetrò i miei pensieri, interrompendoli. Maledizione, speravo di averla fatta franca. Dovevo ricorrere al piano B: fingere.
    « Ero in missione per conto del Mizukage » esclamai, simulando un'espressione stizzita. « Crede che per caso le sue lettere abbiano più importanza del signor Nara? » L'uomo mi lanciò un'occhiata imperscrutabile attraverso le lenti dei suoi piccoli occhiali, prima di afferrare un plico di fogli - pochi, per dire la verità - dalla sua scrivania e passarmeli. Sulla prima pagina era scritto a grandi lettere, a pennarello, il mio nome.
    « Quella di domani sarà la sua prima missione per conto del Villaggio della Nebbia, signorina Nonomura » scandì con voce atona. « Sono trent'anni che gestisco ogni genere di scartoffie qui all'Amministrazione, ho un fascicolo su ognuno di voi genin e sono perfettamente a conoscenza delle attività che ognuno di voi svolge per il Villaggio. »
    Uhm, ottimo. Sgamata in tempo zero: un record. Almeno non potevo dire di non averci provato. « Il suo team sarà composto da una chunin di Konoha, un genin di Oto ed un genin di Kiri come lei. Il suo nome è Akira Hozuki, un altro bel tipetto. Almeno lui, però, non è arrivato tardi alla convocazione facendomi saltare la cena e condannandomi ad un'altra serata di "lavori troppo, non sei mai a casa, devo crescere i nostri figli da sola" da parte di mia moglie. »
    La voce dell'uomo aveva assunto una sinistra tonalità isterica. Chissà, forse lavorava davvero troppo.
    « Hozuki mi ha detto di riferirle che domani partirà all'alba dal porto per Suna, in caso lei si volesse aggregare. »

    La mattina dopo, all'alba, una figura esile si avvicinò alla banchina del porto di Kiri. Indossava un paio di shorts blu ed una maglia dalle maniche estremamente lunghe, tanto da quasi coprirle interamente le mani; i capelli, di un castano piuttosto ordinario, erano raccolti in una lunghissima treccia che le arrivava fin quasi alle ginocchia. Il coprifronte era portato legato attorno ad un braccio ed era particolarmente eloquente: si trattava di una kunoichi del Villaggio della Nebbia.
    In altre parole, avevo deciso di accettare l'invito indiretto del mio futuro compagno di team, nonostante alzarmi prima del sorgere del sole avesse comportato uno sforzo ben maggiore di qualsiasi altro mi sarei probabilmente ritrovata ad affrontare in missione.
    Sbadigliai sonoramente, coprendomi la bocca con la mano per conservare quel briciolo di dignità che mi era rimasto.
    Avevo con me tutto l'equipaggiamento, e la premura mi aveva suggerito di portarmi scorte d'acqua in abbondanza: non ero mai stata a Suna, ma qualcosa mi suggeriva che nel deserto sarebbe stato poco saggio trovarsi senza niente da bere. Mia sorella aveva deciso bene di assistermi nella preparazione del necessario, svegliata da un improbabile scricchiolio del pavimento di legno nell'esatto istante in cui ero riuscita a raccogliere abbastanza forze per poggiare un piede a terra ed alzarmi dal letto, ed aveva avuto la meravigliosa idea di aiutarmi. A volte mi chiedevo chi fosse la più piccola fra noi due.
    Per qualche minuto si era limitata a sbadigliarmi intorno; ad un certo punto, però, aveva deciso che non solo desiderava assistermi, ma mi avrebbe anche dato una mano.
    Poco dopo avevo estratto un'orata ben incartata dallo zaino. "Il fosforo serve sempre, specie nel deserto" aveva proclamato con solennità, come se fosse veramente convinta di quello che diceva. Menomale che me ne ero accorta... Sarebbe stato difficile spiegare ai compagni del team perché i banditi erano riusciti a trovarci e ad uccidere il signor Shiratoshi seguendo la puzza di pesce andato a male che proveniva da uno dei nostri zaini.
    Mi guardai intorno, rendendomi improvvisamente conto che in tutto quello zelo - fra l'altro, era veramente di me che stavamo parlando? Zelo? Ero stata la prima a stupirmi, nel preparare l'equipaggiamento - avevo dimenticato un minuscolo, infimo particolare.
    Non avevo la minima idea di che aspetto avesse questo Akira, né sapevo dove andare a cercare informazioni sulle navi in partenza per il Villaggio della Sabbia. Il porto sembrava pressoché deserto: era quell'ora del mattino in cui i pescherecci erano già partiti, sperando in una buona giornata di pesca, ed i marinai delle navi da trasporto dormivano ancora. Un paio d'ore e la banchina avrebbe brulicato di vita, ma io non avevo tutto questo tempo da perdere. Probabilmente c'era una nave in partenza che dovevo prendere.
    Iniziai a camminare, nervosa. Il coprifronte legato al braccio mi dava fastidio, non ero abituata a portarlo, e mi prudeva. Mi grattai distrattamente, maledicendomi per essermi dimenticata di chiedere al funzionario dell'Amministrazione almeno che aspetto avesse il mio compagno.
    Camminai per una ventina di minuti, quando mi accorsi che le barche alla mia sinistra erano finite e il cemento della banchina stava iniziando a sprofondare sotto uno strato di sabbia. Ero arrivata alla spiaggia.
    Reprimendo con difficoltà un moto di stizza, tirai un calcio alla sabbia sollevando una nuvola di polvere e mi voltai verso il porto; fu allora che notai che fra tutte le imbarcazioni ormeggiate ce n'era una che emetteva un filo di fumo, come se avesse i motori accesi.
    Iniziai a correre. Era sicuramente il mio mezzo di trasporto, che stavo naturalmente rischiando di perdere. Chi l'avrebbe sentito, poi, il burbero funzionario dell'Amministrazione?
    Lentamente vidi il filo di fumo ingrossarsi, un po' perché la caldaia della nave stava probabilmente entrando a regime, un po' perché mi stavo avvicinando. Potevo vedere un ragazzo, là in lontananza, davanti all'imbarcazione stessa.
    « Piacere di conoscerti, Akira Hozuki! Sei te Uriko? » esordì lui non appena gli giunsi a tiro d'orecchio. Provai a rispondergli, giuro. Aprii la bocca, ma tutto ciò che ne uscì fu un rantolo strozzato. « Eeeeow ».
    Gli feci un cenno con la mano, quindi mi sedetti a terra respirando rumorosamente. Aria, avevo bisogno di aria. Tutta quella che avevo in corpo l'avevo bruciata nello scatto disumano in cui mi ero appena misurata
    « Uriko Nonomura... Piacere » mormorai un paio di minuti dopo, quando finalmente ebbi l'impressione che provare a pronunciare una parola non mi avrebbe ucciso.

    « ...per questo motivo il nobile Shiratoshi e il suo gruppo sono già partiti. »
    Spalancai la bocca, assumendo un'espressione che - temo - vista dall'esterno doveva sembrare poco kunoichi e molto ebete. Non era possibile.
    Eravamo davanti al gate di Suna, lì dove avremmo dovuto incontrarci con Shiratoshi. L'afa era opprimente, stavo iniziando a provare il desiderio compulsivo di strapparmi le maniche per lasciare più centimetri scoperti di pelle possibili, ed ora - a missione nemmeno iniziata - cominciavano a piovere le cattive notizie.
    Stetti a guardare, lasciando che ad interloquire con il malcapitato guardiano - che, giusto per spezzare una lancia in suo favore, sembrava notevolmente mortificato - fossero Akira ed un'altra persona, non ancora presentatasi, ma che andando ad esclusione non poteva che essere la chunin di Konoha. Sapevo che se avessi lasciato uscire anche una sola parola dalla mia bocca questa sarebbe stata velenosa, stizzita e rabbiosa, mentre mister torno-tardi-per-cena si era raccomandato: non avremmo dovuto fare niente che indisponesse il sommo, supremo, imperscrutabile signor Shiratoshi. Leccaculo.
    Conclusi i convenevoli con il guardiano, la ragazza si presentò ad Akira.
    «A meno che non ti sia perso e per caso ti sei trovato in questo inferno rosso, immagino che tu faccia parte della scorta. Mi chiamo Shizuka Kobayashi, scritto con gli ideogrammi di “non so perché sono qui, aiuto”. Non so fare un granché, ma spero che potremo andare d'accordo!» Feci per alzare una mano, ma rendendomi conto che non ero stata minimamente presa in considerazione rinunciai al tentativo. Mi sarei presentata in seguito.
    Shizuka fece apparire un clone esatto di lei stessa, stesso aspetto, stesse movenze - stesso davanzale prosperoso, disse una vocina maliziosa e piuttosto invidiosa dentro la mia testa -, il quale parti spedito in una direzione: in breve tempo si era già trasformato in un piccolo puntolino all'orizzonte. Ottimo, magari avrebbe fatto tutto lui, il signor Shiratoshi sarebbe arrivato a destinazione sano e salvo e noi saremmo stati a casa per l'ora di pranzo.
    O forse no?



     
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