Giusto prima di partire

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  1. -Hidan
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    Giusto prima di partire

    Moneta


    Una singola lacrima scese dagli occhi di Meika, andandosi a posare delicatamente sulla sua guancia, giusto il tempo per permettermi di vederla poi farla sparire con un rapido gesto delle mani.
    Non ci fu opposizione, non sapevo se per le mie grandi doti di convincitore o per la paura dell'ignoto verso quella missione che si era data da sola. Taki non era un bel posto in cui andare, soprattutto da quella missione fallita dell'Accademia qualche anno prima che non aveva fatto altro che inasprire ancor più i contatti tra le parti. Finché si trattava di esplorare il confine, come avevo fatto io solo qualche settimana prima, la cosa poteva pure andare bene, soprattutto perché il paese non era ancora dotato di una tale organizzazione politico-militare tale da rendere i suoi confini sicuri, ma addentrarsi verso un luogo ignoto in quel territorio... Beh, era tutt'altra cosa. Sicuramente non era il posto per una genin. Probabilmente neanche per due, ma quantomeno non poteva essere peggio. Sorrisi nel vedere l'Akuma con gli occhi ancora inumiditi. « Non devi ringraziarmi... » Quindi gli diedi un piccolo buffetto sulla guancia, quella che era stata toccata dalla lacrima. « Come dici te, ero in debito ancora per l'acqua, e guai che tu mi possa rinfacciare qualcosa un giorno! » Sospirai, guardando verso il Villaggio. « Beh, certo, troppo cara mi è costata quell'acqua... Forse era meglio che mi fossi disidratato nel deserto, ma la frittata è fatta! » Meika, quindi, si congedò. « Sì, a tra due giorni. Ti ricordo di non dire niente a nessuno, organizzo io la mia scomparsa, va bene? » Rabbrividii un attimo, al solo pensare di quello che mi sarei dovuto sentirmi dire al ritorno, se mai ci fosse stato un ritorno. « Sù, a casa! Riposati! Io farò altrettanto! Tanto qui non succede mai nulla! » Risposi al saluto di Meika con un cenno della testa, quindi proseguii nuovamente verso ovest per concludere la ronda sulla cinta di mura.
    Presto avrei rimpianto quella tranquillità.

    [...]

    Era ormai giunta sera, e avendo terminato il turno sulle mura stavo tornando a casa.
    Aprii la porta e la trovai come sempre: vuota. C'avevo fatto il callo ormai: nessuna cena calda, nessuna parola di conforto, nessuno che mi aspettasse. Eccezion fatta per qualche cena in compagnia degli orfanelli che andavo a trovare di tanto in tanto e Ryo che passava da me qualche sera a settimana, più per assillarmi con le sessioni di allenamenti che per altro. Mi voleva bene e me lo faceva sentire, a suo modo, ma non avevo niente da rimproverargli. In quei giorni avevo praticamente saltato ogni sessione di allenamento che avevamo programmato visto l'imprevisto ruolo che mie era stato affidato e la ristrutturazione delle mura che, tra lavori e turni di guardia, mi lasciavano ben poco tempo libero.
    Ormai erano due settimane che avevo smesso di allenarmi sulla tecnica del mio clan. Tutto si era rivelato ben più difficile del previsto, e non solo perché non avevo solo sangue Hozuki nelle mie vene. La Tecnica dell'Idratazione non era come la maggior parte delle altre tecniche del clan: questa, una volta appresa, influenzava il nostro corpo in maniera duratura e continua, e ciò significava una gran spesa di energia e tempo per apprenderla e consolidarne l'utilizzo. Ryo mi aveva illustrato la teoria della tecnica, tramandata di era in era dal clan, fin dal Secondo Mizukage, probabilmente l'Hozuki più importante e potente dalla creazione stessa del Villaggio della Nebbia. Ma la teoria era una cosa, la pratica era un'altra.
    I primi addestramenti erano terminati solo con un gran numero di ferire da taglio e percussione, con ben poche note positive. Ryo diceva che era normale: servivano settimane di allenamento, mesi per i meno dotati, ma al termine, quando avrei fatto mia quella tecnica, non mi avrebbe più abbandonato.
    « Tu sei uno spadaccino Akira, o meglio dovresti diventarlo. La strada è ancora lunga e l'arte del clan di tua madre ancora non ti appartiene, ma prova a pensare a cosa potresti fare unendo le abilità di spadaccini degli Aogawa con i nostri geni, Akira. Vuoi essere un combattente, vero? » Risposi senza esitazione. « Sì... Il migliore. » Era da tempo che stavo pensando a quella cosa. Un intero clan ormai aveva come unica speranza me, e in me viveva tutta la loro ambizione. Non potevo averne meno di loro, e ciò significava essere il migliore nell'arte della spada. Diventare il migliore, o quantomeno provarci. Ryo sorrise. « Bene! Finalmente un pò di palle oltre al tuo solito e irritante fancazzismo! Uno spadaccino che non ha paura di essere colpito, cosa ne pensi? »
    Quel dialogo mi ronzava in testa da giorni, e non mi abbandonò per tutta la notte, facendomi dormire solo poche ore.

    La mattina successiva, con mia sorpresa, ritrovai Meika dietro di me. « Già qui? Avevo detto domani! Ma capisco che tu non possa resistere tanto tempo senza di me... » Scherzai, e per fortuna la ragazza era venuta accompagnata. Dietro la schiena nascondeva un dolcetto ripieno di cioccolato. « Oh, fantastico! La prima buona notizia della giornata! Non ti preoccupare di codici e regolamenti, comando io qui! » Almeno finché non mi avesse visto Itai. Presi un dolcetto e mi sedetti sulle mura, con le gambe sospese nel vuoto in direzione del mare. Battei il palmo della mano sul mattonato accanto a me, invitando Meika a sedersi. « Grazie mille, sembra squisito. E anche ipercalorico. Attenta che ti viene la cellulite. » Dissi, sorridendo, con la segreta speranza che avrei convinto Meika a darmi anche il suo, quindi azzannai la frittella.
    Meika mi raccontò quindi cosa era successo il giorno primo, delle sue discendenze e parentele con i Terumi e del rotolo del clan Akuma. Diedi un altro morso al dolcetto. « Beh, posso dirti una cosa? Gli altri possono chiamarti Terumi, Kaguya o Tokugawa per quanto mi riguarda, ma tu per me sei Meika Akuma. L'importante non è il tuo nome o come ti chiamano, ma chi sei realmente tu. Chi senti di essere. Tu ti senti un'Akuma giusto? Devi pensare a questo, e appena sarai convinta di essere un Akuma, allora probabilmente potrai fare quel che vuoi fare. Finché tu non sai chi sei o chi vuoi essere, non puoi pretendere niente dai tuoi occhi, o dai tuoi geni che dir si voglia. » Sospirai un attimo. « Io sono un Hozuki, e sono anche un Aogawa. So chi sono, e accetto entrambi i lati del mio essere. Sono una moneta, e come ogni moneta ho due facce, e con queste convivo benissimo. Due facce, ma di un unico oggetto. Capisci ciò che sto dicendo? » Non sapevo se le mie parole avessero avuto qualche effetto per Meika, ma io ero arrivato a quella conclusione dopo tanto tempo passato a pensare sulle mie origini e alla mia famiglia, prematuramente scomparsa. Finii il dolcetto, quindi mi rialzai in piedi. « Non preoccuparti per me, ho detto che ti accompagnerò e non mi tirerò di certo indietro. Per quel che riguarda Itai, beh... Pensiamo ad una cosa alla volta. » Alzai le mane al sole, sgranchendomi. « Che sia la volta buona che anche io riesca ad utilizzare l'arte del mio clan! » Allungai la mano verso Meika, per aiutarla ad alzarsi. « Forza, vai da tuo padre, passa un pò di tempo con lui; ci vediamo qui domani mattina verso le 7. Prendiamo la prima nave verso la Terra del Fuoco. » Sorrisi, prima di salutarla.

    Prima di terminare il turno di quella giornata, avrei preparato una lettera indicando il perché della mia assenza. Le guardie le avrebbero potuta trovare nel piccolo gabbiotto interno in cui era conservato il registro dei turni di servizio. Itai non sarebbe stato contento. Affatto.
    Quella sera, però, dormii benissimo.

     
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