Vecchio Covo della Radice

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    UnimentI








    Giunto al sigillo non si limitò a staccare il foglietto, dopotutto aveva la forza necessaria a scavare un piccolo solco nel cemento ed asportare entrambi.
    Quando in vento si placò ci volle poco perché D’Vora, che tra se e se preferiva chiamare Oboro, in quanto più gradevole all’udito, gli atterrasse accanto.

    Hei.
    Immagina se tutto questo ti fosse accaduto in missione.
    Roba tosta.
    Invece il kage che non sa quello che fa ti permette di scoprire queste piccole debolezze in ambienti controllati.


    Non faceva una piega, ed essendone convinto annuì ad occhi chiusi.
    Proseguirono per qualche metro incontrando l’ennesima porta, differente da tutte le altre, era sprangata in una maniera abbastanza particolare ed abbastanza pesante da impedire del tutto l’apertura della porta.
    Il ritorno degli insetti di Oboro fu la prova che avrebbero dovuto far attenzione ad aprire quella porta.

    Mh, meglio non fidarsi.

    Disse uno dei cloni trovando l’appoggio di Raizen che giunse di li a qualche istante.
    Senza parlare ulteriormente, non sapendo se la creatura potesse sentirli o comprenderli avrebbe fatto cenno ad Oboro di salire con lui sul muro, poco sopra lo stipite della porta, sarebbe stato uno dei suoi cloni infatti ad aprirla.
    Non sapeva cosa fosse di preciso, ma iniziava ad immaginare che se le porte della radice erano chiuse doveva esserci un motivo, ma si poteva dire che ormai era giunta l’ora di rispolverare quel luogo.
    Quando il clone aprì la porta si preoccupò di fare da esca Raizen era pronto dall’alto e non fu difficile buttarsi addosso al clone dall’alto senza essere visto da quella furia di carne orrenda.
    Entrambe le braccia vennero irrorate da un quantitativo di chakra disarmante [for+8 + guanti pot 40] mentre si abbattevano sul cranio del mostro, spremendolo come un brufolo, anche se l’effetto del colpo non fu esattamente quello programmato da Raizen in quanto la pelle marcescente pareva avere un ruolo nella stramba anatomia dell’essere, scivolando sopra l’epidermide sana e diminuendo l’entità dei danni che tuttavia furono troppi da sopportare.
    La bestia crollò ma gli anni di esperienza gli avevano insegnato che se una situazione poteva peggiorare l’avrebbe fatto.

    Sai che ora dobbiamo entrare vero, D’vorah?

    Parlava con D’vorah, ma in realtà lo diceva anche a se stesso, entrare li dentro non sarebbe stato piacevole.
    Gli occhi vagarono nell’oscurità, niente pareva muoversi all’interno della stanza e la luce pareva fosse guasta, cosa che a quelle profondità risultava essere scomoda.
    Il primo passo lo fece uno dei cloni, addentrandosi nel cono di luce senza percepire alcunché, solamente gli ultimi rantoli del precedente ammasso di carne producevano qualche suono, ma per il resto, alla radice, tutto taceva.
    Fu sul fondo della stanza che Raizen trovò un interruttore.

    Fuori uso.

    Borbottò tra se e se mentre impastava del chakra sull’interruttore.
    Fu una pessima idea.
    Per quanto la stanza fosse relativamente corta –venti mentri che la luce del corridoio principale illuminava parzialmente- era estremamente larga, e la luce rivelò che l’abominio uscito per primo non era l’unico e neanche il più insolito ebbero poco tempo per comprendere cosa li circondava nella massa informe che si agitava per la luce nuovamente attiva, quasi impaurita.
    Oboro fu la prima ad essere attaccata anche se non fu semplice comprendere da cosa.
    Dalla massa non si staccò solamente un essere o un gruppetto bensì una miriade di “cose” organiche, pareva fossero unte, viscide ma sferiche e da come si aggregarono a formare una figura antropomorfa pareva fossero in grado di intendere come un unimente.
    Un unimente che aveva bisogno di nutrimento. Immagine di riferimento
    Oboro poteva notare che i colpi scivolavano addosso alla pelle della creatura come se fosse ricoperta da un grosso strato di muco, cosa probabilmente vera, pareva che il muco fosse anche ciò che permetteva loro di comunicare, quasi un liquido in cui erano sospese ed al contempo compattate.
    Il primo attacco giunse quando ancora le creature non erano compattate, lo sciame, se così si poteva definire, allargò parzialmente la sua traiettoria verso lo stomaco della kunoichi, la parte più morbida e al contempo con meno ossa di tutto l’organismo. Una mano di dimensioni almeno doppie rispetto al normale si sarebbe animata di almeno una ventina di piccole bocche pronte a divorare[pot.20 vel verde+2 tacche] qualsiasi cosa incontrassero sul loro cammino dopo di quello ci fu un istante di calma in cui l’essere pareva riordinasse i suoi stesi pensieri.
    Una volta finito D’vorah potè constatare che una miriade di occhi la fissavano con lo stesso appetito della più vile delle bestie.
    La creatura attaccò difficile dire quale arto avrebbe impattato per primo, pareva non importasse, quello che contava era il nutrimento, e toccarla con qualsiasi parte del corpo voleva dire riceverne, prima un braccio diretto in pieno volto, poi una gamba ad impattare con la scoscia, come se fosse un manichino senza articolazioni, ma i colpi erano estremamente pericolosi[pot.30 vel verde+2 tacche] !
    Se qualcuno fosse andato a segno l’Essere avrebbe potuto vedere come i bubboni presenti nella zona di contatto, dopo aver prelevato il suo stesso tessuto, avrebbero aumentato le loro dimensioni del doppio mentre quelli adiacenti lievemente meno, come se una volta soddisfatto l’appetito questi cedessero il nutrimento a quelli vicini prima di riordinarsi in maniera casuale[ogni colpo andato a segno aumenta di 1 tacca in una statistica le prestazioni della creatura] nell’organismo.
    Il contatto era pericoloso quanto complesso, come poteva mettere fuori combattimento la creatura?
     
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