L'interrogatorio

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  1. Arashi Hime
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    CHESSBOARD

    All I want to do, ever, is play chess.



    Shorinku Yamanaka era il suo nuovo maestro.
    Dal giorno in cui si era ripresentata a lui, non molto tempo prima, facendo irruzione nei locali della Divisione Sigillatori di Konoha con un sorriso entusiasta e sottobraccio un registro di annotazioni Fuuinjutsu da far impallidire il migliore dei compagni del Jonin biondo, Shizuka aveva imparato moltissimo.
    Affamata e ingorda, la piccola Chunin aveva seguito l’uomo del Clan della Psiche ovunque, imparando senza sosta gli insegnamenti che lui le lasciava cadere di continuo, come briciole lasciate sul cammino di un passerotto implume.
    Il primo di questi, un po' scontato in verità, recitava quanto segue: “Guardati dai tuoi opponenti, ma ancor più dai tuoi alleati. Un amico può essere la peggiore delle sfide con cui scendere a patti.”

    Immaginò di dover applicare quel principio anche ad un traditore del suo Villaggio.

    «Sono una persona che apprezza la sincerità al primo incontro, ecco il perché del mio comportamento.»
    Shizuka Kobayashi sorrise con educazione, in quel modo splendido che contraddistingueva il suo carattere sfaccettato e incomprensibile. Attorno a lei, intanto, la psiche della sua opponente mutava rapidamente, e come un pennello adagiato su di una tela bagnata, allargava la macchia del suo colore in modo inaspettato, ricreando realtà, conoscenze, e probabilmente anche priorità.

    “Non stare a perdere tempo a capire quando esattamente ti ho trascinata qui nel mio Mondo Interiore...è bastato uno dei tanti contatti che hai avuto con me. Rischioso, rischioso, e dire che pensavo ti avessero informata.”



    Nessuno avrebbe potuto informarla, e questo perché nessuno poteva aspettarsi una facoltà come quella.
    Per quanto folle potesse essere, il primo pensiero della Principessa della Foglia –mentre i suoi occhi verdi ammiravano, senza preoccuparsi di nasconderlo, lo spettacolo di quella ricostruzione mentale di gran lunga superiore a qualsiasi altra da lei mai fatta– fu: “strepitoso”. E lo era davvero.
    Quella non era una semplice manipolazione. Non era niente di simile a quello che lo stesso Shorinku le aveva inflitto, capovolgendo il suo spirito un numero tale di volte da farla vomitare persino il sangue che la sua bocca ancora peccava di tenere per sé.
    Niente di simile. Già. Ed era strepitoso per quello.

    Come ogni creatrice che si rispettasse, Shizuka Kobayashi aveva un enorme rispetto per doti pari o superiori alle sue. E come ogni Ombra che si temesse, non esitava a pretendere di avere di più.

    «Il mio nome è Hannya, benché molto tempo fa anche io abbia avuto un diverso nome. Ma non è uso di chi Crea e Distrugge avere reminescenze del passato, dico bene?» Rispose la Principessa, sorridendo.
    Hannya, la maschera della Gelosia femminile sotto forma di Demone. Si diceva in grado di manipolare il prossimo e infiltrarsi nella mente altrui per bisbigliare la follia.
    Sembrava che, nonostante la situazione, la Chunin dell’Airone non avesse ancora perduto la sua innata capacità di ironizzare sui piatti del destino. Scostando educatamente la sedia frontale e opposta rispetto a quella della sua nuova compagna di giochi, anche lei sedette. Ma solo dopo un altrettanto posato inchino.
    «Si dice che la mente sia il più cristallino specchio della vera essenza di una persona.» Cominciò a dire la ragazza, sorridendo nel reclinare leggermente la testa di lato. «Ma per chi come noi vede oltre quello specchio, immagino che giudicare dalle apparenze non sia sufficiente.» Hayate avrebbe presto capito che una cosa molto irritante della sua interlocutrice era la sua capacità di sembrar citare proverbi anche quando non lo faceva. Con tutte le conseguenze del caso. «Una trattativa è piacevole laddove la si intraprende con tranquillità. Mangiamo, Hayate-sama. Mi affido a voi sulla scelta del menù.» Anche perché aveva idea di non poter fare altrimenti.
    O forse no?
    Ferma al suo posto, Shizuka Kobayashi accavallò lentamente le gambe intrecciando con eleganza le dita delle mani, e a quel punto, ancora una volta, sorrise. I suoi profondi occhi verdi erano fermi in quelli folli della sua ben educata opponente, ma seguivano con garbo ogni mutamento ed evoluzione della faccenda con quell’eleganza tipica della serpe che pur scivolando su un terreno impervio preserva il coordinamento di ogni sua spira.
    Era uno scontro tra Regine, quello. Non c’era più spazio per nessuna Principessa, ormai.
    «Una domanda io e una voi, Hayate-sama.» Socchiuse gli occhi, e anche nei suoi qualcosa brillò. Ma non era follia, né cecità. Era fame. Una fame prepotente. E agghiacciante. «Sono certa che entrambe troveremo tutta questa faccenda “gloriosa” sotto molti aspetti.» E reclinando la testa di lato, aggiunse: «Vino rosso, spero bene.»

    Avevano appena iniziato a giocare.
    E pareva che lei preferisse, per qualche ragione, lasciare la prima mossa all'avversaria.

     
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