Un Bagno di Sangue

Nami no Kuni

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  1. Ade Geist
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    ~ The Red Capes are coming!

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    Legami di Sangue
    Capitolo Secondo


    Atto V
    L'Arte della tortura †
    Riverso a terra, supino, giaceva il corpo quasi esanime del comandante. Nonostante la cartabomba gli avesse fatto letteralmente esplodere le ossa delle braccia fuori dalle carni, nonostante le due gigantesche armi da lancio conficcate nelle cosce, nonostante i colpi ricevuti in precedenza, quell'uomo non era morto. L'oscuro figuro con la mia Saruhyondo emerse dalle ombre ponendo con leggerezza il suo stivale un osso esposto del braccio destro. L'uomo urlò di dolore, un grido molto simile a quello precedentemente udito dopo essere stato colpito al petto dal suo devastante pugno. « Tu! Dunque non eri solo! Per me è finita, ma non parlerò! Non potete farmi nulla di peggio. » tuonò l'uomo, sputando un grande grumo rosso di sangue. L'essere incappucciato alle sue spalle fece un passo indietro, facendosi nuovamente ammantare dalle ombre, togliendosi il piacere della flebile luce lunare. Una tremante voce, particolarmente sadica, lo percepivo, uscì dalla sua bocca: « Nulla di peggio. Pur con tutte le volte che l'ho sentita, rimane sempre una sfida fresca. » disse, indicando con la mia Kenkichi, l'obeso a terra. Il mio volto si rinchiuse in una sorta di grugnito alla visione di Saruhyondo, tanto da ringhiare qualcosa con un tono oscuramente gutturale. « Grrr. »
    Fui poi riportato all'attenzione con un nuovo comando, un nuovo ordine che necessitavo di seguire se non avessi voluto allontanarmi dalla vita in pochi istanti: « Torturalo. Potrai fargli la prima domanda dopo mezz'ora. Non prima. » disse. Il mio volto tornò a distendersi, la mia espressione tornò rincuorata: tutti i terribili segni del potere dei Guerrieri del Sangue sul mio corpo si rimarginarono, il sangue smise di fluire, la mia testa si svuotò dai rinnovati pensieri d'odio, le mie membra si rilassarono. « Ai suoi ordini. » dissi, esibendomi in un piccolo inchino. Il mio subconscio non era certo così inetto: si trattava di torturare un uomo palesemente in fin di vita e di estrapolargli informazioni, non potevo farmi prendere la mano ed ucciderlo.
    Tornato in me, scorsi brevemente il corpo del malcapitato per vedere se potevo sfruttare in qualche modo le sue ferite per arrecargli ulteriore dolore senza provocargliene di nuovo - in sostanza, senza creargli nuove ferite ma solamente aggravando quelle già presenti. Quel che immediatamente mi saltò agli occhi furono le grandi ustioni presenti sulle gambe e sui fianchi di quell'uomo. Un ennesimo sorriso malsano di allungò sul mio volto mentre, portavo il mio sguardo ad incrociarsi con quello del grassone a terra: quando ebbi la certezza che l'uomo mi stesse fissando o che avesse ricambiato lo sguardo, lentamente mi voltai verso il mare, osservando quella enorme distesa salmastre che avevo a disposizione. Con i soliti passi lenti e cadenzati con i quali mi ero avvicinato al corpo dopo averlo martoriato, ancora mi sarei diretto verso la costa, estraendo dalla tasca uno dei miei tanti filatteri; questi erano soliti contenere sangue delle mie vittime - e forse lo avrebbero contenuto anche questa volta - ma in quella situazione dovevo fare un'eccezione. Ne riempii tre e tornai dal grasso comandante. Avevo promesso che non gli avrei più parlato, così, quindi non mi sarei espresso fino al momento opportuno.
    Lo guardai nel complesso, nel suo catatonico sguardo verso quel densissimo cielo stellato. Mi era capitato molto volte durante la guerra tra Iwa e Taki di dover torturare qualcuno: la differenza con questa volta però constava nel fatto che lo stessi facendo per un fine, per estorcere delle informazioni e non, come accadeva alla Cascata, per ripicca nei confronti degli invasori. Non ero dunque avvezzo agli interrogatori, li ritenevo una pratica piuttosto barbara ... ma quella sera cambiai idea. Sì, quella sera vidi la tortura sotto una luce diversa; non era il mero gusto sadico a portarmi ad infliggere dolore alla mia vittima, non era effimero desiderio di morte, era vera e propria ricerca della via più ispida per ricavare informazioni.
    Aprii il filatterio, facendo stillare una goccia sopra l'ustione sulla gamba destra dell'uomo: il suo volto si contrasse in una piccola smorfia. Feci stillare un'altra piccola goccia ed il risultato fu il medesimo. Poi rovesciai il contenuto di un intero filatterio: l'uomo urlò dal dolore.
    La tortura però, non è soltanto un gioco di prestazioni fisiche rovesciate, di tendini strappati ed arti rotti: è un'arte psicologica, una filosofia del potere, del comando, della paura. Quella sera, il comandante del forte avrebbe visto un demone, un Akuma, dinnanzi a sé. Riposi i due contenitori rimastimi nel cappotto, poi mi voltai a cercare un cadavere di un qualche soldato che corrispondesse a ciò che avevo in mente, questa volta chinando il capo dalla parte opposta al mare. Vidi un corpo divelto di netto, tranciato a mezzo all'altezza del busto, con buona parte delle interiora rivolte a terra; mi avvicinai e, poggiandomi sulle ginocchia, infilai la mano nella carcassa dell'uomo, strappando con forza una buona parte dell'intestino. Ancora, mi girai verso un altro cadavere, rialzandomi, questa volta cercavo un corpo intero, che avesse potuto soffrire un forte trauma di modo da avere una zona densa di sangue rappreso nel suo corpo. Trovai un uomo con un evidentissimo ematoma interno sull'addome, rigonfio e nero. Me lo caricai in spalla e lo accasciai accanto al corpo dell'obeso guerriero. Nuovamente lo fissai negli occhi, cercando il suo sguardo, poi alzai ciò che avevo preso dell'intestino dell'altro soldato, mostrandoglielo. A quel punto gli alzai leggermente la testa e feci passare le viscere intorno ad essa, all'altezza della bocca due volte: lo stavo imbavagliando con pezzi dei suoi uomini. Poi, non contento, tirai su di peso il corpo morto che gli avevo affiancato e con uno degli spiedi rimastimi gli premetti sull'ematoma: un fiume di sangue denso e grumoso scivolò via dalla zona squarciata, andandosi a riversare sul volto della mia preda.
    Una situazione, quella, che avrebbe causato il vomito ed il ribrezzo a qualunque essere umano: ma io non mi trovavo davanti ad un uomo.
    Erano passati circa dieci minuti dall'inizio della mia lenta esecuzione artistica e forse adesso, era arrivato il momento di lasciare a quell'uomo il suo intestino da masticare.

    [...]

    Passarono poco più di altri dieci minuti prima che tornassi nuovamente. Questa volta ero riuscito a munirmi di una sorta di secchio trovato dentro quel che rimaneva del forte, e riportai al mondo dei vivi - anche se probabilmente per poco - il malcapitato comandante con un poderoso getto di acqua salata su tutto il corpo, andando a colpire anche le varie fratture esterne. Un mugugno uscì da quel corpo martoriato, bavagliato mestamente. Non era ancora passata la mezzora concessami, quindi avrei dovuto esibirmi in altre piccole azioni di sfregio prima di poter porre la prima domanda. Iniziai a far roteare il mio spiedo tra le mani: quella sarebbe stata l'arma finale, la pennellata spessa di nero sulla mia tela perfetta. Gliela fermai davanti agli occhi, facendogliela osservare bene: erano gli spiedi di Kiri, incredibilmente più forti dei normali spiedi, infinitamente più insidiosi se saputi usare con una certa dimestichezza. Estrassi dalla mia tasca, nuovamente, un filatterio vuoto e rapidamente, decisi di riempirlo del sangue del mio avversario: lo poggiai sotto una delle tante ferite sanguinanti e ne raccolsi un po'. Lo riposi accanto agli altri che avevo, cioè ai due filatteri contenenti il sangue di Ryo - chissà che fine aveva fatto quel ragazzo -, che avevo conosciuto come portatore del demone a tre code e Isaka, il ragazzo della costiera. Contemporaneamente ripresi uno dei due filatteri rimastimi con l'acqua marina. Lo osservai un attimo e potei notare come i suoi occhi fossero sempre più vitrei, sempre più spenti. Pensai che fosse giusto non far seccare quegli inquietanti occhi piccolissimi, così presi in due dita, il pollice e l'indice, la palpebra del comandante e, nuovamente, stillai qualche goccia d'acqua salmastra dentro l'occhio, aprendogli la palpebra. Ah, gli occhi, che cosa meravigliosa! Ti permettono di accedere alla bellezza della vita ma non possono negarti gli ultimi istanti di essa. Feci la medesima cosa in entrambi gli occhi. Ma cos'è l'arte senza la scultura? Niente! Era dunque arrivato il momento di creare qualcosa di nuovo!
    Ripresi la sagoma spezzata e la portai vicino all'uomo. Le feci aprire la bocca e poggiai la testa morta proprio tramite l'orifizio faringeo, sull'osso che sporgeva dal braccio destro. Alla stregua trattai il cadavere con la tumefazione sull'addome, ponendolo però con la bocca sull'osso del braccio sinistro. Il peso morto insostenibile dei due cadaveri avrebbe causato un dolore infinito alla mia preda. Quella era un'ottima posizione per farlo attendere altri cinque minuti l'inesorabile arrivo della mia prima domanda.

    [...]

    Era il momento. La luna era altissima e piena in cielo, anche se la notte stava ormai volgendo al termine. Il mare echeggiava molto più tranquillo tra le alture circostanti e si scagliava con meno forza contro gli scogli presenti. Si sentiva il profumo delle prime ore del mattino, nonostante fossero ancora lontane. Mi alzai dalla sedia che avevo portato all'esterno dalla capanna, e mi riportai verso l'obeso, togliendogli dalle ossa i due cadaveri: dovevo far sì che parlasse e sotto un dolore di quelle dimensioni, probabilmente, non sarebbe riuscito neanche a aprir bocca. Lo guardai negli occhi per una terza volta, e gli mostrai lo spiedo per una seconda, poi, pronunciai: « Sai, se c'è una cosa che non vorrei mai che mi succedesse, specialmente in punto di morte è perdere la vista: è ciò che tiene legati al mondo, ciò che mi connette con tutte le persone care che avrei intorno, con la quale posso godere anche nell'ultimo istante della mia esistenza. Guarda te! Sei qui, in questa bellissima spiaggia, circondato da persone carissime - o per lo meno, a parti di esse - e puoi godere di questo magnifico panorama, oltre che della nosta » dissi, alzando lo sguardo « regale presenza. » feci una pausa molto lunga, fissando ancora i suoi minuscoli occhi. Ripresi poi « Quali sono i segreti legati a Zabuza Momochi di questo luogo? »
    Se l'uomo non avesse risposto alla prima, avrei semplicemente messo un piede su quel che doveva essere il suo organo riproduttivo e, con molta grazia, avrei schiacciato con forza verso terra, finanche a spappolarglielo, se, sotto il nuovo dolore avesse preferito non parlare neanche per le seguenti domande.
    « Di cosa eri il comandante? Chi era il gruppo di soldati qui presente? » avrei chiesto applicando una maggiore pressione alla suddetta parte.
    « Cosa ci facevate qui? Chi è il vero capo? »
    Avrei ancora aumentato la forza della mia presa, per poi lasciarla d'un tratto, quando avrebbe risposto.
    « Cosa devo fare per ottenere il potere del Demone della Nebbia? »
    Avrei infine chiesto. Se l'uomo non avesse voluto rispondermi, mi sarei chinato su di lui, sussurrando leggermente « Non ci siamo, non ci siamo. » prima di infilargli lo spiedo che avevo in mano nell'occhio destro, ma solo in superficie, dentro la pupilla. Non era un danno irreversibile, fintanto che l'oggetto fosse rimasto nel suo occhio lui non avrebbe visto ovviamente, ma con delle cure poteva non perdere la vista. « Rispondimi. » avrei fermamente e con voce particolarmente fredda pronunciato. Se ancora non avesse risposto, avrei proceduto infilando leggermente più in profondità lo spiedo prima di rivolgerlo verso l'alto in modo da strappare l'occhio dal cavo orbitale. « Dimmelo, inutile ammasso di lardo! »
    Qualora l'uomo non avesse ancora parlato, avrei, sempre mediante il solito procedimento, estratto anche l'altro occhio. Le parole sarebbero diventate più aspre, ma le informazioni che cercavo erano sempre le solite. « Parla, devo saperlo! »

    Saruhyondo era lì che mi scrutava. Ancora poco e - speravo che - avrei potuto riaverla.



    StatisticheStatusBusto: 7 Leggere e ½, costola rotta.
    Braccio Sx: 2 Leggere.
    Mano Dx: Ferita Lieve.
    Mano Sx: Ferita Lieve.
    Forza: 600
    Velocità: 500
    Riflessi: 500
    Resistenza: 475

    Agilità: 400
    Precisione: 400
    Concentrazione: 400
    Intuito: 400

    Vitalità


    Chakra
    Slot Difesa | Slot Azione | Slot Tecnica | Slot Gratuiti


    [Slot Difesa I]


    [Slot Azione Extra]

    [Slot Azione I]
    [Slot Azione II]
    [Slot Azione III]


    [Slot Tecnica]


    [Slot Azione Istantanea Gratuito]




    Legenda


    Narrato
    « Citato! »
    « Parlato! »
    « Pensato! »
    Anima di Saruhyondo.
    Anima di Keiji.



    OT/ Non ho aggiunto alcun tipo di ferite in quanto Keiji aggiungerebbe status (Dolore) con le sue azioni, senza aggravare o creare ferite, ad eccezione ovviamente delle ultime due, dove però lascio libera interpretazione al buon Boreanz, date le circostanze. /OT
     
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