L'accompagnatrice senza volto

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    WORSE

    The only thing worse than being blind is having sight but no vision.




    Quel ragazzino era la cosa più graziosa che Marukogeshi, l'accompagnatrice della Casa di Piacere “Il ventaglio d'oro”, avesse mai visto. Era così smaccatamente invaghito di Chi... che rimase quasi male per lui quando questa fece una smorfia stizzita e lo allontanò con un gesto secco della mano.
    “Eeeeeh?” Disse infatti l'apprendista, offesa. “Non sono io che devo seguire te, ma tu che devi seguire me. Vai pure via, Tanuki-baka!” Aggiunse prima di voltarsi e andarsene, piantando lì il ragazzino come un allocco.
    Prevedibile. Chi era una mocciosa infantile, sciocca e presuntuosa, troppo confidente nella sua bellezza e decisamente poco empatica. Non aveva un futuro come accompagnatrice, al massimo come puttana di strada. Era incredibile che Okaa-sama l'avesse presa nella loro Casa, sperando di cambiarla... succedeva spesso che orfane abbandonate venissero prese da ogni angolo del Fuoco e cresciute ad Otafuku, protette dalla Legge, ma Marukogeshi non aveva mai creduto che con Chi sarebbe stato possibile il miracolo che la loro Padrona aveva invece compiuto con lei stessa. Era solo una randagia di pochi anni, priva di ricordi sul suo passato e la sua provenienza quando fu condotta al Quartiere, e a dispetto di quello che molti avrebbero potuto pensare sapendola accompagnatrice, Kabuchou era stata per lei la salvezza ad una vita di scelleratezze ben peggiori.
    Sospirò, scuotendo la testa. Alzò poi una mano e provò a posarla sulla testa del novellino.
    «Come ti chiami, ragazzo?» Chiese la donna, accennando ad un sorriso. A guardarla bene non poteva avere più di venticinque anni. «Io sono Marukogeshi, una delle Onee-sama che servirai come garzone.» Disse, abbassandosi e mettendo in mano all'interlocutore l'alzata di legno laccato. «Questo scomparto è pesante come il peccato, ma sono certa che tu non avrai problemi. Sii così gentile da aiutarmi.» Disse, aprendo la porta d'ingresso della Casa di Piacere e uscendo in strada. «Rammenta che non si disubbidisce mai ad una Onee-sama, quindi seguimi. E sbrigati.» Aggiunse, voltandosi per assicurarsi che il ragazzo la seguisse. Scostandosi poi una ciocca di capelli rossi dal collo e buttandosi il cappuccio del mantello sulla testa, puntualizzò: «Hai il grande piacere di servire la Legge già dal tuo primo giorno. Non è da tutti.»
    E non lo era davvero.


    «Certo che non sei una donna.»
    Shizuka Kobayashi sorrise, ironica, guardando in faccia il ragazzo e allungando una mano per bloccare quella di lui, che era stata sin troppo incautamente condotta alla cintura delle armi.
    Era una donna bella, anche se in modo particolare, nobile e fiero come le fiabe del passato, ma i suoi occhi affilati parlavano per lei su un'intelligenza maliziosa e molesta. Troppo curiosa e affamata per essere definita tollerabile. E tollerante.
    «Yato Senju?» La Chunin non impedì al ragazzo di alzarsi e non si preoccupò di lasciare lui le armi in suo possesso. Ascoltò con calma tutto quello che aveva da dire, infine annuì. «Conosco la tua Dinastia e il tuo Capoclan, ma non ho mai visto te.» Disse con onestà, alzandosi a sua volta. Benché avesse chiaramente almeno cinque o sei anni più di lui, non era tristemente la più alta tra i due. «Dunque, uno studente, mh?» Domandò poi, sorridendo. A quel punto però alzò una mano e portò l'indice della stessa alla base del coprifronte del ragazzo, che sollevò leggermente. «Perché hai questo, allora? Si ottiene solo dal grado Genin.» Osservò, gentile. «Se tuo padre ha piacere di portarti al Quartiere Rosso in piena notte, è una faccenda tra voi due e la morale del vostro sangue... ma ricorda che è buona prassi dissimulare l'interesse per qualcosa al fine di ottenerla. Buttarsi a capofitto in un'incognita più grande del “se” accettabile, investendo il doppio di quanto è dato, è un errore da dilettanti.» Fece presente, alzando il mento in direzione di Jun che si avvicinò a grandi falcate. Senza bisogno di un altro ordine, cercò di agguantare il ragazzino per un braccio con la mano sinistra, e per il collo, con la destra. Qualora ci fosse riuscito, la presa che avrebbe esercitato sarebbe stata molto più brutale della precedente. «La prossima volta che cercherai di infiltrarti da qualche parte, credo per ottenere informazioni per pura curiosità o gli Dei sanno solo cos'altro, sappi che c'è gente che pratica quest'arte da molto più tempo di te. E ora non ho proprio voglia di spiegarti quante volte hai già sbagliato da quando sei finito qui dentro. La curiosità di un bimbo è pregevole fintanto che non è irruenta, a quel punto, però, diventa molesta.» Disse la ragazza, computa. «Jun, accompagna il pulcino fuori dal Quartiere. Sii così cortese da metterlo nelle mani del Bieco. Sono certa che avrà di che essere accompagnato a Konoha.» A quel punto si voltò e parve farsi quasi offesa. «Quell'idiota di Raizen me l'ha giocata grossa, stavolta. Appena avrò finito qui gli spaccherò il muso in due, figlio di un cane.» Borbottò tra sé, mettendosi a braccia conserte.
    […] C'erano poche persone a Konohagakure no Sato, e forse persino in tutto il Fuoco, che avrebbero potuto parlare dell'Hokage in quel modo, e queste erano lo spirito della di lui defunta madre e Shizuka stessa. Rimaneva il fatto però che nessuno avrebbe probabilmente avuto il tempo di riflettere su quella faccenda, giacché d'improvviso qualcuno bussò alla porta.
    «Sono Marukogeshi dal Ventaglio d'oro, miei Signori.» Disse una voce dietro il pannello di riso scorrevole. «Vengo per portare la cena.» Aggiunse, rimanendo poi in attesa.
    «Per ora lascia stare, bambina.» Intervenne a quel punto la donna ancora comodamente seduta a terra. Era di una bellezza sconvolgente, molto più di qualsiasi Sovrana o nobile aristocratica mai veduta, ma il suo sguardo era acuto e tagliente, in quel momento poco favorevole a stimolare l'immaginazione. Fissava Yato e Jun come si poteva guardare due animali in un circo, in modo poco paziente e assolutamente compassionevole.
    «Izumi-sama ha ragione.» Gli fece eco l'uomo che le sedeva accanto, un trentacinquenne con lunghi capelli scuri raccolti in una coda sulla nuca e il volto affascinante di chi ha reso la tentazione la sua arma principale. «Ci occuperemo di questo problema in un secondo momento. E' importante che non trapeli agitazione da nessuno di noi. Le nostre Figlie sono già abbastanza ansiose.» Osservò, dando poi il permesso alla nuova arrivata di entrare nella Sala priva di finestre.
    L'accompagnatrice che entrò aveva splendidi capelli rosso fuoco, un mantello di tessuto pesante sulle spalle, e... un bambino tondo al fianco.
    «Porto con me il nuovo garzone della mia Casa. Sarà lui a servirvi la cena, miei Signori.» Disse la donna, inchinandosi profondamente. Esitò un secondo sulla figura di Jun e Yato, guardando poi le Stelle Maggiori con fare confuso. «Sono mortificata, temo di aver capito male il numero dei commensali. Rimedierò subito, miei Signori.» Gemette la donna, ma Jun la fermò con un'occhiata storta e grattandosi l'addome in modo piuttosto grezzo la tranquillizzò affermando che lui e la sua amica stavano giusto andando via. «Amica...?» Ripeté Marukogeshi. Fissò per un secondo Yato, aggrottò la fronte, poi parve farsi una ragione di quanto aveva visto e nel modo più normale del mondo lasciò semplicemente stare. Era evidente che a Kabuchou ci fossero cose più strane di un adolescente che si fingeva femmina. O qualcosa del genere. «...Hora, fai come ti ho detto: presentati, inchinati, inginocchiati e apri la scatola. Disponi i ripiani sul pavimento sopra le stole di seta e poi corri veloce come il vento a prendere sakè e distillato di ciliegio. Hai capito?» Sussurrò a quel punto, tirando una pacca sulla schiena al ragazzo paffuto che si era trascinato (letteralmente e non senza fatica) dietro.
    Dall'altra parte di quella scena Shizuka, che non aveva mai visto un garzone così somigliante ad un mochi in tutta la sua permanenza a Kabuchou, aggrottò la fronte. Era possibile che il poveretto non fosse proprio il più adatto a quel mestiere, ma non era un po' troppo fuori luogo? Come il natto sopra il miso, per dirne una. Cioè, non è che le rimandasse proprio l'idea di sapere perché si trovasse lì.
    «Grazie.» Si limitò però a dire, accennando ad un inchino per nascondere la perplessità. Non spettava del resto a lei intervenire su quel genere di cose.

    Ma spettava a lei intervenire sul resto.
    E quel resto accadde prima ancora che la cena potesse essere servita.

    «NE ABBIAMO UN ALTRO! QUESTO HA QUALCOSA DI PEGGIO!» Urlò improvvisamente qualcuno in un corridoio poco lontano. Una porta sbatté con violenza e dei passi concitati cominciarono a correre avanti e indietro. Shizuka ebbe appena il tempo di alzarsi in piedi e afferrare la lunga nodachi posata a terra che qualcosa esplose con un tonfo sordo. In un istante, la voce di un uomo eruppe con violenza in grida senza contegno e furono necessari solo pochi secondi perché molte altre voci si unissero a quelle urla terrorizzate.
    «Maledetti gli Dei!» Bestemmiò la Chunin mentre Jun abbandonava Yato al centro della stanza per scattare velocemente verso le due Stelle Maggiori, di fronte alle quali si protese, per schermarle. Marukogeshi, invece, era in ginocchio a terra accanto al suo garzone, che aveva tentato istintivamente di gettare al suolo assieme a lei in un istintivo gesto di protezione. Tremava come una foglia.
    «Jun porta via da qui le Maggiori.» Ordinò Shizuka, girandosi verso il guardiano che stava già aprendo una porta nel muro privo di finestre alle sue spalle dando qualche colpo di nocca ben assestato lungo un bordo immaginario. «Marukogeshi, o come ti chiami, prendi i due bambini e fila via dal retro. Rimani nella tua Casa e non uscirne più!» Non era al sicuro nemmeno lì –pensò la Chunin, contrita– nessuno lo era più come un tempo, lì a Kabuchou, ma sicuramente avrebbe rischiato meno al riparo di un edificio che non in mezzo di strada. L'occhio della Legge era divenuto cieco e arrivati a quel punto, in un posto senza Dei né regole come il Quartiere Rosso del Fuoco, poteva accadere davvero di tutto. «Questo è il motivo per cui ti ho detto di andartene.» Ringhiò a quel punto Shizuka, rivolgendosi a Yato. I suoi occhi verdi tremarono di qualcosa che sembrava rabbia, ma che, se interpretata meglio, era senza dubbio qualcos'altro. Quel moccioso era probabilmente il classico scemo tutto eccitato in vista della sua futura carriera da ninja, che per sfortuna era capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato e doveva aver ben pensato di poter fare il grande cogliendo la situazione al balzo. Lei, però, che aveva perso quell'emozione da novellina diversi anni prima, non aveva più voglia di sentirsi studenti sulla coscienza. Almeno per quella missione. «Segui questa donna fino a fuori, trova tuo padre e tornate entrambi a Konoha entro l'ora della Serpe. Rischi la vita, rimanendo qui, lo riesci a capire?» Aggiunse poi, quasi in una supplica, a quel punto però uscì dalla stanza di corsa, lasciando alle sue spalle Marukogeshi che, cercando di afferrare il giovane Akimichi per un braccio, avrebbe urlato disperata frasi come: "Dobbiamo andarcene! Siamo civili! Saremo solo tra i piedi! Scappiamo!" seguite da una serie abbastanza consistente e preoccupante di strilli disperati.
    Più o meno li stessi che avrebbe voluto lanciare Shizuka quando arrivò nel corridoio da cui le urla provenivano. Ebbe infatti appena il coraggio di guardare cosa stesse succedendo prima di dover reprimere un conato di vomito.
    A poca distanza da lei, inginocchiato a terra, c'era infatti un uomo che strillava disperato tenendo sollevate le braccia tremanti... a cui però mancavano le mani. Di quelle rimanevano solo mozziconi di carne dilaniata da cui schizzavano zampilli di sangue come nella peggiore delle storie dell'orrore. Come se non bastasse vi era anche un altro uomo a poca distanza dal primo, il quale giaceva su una barella di tessuto molto arraffazzonata e sembrava quasi morto... o almeno era quello che chiunque avrebbe pensato guardandolo: dalla sua bocca, quasi del tutto distrutta come se qualcuno l'avesse fatta esplodere dall'interno, stavano infatti sgorgando strisce di kanji neri come la notte che serpeggiando giù lungo il viso, il mento e il collo, si stavano diramando in tutto il corpo. Sembrava una serpe che stava avviluppando la propria vittima prima di divorarla.
    «TENMA CI HA MALEDETTI TUTTI!!!» Strillò una delle accompagnatrici lì presenti, piangendo e cercando di scappare. Inciampò sui lembi del suo stesso kimono esagerato e cadde a terra, iniziando allora a gattonare sulle braccia il più lontano possibile da lì, venendo ben presto emulata da tutti gli altri, che dopo un attimo di stasi vibrante, lasciarono cadere a terra la barella con l'uomo morto e scapparono, incuranti persino del loro stesso compagno, il quale dopo un'iniziale disperazione e un goffo tentativo di rialzarsi, vomitò e poi cadde a terra, svenuto nella pozza di sangue e rigurgiti. Solo a quel punto fu il silenzio.
    «Passerò il resto della mia vita a cercare di togliermi questa immagine di testa.» Gemette Shizuka reprimendo l'istinto di vomitare a sua volta.
    Si avvicinò con la maggior circospezione possibile ai due uomini rimasti, afferrando quello senza mani, che trascinò dietro l'angolo del corridoio da cui era arrivata per offrire lui le prime cure. Era evidente che per l'altro, in ogni caso, non ci fosse più da fare. E del resto se doveva scegliere a chi avvicinarsi per primo, preferiva il monco che quello che vomitava sutra maledetti, con tutta la buona volontà, ovviamente...
    Quando ebbe finito di medicare e fasciare il povero disgraziato, la ragazza lo adagiò a terra con dolcezza. Lo avrebbe trasportato via in un secondo momento, adesso c'era altro che doveva fare, e quando svoltò di nuovo l'angolo, fu chiaro a cosa si riferisse.
    Le stringhe di kanji avevano finito di uscire da dentro il corpo dell'uomo senza nome dopo che lo avevano avvolto completamente dalla testa ai piedi in spirali nere e fitte. Non fu facile per Shizuka comprendere che quelle strisce di ideogrammi non erano condanne di demoni, ma Fuuinjutsu... o di qualcosa di molto simile, almeno. In effetti non riconosceva che la metà dell'alfabetizzazione usata. Sembrava vecchia di centinaia di anni.
    Si avvicinò con cautela, incapace di sapere cosa avrebbe potuto capitare, e solo quando fece pace con stessa all'idea che niente avrebbe potuto andare PEGGIO rispetto a quanto stava già andando, si inginocchiò accanto al cadavere –i cui vestiti ricercati non lasciavano dubbi sul grado sociale che potesse occupare, solo l'obi di quel kimono maschile, dopotutto, poteva benissimo costare quanto l'intero stipendio di un qualsiasi Genin.
    Aprendo la bocca del corpo senza vita, la dottoressa controllò e notò che la lingua di lui era letteralmente esplosa, il che aveva reso i denti tanti piccoli proiettili che, con l'urto, avevano reso tutto l'interno del palato e della testa una poltiglia informe molto simile alla carne macinata, causando una morte che sarebbe comunque probabilmente sopraggiunta in un secondo momento a causa delle stringature di Fuuinjutsu. Non ci voleva un genio per capire, dopotutto, che chiunque le avesse imposte, in qualsiasi modo ci fosse riuscito, non lo avesse fatto per decorazione estetica.
    Sospirando, la ragazza si portò una mano alla fronte: non capiva assolutamente cosa stava succedendo.
    Era colpa di quelli a cui doveva la caccia? Ma se erano loro, perché lo avevano ucciso? Non era mai capitato, prima di quel momento. E quelle stringature incomprensibili, poi? Perché quell'altro poveraccio si era visto saltare in aria le mani? Precisamente, cosa maledizione stava capitando?
    Stordita da quella sequenza di domande senza risposta e da un quadro generale che non capiva, in una situazione che avanzava troppo velocemente e sembrava non volerle dare il tempo di fare qualcosa di utile, Shizuka fece per alzarsi, pronta a trasportare il cadavere in un luogo dove avrebbe potuto analizzarlo e dove sarebbe stata anche in grado di interrogare l'altro uomo, quando improvvisamente esitò. Di punto in bianco, e non senza un brivido gelido lungo la schiena... si accorse che i kanji, letti all'incontrario rispetto alla loro tracciatura, delineavano frasi comprensibili.

    “Liberati quando il tempo dell'attesa ebbe inizio.”

    “Non vi è alleato se non l'oblio.”


    "Seguono l'ultima parola e l'ultima del creato."


    “E' volere che non siano ritrovate.”

    “E pertanto fino alla fine verranno protette.”


    “I sette guardiani siederanno all'entrata.”



    Non ebbe neanche il tempo di finire di leggere che qualcosa, fuori dal covo, in lontananza nelle strade del Quartiere, esplose con violenza tale da scuotere il terreno.


    «Sei un ninja, ho capito bene?»
    Izumi, la Padrona della “Peonia Bianca” guardò Yato mentre Jun la supplicava di sbrigarsi, tirandola per la lunga manica del suo splendido kimono mentre in lontananza si issavano verso il cielo fiamme di fuoco e bagliori di esplosioni. Sembrava che Kabuchou fosse stata gettata di punto in bianco sotto una pioggia di attacchi, ma lei, come se si trovasse in una realtà diversa, non appariva di curarsene.
    «Lei non chiamerà soccorso. Proteggerà Otafuku a costo di perdere un pezzo dopo l'altro del suo corpo, perché questa è la missione che il suo Hokage le ha dato.» Disse la donna, guardando il ragazzo negli occhi. «Và da lei. Sei l'unico ninja che posso pregare di aiutarla...ti prego, non abbandonarla.»
    Mentre veniva portata via, la donna chiuse gli occhi. Non si girò neanche una volta a vedere se Yato avrebbe o meno fatto quello che lei sperava.
    Qualora le sue preghiere fossero state ascoltate, Izumi seppe però subito che Shizuka non le avrebbe perdonato quel gesto. Quella sciocca stava cercando così smaccatamente di proteggere quel bambino, pur senza conoscerlo... tipico del suo carattere, stolta devota solo alla sua legge e al suo cuore; ma a lei non interessava. Aveva cresciuto quella testarda mocciosa da quando aveva solo diciassette anni, non avrebbe permesso che qualcosa di incomprensibile le nuocesse. Avrebbe indetto una guerra contro lo stesso Hokage e l'avrebbe strappata lui se avesse saputo che Konoha non la trattava come meritava... quel moccioso non poteva aiutarla, era chiaro, ma almeno avrebbe potuto essere lo scudo di carne che a lei serviva. Se fosse morto per la vita di lei, avrebbe già adempiuto alle sue aspettative.
    «Una madre è sempre una madre.» Disse sotto voce l'uomo che correva al fianco di Izumi, seguendo Jun che faceva loro strada dai sobborghi segreti di Otafuku. Sorrideva comprensivo, come se giustificasse quel tranello ordito sulle spalle dello studente al pari di qualcosa che lui stesso avrebbe fatto.
    Socchiudendo gli occhi, la donna sorrise, scuotendo dolcemente la testa.

    Era proprio vero...
    una Okaa-sama era sempre una Okaa-sama.
    E una di Kabuchou era pronta a tutto pur di proteggere le sue Figlie. E la sua Casa.
     
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