L'accompagnatrice senza volto

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    THREE STORIES

    Finding good players is easy.
    Getting them to play as a team is another story.




    «Feriti?!»
    Shizuka Kobayashi era di fronte alla porta che affacciava nella stanza adibita ad infermeria di quell'edificio isolato da Quartiere dei Piaceri, che i Signori di Kabuchou usavano come centro d'incontro. Ferma, ancora ansimante per la corsa frenetica, la ragazza guardò con orrore Inoichi e Haruko distesi su due lettini, affiancati da due medici per uno. Il primo era ustionato orrendamente su gran parte del corpo, la seconda presentava invece segni di strangolamento e ferite su tutto il corpo, i vestiti erano macchiati di nero e rosso [Entrambi i player si ritirano dalla ruolata. Non subiscono ferite mortali, ma di entità Media].
    «Li curerò io.» Disse la Chunin, allontanando con violenza il braccio di uno dei due uomini che provò a fermarla. «Ho detto che li curerò io.» Ripeté, girandosi di scatto verso le persone che le sostavano alle spalle. Il suo volto distorto dalla rabbia brillava in due iridi un tempo verdi, ma adesso di due gradazioni più scure e affilate.
    «E poi cosa farai? Ti prenderai il resto della notte per riposare, per recuperare le energie, bambina?» Domandò una voce melodiosa. Izumi-sama, bellissima benché avvolta in un'abbondante cappa di broccato di seta, il cui cappuccio ne copriva la testa e i lineamenti, diede ad intendere di star sorridendo, ironica. «I medici di Kabuchou sono stati educati a Konoha, esattamente come te, Shizuka... credi di essere molto più brava di loro?» E alzando una candida mano affusolata dove avrebbe dovuto esserci la bocca, la Matrona della Peonia Bianca sogghignò. «Raizen-sama ti ha concesso di montarti la testa, bambina, se credi di essere la migliore medico del Fuoco...» E poi la mano venne abbassata, rigida e gelida. «...non sei ancora così potente. Non sei la più potente. Smettila di pretendere e parla solo quando avrai qualcosa da dire. La legge di Kabuchou non spetta a te, né al tuo Hokage.»
    Quelle parole colpirono la Principessa dell'Airone come uno schiaffo infuocato, costringendola ad abbassare lo sguardo e a stringere i pugni, con rabbia.
    Izumi-sama sapeva sempre cosa dire per ferire o compiacere qualcuno: era del resto questa l'arte di una donna come lei, come loro.

    […]



    «Chi diavolo saresti tu?»
    Yato Senju se lo sarebbe ritrovato alle spalle quasi per caso, probabilmente non lo avrebbe nemmeno percepito fermarsi dietro di lui.
    L'uomo, massiccio e moro, aveva la faccia di uno scaricatore di porto con una taglia sulla testa e abbastanza precedenti per far bruciare quella stessa taglia dall'occhio impietoso degli Dei. Alto tanto da toccare con la testa lo stipite di una qualsiasi porta e con le spalle squadrate da lavori di fatica, aveva la carnagione bruciata dal sole, con pori dilatati e unti. Sudicio abbastanza da gareggiare con il peggior cane randagio, infatti, nemmeno sorridendo appariva più rassicurante. E probabilmente i due denti mancanti, che aprivano scure finestre in una bocca che puzzava di fegato di pesce e liquore, non contribuivano.
    «Ah.» Disse l'uomo, lanciando un'occhiata al coprifronte di chi gli si trovava di fronte. «Sei una di Konoha?» Domandò... lasciando un dubbio aleggiare tra loro. «Certo che voi kunoichi della Foglia siete tutte piatte. Solo la tua Boss è ben messa.» No, non c'era nessun dubbio, era evidente che Yato avesse capito molto bene. «E questo vizio di vestirvi da maschi...» L'uomo sputò a terra, passandosi poi il dorso del braccio sulla bocca. «...come se qualche uomo pretendesse da voi femmine più di qualche notte di strilli ben fatti e dei figli sani e robusti.» E così dicendo affermò, in modo piuttosto convinto, che il mondo non era più quello di una volta. Femmine in battaglia, ma perché si era arrivati a quel punto?! Ah, ma lui se ne fotteva di quella robaccia, davvero... ubbidiva solo ad Izumi-sama. Quella gran donna. Gran donna. «Quindi saresti il rinforzo per quella stronza a cui Izumi-sama –gli Dei l'abbiano sempre in gloria– ha tanto in attenzione? Beh non che me ne freghi niente –anche se, capirai, non mi sembri molto forte, ragazzina–, piuttosto, meno male che ti ho trovato durante le ronde. Abbiamo già due seccati e mezza casa di piacere esplosa, spero proprio che tu sia meglio di quei due rifiuti che sono mezzi morti...ma visto come ti nascondevi tutta spaventata, non c'ho grandi aspettative.» E così dicendo l'uomo, ruttando sonoramente per poi far spallucce (pareva che la cena che aveva trangugiato di gran carriera fosse niente di più che la massima espressione di quanto una donna fosse incapace anche di cucinare), tentò di afferrare con violenza Yato all'altezza del colletto.
    Non si sarebbe fatto molti problemi, il presunto guardiano di ronda notturna, e dopo aver tastato il petto al nuovo trovato, commentando poi che era proprio vero che le donne di Konoha erano tutte piatte, avrebbe trascinato lo studente in un vicolo scuro e nero, angusto e stretto...
    ...per gran fortuna delle grazie del giovane Senju, pareva però che non fosse ancora arrivato il momento per lui di fare esperienza amatoriale anche con gli uomini, giacché il ceffo si limitò ad intraprendere un dedalo di stradine dimenticate dagli Dei, per poi spuntare di fronte ad un edificio piuttosto isolato rispetto al resto del quartiere. Non c'era nessuna insegna in quel posto dalle finestre barricate e la porta sprangata –su cui l'uomo batté con le nocche due volte velocemente, poi una e infine vi schiantò sopra il palmo aperto della mano–, e quando Yato fosse stato condotto dentro ne avrebbe capito la ragione: quel posto non era una Casa di Piacere.
    «Pare ti sia stata mandata una nuova amica per questa faccenda del cazzo, donna.» Ruggì l'uomo, spalancando la porta con una ginocchiata ed entrando in una stanza senza finestre, in cui una lanterna di riso rossa giaceva in mezzo a tre persone inginocchiate a terra: due donne e un uomo.
    «Ah?!» Esclamò la chiamata in causa, strabuzzando gli occhi quando il guardiano lanciò sul pavimento di legno scheggiato, verso di lei, Yato. «Cosa significa questo, Jun?!» Ringhiò, abbassandosi dopo un attimo di esitazione verso il nuovo arrivato: aveva lunghissimi capelli castani, lisci come seta, e dei bellissimi occhi verde smeraldo. Il volto ovale, simile a quello di una bambola d'altri tempi, era assai perplesso mentre squadrava i lineamenti del Senju e si soffermava sul coprifronte di lui... nonostante tutto la prima domanda che pose fu: «Sei davvero una donna?» come se quella faccenda importasse davvero in quella circostanza.
    […] Non per niente, ma se quella era davvero una femmina, Shizuka Kobayashi –la famosa Principessa dell'Airone– non poté fare a meno di pensare che gli Dei avessero un gran senso dell'umorismo (e il braccio abbastanza corto)...
    ...ma visto ciò che stava succedendo, ritenne di non poterne comunque dubitare: chi diavolo era, quello? E perché era lì? Lo mandava Raizen, forse?
    Il tipo avrebbe dovuto dare una buona spiegazione, del resto lei non aveva voglia di tagliargli la gola. Avere due allievi feriti bastava a demoralizzarla... e soprattutto a renderla di pessimo umore.

    Intanto, fuori da quel luogo, lontano abbastanza perché il sesso delle persone non fosse tratto in inganno dal liquore e dai lineamenti troppo aggraziati di un bel viso, qualcuno sedeva a terra. E a giudicare dallo sguardo fisso di quell'unica ragazza, ferma in mezzo di strada con ancora un secchio d'acqua pieno di cenci sporchi stretto tra le mani, quella faccenda doveva essere una gran cosa.
    Immobile, la fanciullina –circa quattordicenne, con indosso un bel kimono striato da cameriera apprendista di un blu che risaltava i suoi capelli biondi e gli occhi grigi– continuava a fissare di fronte a sé dove, a circa cento metri, sedeva qualcuno.
    Fece due passi avanti, verso destra.
    Poi altri otto, verso sinistra.
    Rimase ferma un altro po', fissando.
    Poi riprese ad avanzare. Ancora. E ancora.
    In una manciata di istanti era di fronte all'oggetto del suo interesse, e abbassandosi nel posare il suo secchio a terra, puntò i suoi grandi occhioni dalle lunghe ciglia in quelli altrui. Poi sorrise.
    «Konbawa» Disse con dolcezza. Sembrava considerare “sera” quell'ora della notte, la piccina. «Sei un tanuki-sama, forse?» Chiese timidamente, arrossendo di trepidazione mentre muoveva le spalle su e giù, stropicciandosi le piccole manine.
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    […] Si dava il caso che i Tanuki fossero spiriti procione dall'aspetto tondeggiante, quasi sferico, con grosse gote paffute e occhioni dall'aspetto divertente, che approfittavano delle creature umane per fare loro scherzi della peggior specie.
    Com'era ovvio immaginare, dunque, dare dello spirito Tanuki ad un giovane Akimichi, era come scavarsi una buca da soli, seppellirsi e poi rimanere in attesa dell'irrimediabile... ma questo, la dolce fanciullina non sembrò capirlo, e sorridendo amorevolmente, insistette senza apparente pietà.
    «Tanuki-sama, cosa ci fate a Kabuchou? Vi dilettate forse al Quartiere dei Piaceri?» Domandò. Come se fosse possibile, poi. «Cercavate qualcuno in particolar...» E interrompendosi, la graziosa cameriera guardò il grosso pezzo di pizza riverso a terra, sbrodolato di sudicio e polvere. Per un attimo parve perplessa, poi, come se avesse realizzato chissà quale cosa sensazionale, si batté il pugno destro sul palmo aperto della mano sinistra, e annuì. «Mi dispiace, Tanuki-sama, purtroppo non ho molto con me.» E rovistando nelle tasche interne del suo kimono, la ragazzina ne tirò fuori tre caramelle alla frutta, che offrì subito al povero Akimichi. Come se non bastasse, mentre posava i bonbon a terra, batté tre volte le mani, e si inchinò.
    ...Era evidente che c'era qualcosa di molto sbagliato nella gente di Kabuchou. Ma questo era meglio non farlo presente, forse.
    «Perché non venite con me, Tanuki-sama? Sono certa che alla Casa di Piacere dove mi stanno addestrando per diventare una grande accompagnatrice, posso trovare per voi un buon pasto caldo e dei vestiti puliti!» Esclamò improvvisamente la ragazzina, e così dicendo avrebbe cercato di prendere con dolcezza le mani del Genin, che avrebbe stretto, avvicinandosi così tanto al viso di lui, sbattendo le sue lunghe ciglia chiare, da lasciare poco spazio a qualsiasi resistenza maschile, per quanto salda fosse. Indipendentemente da ciò che le frullava nella testa, infatti, era senza dubbio di graziosa sopra ogni dire. «Vi prego, permettetemi di stare con voi, Tanuki-sama...sono sicura che io...»

    «...Sono sicura che tu sia davvero stupida, Chi-chan.»

    Una ragazza, circa ventenne, guardava allibita l'uscio di entrata di una Casa di Piacere sulla strada principale di Kabuchou, lontana abbastanza dall'incendio appena spento alla Peonia Bianca da non temere per la propria sicurezza.
    La donna, alta e snella come un giunco, con i capelli raccolti come quelli di una geisha e un kimono dalla sin troppo generosa scollatura, stava indossando una mantella color dell'autunno, e fissava perplessa la piccola bionda, sorridente, che teneva la mano di quello che lei insisteva a chiamare “Tanuki-sama”.
    «Non è un Tanuki, è un ragazzo. Smettila di leggere quei libri sugli spiriti, stai cominciando a diventare imbarazzante.» E rivolgendosi all'Akimichi, l'accompagnatrice sospirò, mortificata. «Scusala, ha sempre queste sciocchezze per la testa. Spero non ti abbia offeso.» Disse, inchinandosi prima di squadrarlo dalla testa ai piedi. «Ma vedo che non sei un Cliente... dunque è possibile che tu sia il nuovo garzone? Avevano detto che sarebbe arrivato stanotte, ancora tutto da addestrare.» E fissando il ragazzo parve essere d'accordo che si, di lavoro ce n'era tanto da fare.
    «No! E' un mio amico, ho detto!» Protestò Chi, guardando con occhioni sognanti l'Akimichi, che avrebbe provato ad abbracciare con dolcezza espansiva. Si sarebbe presto accorto, il giovane ninja, che la sua nuova “amica” non era ancora ben matura... benché le morbidezze del suo corpo iniziavano già a farsi sentire, sotto il kimono. «Tu invece stai uscendo, Onee-sama?» Chiese poi, stringendosi al suo nuovo eroe.
    «Sto andando a portare da mangiare a quella Shinobi di Konohagakure no Sato...» Rispose la donna, alzando il mantello con un braccio per far vedere del cibo in una scatola di lacca lunga e rettangolare, a sei strati, che teneva in mano. «...pare che Izumi-sama la voglia far riposare per stanotte. Ha subito un bel colpo.»
    «Quella con la faccia spaventosa?»
    Chiese Chi, rabbrividendo e nascondendo la faccia nel braccio del Genin.
    «Non azzardarti a parlare in questi termini degli ospiti della Legge di Kabuchou.» Sibilò con rigidità l'altra. «Quella donna ha già perso due compagni per noi. Porta rispetto se non puoi capire cosa sta succedendo.» Ma poi parve calmarsi, inspirando a fondo. Un secondo dopo, stava già sorridendo. «Voi che progetti avete, invece?» Chiese dolcemente alla piccola apprendista.
    «Io e Tanuki-sama faremo il bagno insieme, poi ceneremo insieme, e infine dormiremo insieme!» Cinguettò Chi, stropicciando una guancia contro quella dell'Akimichi. «Non vedo l'ora di vedere se i Tanuki cambiano davvero forma quando sono nudi...» E affilando gli occhi, sorrise, maliziosa. A quanto pareva persino una come lei riusciva ad esserlo...
    «Fossi in te comincerei a cercare un piano B, ragazzo. Chi-chan è terribile con i garzoni della nostra Casa di Piacere, non ce n'è uno solo che le resista.» Consigliò la donna al povero mal capitato, sorridendo in modo eloquente mentre la piccola cameriera lasciava il Genin da solo per correre a preparare la vasca da bagno "per due".

    E dunque quella era proprio una cosiddetta scelta di vita. I casi, dopotutto, erano solo due... e uno di quelli consisteva nello stare nudo di fronte ad una donna dalla passione per la scoperta.
    Come si soleva dire: il povero Hariken Akimichi si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato... e con la persona sbagliatissima.
     
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