Il Veleno dello Scorpione

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  1. -Meika
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    Il Veleno dello Scorpione

    Arrivo in quel di Suna



    Fissavo con attenzione le boccette dinanzi a me, posate in maniera precisa sulla scrivania della mia stanza. Di lato ad esse diversi appunti, molto confusi. Ero seduta sulla sedia a braccia incrociate, i capelli legati e tirati all'indietro affinché non mi finissero sul viso. Mi stavo torturando le unghia con i denti nel vano tentativo di giungere ad una vera e propria soluzione al mio problema: ciò che mi veniva fornito non era per niente sufficiente. Avevo elaborato diverse strategie da usare in eventuali lotte, pensato a diverse situazioni da affrontare e molte fallivano perché qualcosa non andava bene: il veleno.

    I Veleni erano una cosa pericolosa, non tutti potevano maneggiarli. Avevo fatto mia l'arte di usarli senza avvelenarmi a mia volta e certamente avevo imparato a sfruttare quelle conoscenze per meglio riuscire a fare ciò che avevo scoperto riuscirmi meglio: ridurre l'avversario a metà di ciò che era veramente, costringerlo ad arrendersi senza mai ferirlo davvero. La mia arte, avevo scoperto dopo aver risvegliato i miei Occhi, non era distruggere con potenza, lame ed esplosioni. Io ero un'ombra sottile che debilitava, ti spaventava, ti costringeva alla resa. Solo che, i veleni che l'Accademia forniva erano troppo poco fantasiosi. Debilitanti, ma sostanzialmente poco vari nei loro effetti.

    Non sentii l'andatura claudicante di mio padre, concentrata com'ero. Lui notò la porta semiaperta e bussò, ma non risposi, così decise di entrare e toccarmi la spalla. Trasalii spaventata per la sorpresa, destandomi da quella specie di torpore. Ah... ma! Ah otou-chan feci un sospiro di sollievo, riprendendomi dallo spavento.
    La cena è pronta, non mi hai sentito? scossi la testa.
    No, stavo pensando ad alcune cose... sai, strategie, situazioni. Però i veleni sono troppo limitati per gli usi.
    Arata, che era stato uno Shinobi valido, comprese ciò che stavo dicendo molto rapidamente. Bé, puoi imparare a crearne di tuoi, come li vuoi. alzai un sopracciglio, incuriosita. Dici? E come?
    A Suna ci sono tra i migliori avvelenatori da quanto ricordo. Magari lì trovi qualcuno che ti addestri.
    Guardai mio padre non senza stupore. Lui che mi consigliava di partire? Era un ansioso di quelli gravi! ... Tu che mi suggerisci di partire? Stai bene otou-chan?
    Non dire così! Rise Tanto anche se mi preoccupo fai ciò che vuoi. Una (non troppo) sottile battutina riguardo il mio (clandestino) viaggio a Taki con Akira. Mi si imporporarono le guance, ma mantenni una dignità invidiabile.
    C'è un mondo di differenza tra il non volere che tua figlia faccia qualcosa e tacere a suggerirle di farla. C'è qualcosa sotto.. eh... eh? Mi vuoi fuori dai piedi, trovato qualcuna, eh, eh? Nel mentre mi ero avvicinata ed avevo iniziato a punzecchiarlo sul costato. Lui non si scompose minimamente, facendo sfoggio di un controllo sulle sue reazioni a dir poco invidiabile.
    Come osi parlare così a tuo padre!
    Risi, scappando al piano di sotto per la cena. Lui sospirò, sorrise, e mi seguì con la sua andatura zoppicante.




    Guardai le guardie alle mura di Kiri.
    Ohi! Non c'è Akira? chiesi ad alta voce per farmi sentire. Hikari, una delle guardie che stavano dai tempi in cui il Mizukage faceva la ronda sulle mura, mi ascoltò e mi salutò. Stavo diventando piuttosto famigliare lì alle mura: quando non ero in missione e non avevo impegni di sorta a casa finivo inevitabilmente lì a ricordare ad Akira quanto grama fosse la sua vita di guardiano. Oh, Meika-chan. No, non è di guardia ora. Lo cercavi? Feci cenno di no col capo. Stavo uscendo dal villaggio, volevo salutarlo. Se lo becchi gli dici che sono andata a Suna? Oh ok! Perché ci stai andando? Ad imparare una cosa. Dissi semplicemente, dunque passai il cancello, salutando la ragazza con un movimento della mano ad un sorriso, diretta verso il porto.




    Suna era la cladera che ricordava. Aveva passato lì diversi giorni dopo l'attacco dei Kijin, ed ogni giorno era un caldo bestiale, sopratutto nella stagione estiva. Ma poco cambiava a quel punto: anche a Settembre c'era un sole battente, un vento fastidioso e la voglia di affogare nella sabbia per smettere di soffrire il caldo.
    Non avevo molto bene in mente come fare: stando a quanto mio padre mi aveva raccontato di esperti di veleni c'erano certamente i marionettisti ed un clan alquanto inquietante, i Soshi. Solo che non aveva idea di dover trovare gli uni o gli altri. Così vagò un attimo alla cieca per un po', finché non si ritrovò nel quartiere dei Kurogane. Per lei quel nome non significava molto, un posto dove un altro dove trovare qualcosa da mangiare per pranzo. Con lo stomaco che brontolava entrai in un piccolo ristorante chiamato "La Sabbia Dorata" ed ordinai della carne, memore dell'ultima volta che avevo osato prendere del pesce lì a Suna.
    Mh, scusi, sa dove posso trovare gli Akasuna o i Soshi? il proprietario del locale, un uomo austero e pelato, si accigliò. Non sono proprio il massimo, signorina. Scontrosi e pericolosi. Ha degli affari con loro? Era fin troppo curioso, ma decisi di soddisfare la sua curiosità per poter ottenere l'informazione che cercavo. Volevo imparare a creare veleni, so che sono i migliori. L'uomo annuì vigorosamente. Ecco, vedi, devi andare...

    In quel momento la porta del locale si aprì...
     
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