La Principessa e la Volpe

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  1. Arashi Hime
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    EVALUATION

    True genius resides in the capacity for evaluation of uncertain, hazardous, and conflicting information.




    L'ufficio dell'Hokage era una grande stanza semicircolare ricca di vetrate che affacciavano sull'intero villaggio e da cui, in quel momento, i raggi della luna filtravano con accecante brillantezza argentea.
    Ferma sull'uscio di quel luogo, in cui era entrata solo una volta come Principessa dell'Airone e che da quel momento non aveva più visto, Shizuka Kobayashi rimase un attimo immobile. Aveva immaginato che si sarebbe sentita a disagio una volta lì, con Raizen seduto su quella grande poltrona imbottita e lei dalla parte opposta di quella scrivania dalla superficie smussata, e non si era sbagliata. Esattamente come quando quella mattina si era presentata all'ospedale di Konoha e aveva fronteggiato tutto il corpo medico e infermieristico che da quel momento in poi avrebbe guidato, e si era sentita “strana” nel doversi presentare nuovamente, dopo tanti mesi che lavorava lì dentro con camici sgualciti addosso e turni destabilizzanti; anche in quel momento ebbe la netta sensazione che gli eventi fossero andati troppo velocemente e che lei, d'improvviso, si trovasse in una circostanza di cui aveva perso qualche battuta. Per quanto si impegnasse, dopotutto, Raizen rimaneva per lei solo la sua Volpe, ed era più che sicura che anche agli occhi di lui, lei non rimanesse niente più che la sua sciocca piccola Principessa.
    Sospirò, grattandosi la testa.
    «Credevi che farti un giro panoramico della mia mente fosse un piacevole passatempo?» Domandò infine, avanzando verso la scrivania dietro la quale Raizen si era placidamente accomodato. Chiuse alle sue spalle la porta, assicurandosi che fuori non sostasse nessuno. Non era paranoia, la sua, ma puntualità mentale: era passato troppo poco tempo dall'instaurazione del Colosso come Hokage e non tutti, ancora, sembravano accettare o comprendere la situazione. Si chiese se, in un certo senso, assicurarsi di “pulire” ciò su cui Raizen avrebbe da quel momento in poi camminato, non fosse un suo dovere. Giacché era da lui che Konoha sarebbe dipesa. E lei stessa dipendeva da Konoha. «Le sensazioni che hai avvertito sono ciò che trasformo nell'incubo di chi non si sveglia più. E' raro che attinga da esperienze che non ho vissuto. Del resto noi creatori, anche nell'illusione, dobbiamo sempre avere un filo che ci collega alla realtà.» Continuò la kunoichi, avvicinandosi al tavolo di legno massello, di fronte al quale sostò senza sedersi. «La potenza del sangue è forte, Raizen, e in me lo è in modo particolare. Sono nata Kobayashi e nessuno mi ha mai insegnato a gestire una Kekkei Genkai, tu non eri preparato a farlo e gli Uchiha non si sono assunti questo onere: il mio caso è leggermente diverso dal “decidere di essere così”. Io sono diventata in questo modo perché chi doveva impedirlo non mi ha insegnato a gestire chi sono.» Osservò educatamente, reclinando leggermente la testa di lato. La luce della luna illuminava il suo corpo formoso, fermandosi all'altezza della gola. Nonostante il volto di lei fosse ingoiato dall'oscurità della stanza, però, non sarebbe stato difficile per il Jonin immaginare la sua interlocutrice sorridere. «Beh è una circostanza che Norio Uchiha mi ha insegnato ad addomesticare in pieno stile Clan del Ventaglio: o imparavo a domare il mio sharingan, oppure mi avrebbe ammazzata. Dopo l'attacco di Karasu il mio equilibrio interiore non era dei migliori, e capirai che lasciare una bastarda Uchiha mezza pazza in giro andava un po' troppo oltre la responsabilità che la Foglia poteva assumersi. Soprattutto dopo aver visto chi aveva compiuto l'attacco terroristico e sotto il nome di quale associazione terroristica. Un gruppo che, nonostante i fatti trascorsi, l'accademia insegue senza conoscerne i tratti, come si può cacciare un mostro di cui si conosce solo l'aspetto immaginario.» Ammise, allargando le braccia di fronte a sé per pois scuotere la testa. «...Ma non è questo il punto, giusto?» Domandò infine, avvicinandosi ulteriormente alla scrivania. Solo a quel punto, battendo una mano su una poltroncina scricchiolante, che esplose in una scarica di polvere, la Principessa di Konoha si sedette, accavallando le gambe e raccogliendo le mani in grembo. «E' una chiaccherata informale, mi pare di capire.» Asserì educatamente, sorridendo. Ora la sua intera persona era illuminata dalla luna, ma da quella posizione adesso era Raizen, seduto con le spalle rivolte alle lucide vetrate dell'ufficio, a risultare scuro ai suoi occhi. «Vuoi il mio parere su questo individuo?» Domandò, reclinando leggermente la testa di lato. «Si muove da solo e dubito che quella del mio incontro sia stata un'eccezione. Assolutamente privo di qualsiasi tipo di empatia verso il prossimo, e dunque non incline a far parte di gruppi coesi, non denota nessun tipo di stima dei pericoli, della circostanza o delle capacità altrui, tendendo a sopravvalutare se stesso e a sottovalutare gli altri. Si muove dell'istinto della bestia fuori controllo, gode a nuocere agli altri come se questo lo sfamasse dopo un lungo digiuno e la cecità che questa condizione gli infligge lo porta, come ho detto, a non valutare correttamente chi ha di fronte. E' ciò che è successo con me, insomma.» Iniziò a dire, chiudendo gli occhi. «Ciò che mi ha mostrato ritengo sia un'abilità innata unica nel suo genere. Non ci sono tracce di tecniche speciali simili negli archivi accademici e nemmeno in quelli di Konoha. Nessuno degli albi storici a cui ho accesso dimostrano tracce di niente che si avvicini vagamente a qualcosa del genere. Purtroppo non ho avuto a che fare con lui abbastanza tempo per effettuare una stima approfondita delle sue capacità, non mi piace fare illazioni e perciò preferisco tacere, ma ritengo che la sua sia un'abilità personale che funziona, come posso dire... entro una certa distanza?» Alzando lo sguardo al soffitto, Shizuka parve esitare. «E' come se sia in grado di infliggere un certo tipo di condizioni all'avversario, ma tutto entro un determinato raggio, al di fuori del quale gli effetti inflitti si riducono notevolmente, come hai visto dai miei ricordi. E' veloce, molto forte, ma temo che risenta delle manipolazioni mentali come i Genjutsu, anche se onestamente non posso esserne certa perché me la sono allegramente data a gambe senza rimanere lì per constatare.» Disse, grattandosi la testa e abbozzando un sorriso. Nulla di cui stupirsi: la sua missione era un'altra, quello era solo uno stuzzicante e (sperava) ben pagato surplus. «La parte di cui sono certa è che il modo in cui si è mosso, dando fuoco a villaggi, uccidendo persone innocenti, sterminando i membri di un culto religioso unico nel suo genere, e infine usando il sangue delle vittime per lasciare messaggi in modo così smaccatamente teatrale... e di pessimo gusto, se posso aggiungere.» Commentò gravemente, annuendo seria. «Denotano una personalità priva di raziocinio, protesa solo al desiderio di infliggere dolore per puro scopo ludico. Quando ho provato a parlare con lui, offrendogli un'alleanza che avrebbe potuto giovargli in quella circostanza, non si è dimostrato interessato ad ascoltare. Era tutto preso dalla voglia di ammazzarmi come se fosse la cosa più importante, nonostante si trovasse in una landa senza copertura, con un falò di innocenti alto chilometri, serrato entro un Paese dai confini chiusi e con potenziali "nemici" in arrivo. Come capirai una persona che agisce così è alla stregua di un animale.» Ammise, scuotendo la testa. «Non posso sapere perché cerca “Hayate”, ma valutando il soggetto posso stimare due possibilità, che purtroppo per noi sono l'una l'opposto dell'altra: per distruggere o per usarli. In entrambi i casi per noi sarà una bella noia risolvere il fatto.» Sentenziò stancamente. Sembrava già stufa della possibilità, benché effettivamente si muovesse di presupposti. «Sempre se vogliamo risolverlo, ovviamente. Dopotutto con quanto ho in mano, in una scala di pericolo di dieci tacche lo collocherei ad un livello quattro. La sua innata è unica: stupidamente mostrandola in giro il nostro amico risulta essere un cero nella notte e vedendo la personalità dubito che si asterrà dal fare il fighetto quando possibile; agendo inoltre senza nessun tipo di accortezza circa il suo operato, ci basterà tendere le orecchie per sentirlo muoversi. Se anche avesse alleati, cosa di cui dubito, non ritengo che si muovano secondo lo stesso binario di interesse. Per concludere, conoscendo i lineamenti del suo volto, mi basterà fare qualche rapida indagine per saperne anche di più. Certo, sopravvalutare è sempre meglio che sottovalutare, prevenire è meglio che curare, eccetera eccetera eccetera... ma devo essere onesta?» Disse infine, concludendo. «Dubito che sia niente di più che un pazzo. Ma non ignorare la faccenda, non voglio che il puzzo di marcio arrivi fino a Konoha.» Asserì, scuotendo la testa.
    A quel punto, però, rimase un attimo in silenzio. Raccogliendo le gambe sulla sedia, tentò di appoggiare il mento sulle ginocchia, ma il seno troppo prorompente glielo impedì e lei, per evitare che il problema fosse evidente, si mosse sulla sedia in una serie inconcludente di giretti, alla fine mettendo le gambe di lato su un bracciolo e la schiena appoggiata a quello opposto. Solo a quel punto annuì.
    «In ogni caso me la sono vista brutta.» Disse a quel punto, socchiudendo gli occhi e grattandosi la testa nel mostrare i denti in un sorriso sguaiato. «Manca poco che ci rimanevo secca!» Ammise, scoppiando a ridere fragorosamente. Il tono di voce alto sembrava ora mascherare la tensione della voce, improvvisamente nervosa... nonostante tutto, quando lentamente quell'espressione fuori luogo scemò nel silenzio, la kunoichi non esitò a riprendere a parlare. Sospirando sonoramente per poi alzare gli occhi al soffitto, scosse la testa: era inutile mentire, aveva offerto i suoi pensieri a Raizen, e lui l'aveva già avvertita... quella paura schiacciante di non riuscire a correre abbastanza veloce per tornare a casa. «Mi chiedi se ho capito la mancanza alla mia preparazione. Le mie difficoltà nel gestire quel signorino fuori di testa si sono basate principalmente sul fatto che lui era, obiettivamente, più veloce e forte di me... e sul fatto, inoltre, che il mio corpo a corpo non è mai stato potenziato come, ho capito solo in quel momento, è necessario.» Borbottò, mettendosi a braccia conserte. «Se non fossi stata una maestra di Genjutsu non avrei avuto possibilità. La mia fortuna è stata il poter giocare sulle illusioni, ma se mi fossi dovuta confrontare con lui a mani nude sarei morta.» Stimò con molta sincerità, per poi aprire i palmi delle mani e stringere le rispettive ginocchia, iniziando a dondolare le gambe come una bambina. Peccato che, al confronto di una bambina, lei ci stava a malapena raggomitolata su quella poltrona vecchia quanto sua nonna. «In merito a questo sto già prendendo provvedimenti, tranquillo. C'è una tecnica che vorrei imparare, sai... far esplodere le cose con i pugni. Roba interessante. Mia madre è una forza in queste cose, ma non può allenarmi, sai, il divieto che il Capoclan degli Uchiha... beh, sappiamo tutti la storia.» Tagliò corto. Al contrario di molti anni prima, in cui non si sarebbe risparmiata di calcare la mano su quella circostanza, adesso sembrava realmente poco intenzionata a parlarne. «Credo che la mia preparazione sia carente nell'essere, come posso dire, una pedina da combattimento abbrutito. Da infiltrata combattere equivale a fallire la missione, da supporter il mio stare in prima linea non è contemplato... ma se sono costretta dalla situazione devo poter essere all'altezza. E dubito che di fronte ad avversario possa mettermi a spiegare i perché i come non sono capace di parare un pugno o tirare un calcio.» Ammise, accennando ad un sorriso. «Vedrò di acquisire la tua capacità di combattimento, tanti ceffoni e poche moine, e di sfruttarla quando è necessario. Anche se fino ad ora non ho mai avuto stima del combattimento nudo e crudo, sono costretta a rivalutarlo. Se un giorno dovessi essere accecata e mi trovassi contro qualcuno come il nostro amico incappucciato, cosa penso di fare? Pregare le divinità del Fuoco di accogliermi nell'alto dei cieli?» E rimettendosi seduta compostamente, accennò per un secondo ad un ghigno. «Come se fosse possibile, ormai...» Le uscì di bocca in un sussurro a malapena udibile, prima di distendersi per metà busto sulla scrivania di Raizen, fissandolo negli occhi tutta allegra. «Dimmi che sono stata brava, dai.» Ordinò a quel punto, muovendo il sedere come se stesse scodinzolando.
    Forse, a quel punto, si poteva dire che lo fosse stata davvero.



    Edited by Arashi Hime - 6/7/2015, 16:14
     
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