Tra i rami del bosco secolare

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    INCOMPREHENSION

    A bird cannot swim. A fish is not able to fly.




    Non aveva capito precisamente quando la situazione era diventata tale per cui adesso era lei quella che sbagliava, ma era evidente che era accaduto tra il momento in cui cercava di spiegare a Raizen il suo errore, aiutandolo, e quello in cui sperava di potersene andare per non diventare davvero cattiva. Si trattenne dal mettersi a ridere, ma non poté fare a meno di portarsi una mano al viso.
    Era sempre così, con lui. Non riusciva a comunicare. Non ci era mai riuscita.
    Ogni volta che iniziava a parlare, a spiegargli il concetto “A” improvvisamente quel discorso verteva sulla “Z” e aveva connotati completamente diversi da quelli di partenza. Si era ritrovata spesso in quella situazione, quella cioè per cui un discorso semplice era stranamente diventato molto difficile e motivo di litigio furioso, ma stavolta non sarebbe accaduto.
    Stavolta era Raizen a dover capire qual era l'argomento. E cosa lei intendeva dire.
    Non il contrario.
    «Raizen, non ho mai messo in dubbio che tu possa amare una donna o una qualsiasi altra creatura del nostro pregevole universo vissuto. Ho messo in dubbio che il modo in cui adempi alla tua carica non sia idoneo per la stessa. Lascia che ti spieghi di nuovo...» E così dicendo avvicinò tra loro le mani rette, puntate frontalmente. «Non stiamo parlando di te come persona.» Disse piegando le braccia a destra. «Ma di te come Kage.» E le girò a sinistra. Poi sorrise.
    I suoi occhi verde smeraldo si piantarono in quelli scarlatti del Jinchuuriki e a quel punto si fecero sottili. A dispetto delle speranze iniziali, quella volta la donna non riuscì a trattenersi dal ridere.
    «E comunque molto brillante il voler mettere di mezzo la famiglia in un argomento che la toccava solo lateralmente. Davvero.» Osservò educatamente. «Devo forse ricordarti che ormai da un anno sono braccata da Kurotempi come un coniglio e ho pertanto un Jonin reietto di quella o chissà quale altra associazione che mi vuole con sé per motivi che ancora neanche la tua Squadra Speciale ha ben capito? Senza contare che, come Erede di un Clan prestigioso come il mio, ogni volta che esco in missione vivo nel terrore che ciò che faccio o dico possa ripercuotesi sulla mia Dinastia, che un giorno io mi svegli e scopra che mia madre e mio padre sono stati uccisi, che mio fratello traditore è tornato per fare qualcosa che non avrebbe dovuto fare mai... ogni giorno della mia vita convivo con il grande terrore di sapere che quello che sono distrugga ciò che amo. Quindi si, Raizen, so cosa voglia dire tutto quello che tu hai chiesto con il tuo spiccato e sempre presente buon gusto.» Disse con cortesia, inchinandosi un poco. Poi continuò. «E questo comportamento da bambino offeso, poi? “Io direi che posso andarmene”...?» Adesso parve farsi davvero stupita. «Sei stato tu a portarmi qui, a pretendere che io parlassi. Cosa ti aspettavi che facessi, che mi buttassi ai tuoi piedi e ti supplicassi di non giacere con quella puttana, di non ferire il mio cuoricino in questo modo terrificante?» Evitò di ridere, ma dentro di lei qualcosa lo fece comunque, e di gusto. «Raizen, non sono qui per parlare di cosa sei e perché lo sei. Mi sei sempre andato bene per come sei fatto. Ti ho sempre amato a dispetto dei tuoi palesi e abissali difetti caratteriali. Non ti ho mai chiesto di cambiare, mi risulta. Non mi interessa se giaci con prostitute o con tua moglie, o le tue moglie, o la tua concubina. O con un cane, come in questo caso.» Era ironica nell'ultima frase, ma senza dubbio sincera. Lo era sempre stata su quell'argomento. Ne avevano già parlato, più volte, e l'ultima di queste era stata solida come nessun'altra. Shizuka era legata a Raizen da un rapporto simile a quello che univa la Luna al Sole, e per lo stesso tipo di ragionamento, poiché l'uno non prescinde l'altro e insieme formano il tutto, non lo avrebbe tradito mai. Il discorso di quel momento, però, era un altro. «Vivo nella politica da quando sono nata. So come funziona questo mondo. Sperimento sulla mia pelle quel tipo di giogo che tu rinneghi ogni giorno della mia vita, ad ogni trattativa che intraprendo, ad ogni proposta di matrimonio che ricevo, ad ogni celebrazione a cui presenzio. So come pensano le persone del mio rango, quelle come me, facenti parte del mio mondo. Per me non è un peso, ho imparato a muovermi in questo ambiente con disinvoltura già da piccola... ma tu?» Chiese, guardando il Colosso. «Le apparenze contano in un mondo in cui c'è in ballo molto più del semplice rigore militare a cui sei tanto avvezzo. Un semplice conflitto tra Daimyo può portare ad una guerra. Uno sguardo troppo eloquente tra due giovani rampolli in età da matrimonio potrebbe concludersi con la rovina delle loro scelte e di quelle delle loro famiglie. Quello che per te è “niente” per il resto del mondo è “tutto”, perché è quel tutto che sperimentano sulla pelle con disgrazie o felicità.» Spiegò Shizuka, congiungendo le mani in grembo. Alzò la testa e il portamento elegante della sua schiena, del suo corpo, tradirono quel tipo di educazione alta radicata in lei da infinite lezioni di etichetta. Suo malgrado non sarebbe mai riuscita ad allontanare alcuni comportamenti dalla donna che era e che sarebbe diventata. Era nata Principessa, questo era ciò che era e che non avrebbe mai potuto rinnegare. «Non dico che è una situazione piacevole, ma semplici “elucubrazioni” possono distruggere una persona. O glorificarla.» Osservò con calma. «Tu sei stato educato sin da piccolo a combattere per la tua pelle, io sono stata istruita invece a fare tutto ciò che sto dicendo, a gestire cioè un impero economico da sola contro il mondo. Non è concesso errore a nessun Capoclan. Mai. Pertanto, non è concesso neanche ad un Hokage.» Così dicendo esitò.
    Era sicura di aver già detto tutto quello che poteva dire per spiegarsi, ma era altrettanto sicura che Raizen non avesse capito il suo discorso. Guardandolo lo poteva dire, lo poteva capire e sentire: era ferito e mortificato, incapace ancora di comprendere cosa lei stesse cercando di comunicare. Sospirò, scuotendo la testa. Forse, semplicemente, quella persona non avrebbe mai potuto adempiere a quella sfera dei suoi doveri... forse, il motivo per cui lei ed Atasuke erano stati posti da Murasaki-sama al suo fianco era davvero quello di supplire alle sue mancanze. Non si può insegnare ad un pesce a volare, e del resto nessun passero potrà mai nuotare per troppo tempo senza affogare. La natura di una persona era impossibile da contrastare...
    «Non c'è stata nessuna sciocchezza dall'inizio di questo discorso, Raizen, ma è evidente che tu non lo possa capire.» Disse dunque, alla fine di quei ragionamenti. «Non ho mai parlato di te come individuo, non ho mai voluto offendere ciò che sei e ciò che fai. E' senza dubbio possibile che io possa non vedere né capire cosa fa e prova un uomo...ma sono ancora in grado di comprendere cosa fa e dice un Capo di Stato. Ed era per questa carica che sono venuta qui. Non per l'uomo che la veste.» Mormorò, poi sospirò sonoramente. «Finiamola qui, Raizen. Preoccuparmi per te è uno dei miei privilegi, e a questo punto ritengo anche parte del mio lavoro.» Fece spallucce. «Io e te non comunicheremo mai, lo sapevamo già da tempo. E' inutile quanto cerchi di spiegarti le mie ragioni, continuerai sempre a pescare la sfaccettatura sbagliata in un intero lago di argomentazioni. Argomentazioni che io, ormai e almeno per oggi, ho davvero esaurito.» Fece presente, perplessa. «Limitati a cercare di comportarti con quanta più discrezione ti è possibile, per il resto agirò come una Kobayashi ha sempre agito per proteggere Konoha. Mi occuperò io di quello che ti sfugge.» Affermò senza fare una piega. Avrebbe agito come aveva sempre fatto, sedendo nella sua ombra, pulendo ciò che era stato sporcato, cancellando ciò che non doveva essere ricordato, sostituendolo alle cerimonie per evitare che la sedia del loro villaggio fosse vuota, accogliendo i nobili esteri e intrattenendosi con loro in tediosi incontri contesi tra servilismo e adulazione, facendo tutto ciò che lui non voleva o poteva fare. Agire in quel modo non era mai stato un peso, per lei. Era orgogliosa di poter servire il Fuoco e il suo Hokage in quel modo... ma avrebbe voluto che lui fosse più accorto su determinate faccende.
    Sospirò, pensierosa, poi però pensò stupidamente ad Atasuke e suo malgrado rise tra sé e sé, scuotendo la testa. Era sicura che se mai avesse confessato lui quel discorso e i ragionamenti che ne erano nati, l'Uchiha sarebbe scoppiato su tutte le furie, inneggiando a rivolte che avrebbe concretizzato solo nei suoi sogni, con il suo pigiamino a strisce e il suo pupazzino di feltro tra le mani, al riparo del suo temibile futon.
    ...Ma probabilmente avrebbe agito allo stesso modo di lei. Proteggere il Fuoco, del resto, era il loro dovere. E supportare Raizen faceva parte di quel dovere.
    Nel suo caso, poi, era una concessione ancora più grande.
    «Lascia stare, suppongo che non capirai quello che ho detto. Sentiti libero di agire come meglio ritieni opportuno, se ci rieci cerca di riflettere sulle mie parole e custodiscile.» Forse solo tenerle in una parte di lui, anche se remota e dimenticata, gli avrebbe proibito di compiere azzardi che un giorno sarebbero forse state più grandi di quella di quel giorno. O almeno lo sperò. «Per il resto, sei libero di giacere con quella donna di Oto e con mille altre come lei. Ti auguro buon divertimento. Ti raccomando solo le dovute protezioni, giacché qualora tu dovessi prendere le piattole provvederei a curarti con il fuoco. Ah, si e magari tira le tende.» Disse, ironica, sventolando la mano di fronte al viso del Clone. A quel punto cominciò a muoversi a fatica tra i rami del bosco, in discesa, sperando di non scivolare di testa.
    Il che, conoscendosi, era molto più che probabile.
     
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