Scavando nel passato..

Free Gdr

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  1. -Hidan
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    Scavando nel Passato

    Decadenza


    Il ragazzo dai capelli blu notte sembrò essere leggermente spiazzato dalle mie parole. Come dargli torto?
    Ero un dannato bastardo atarassico con quasi nessuna apertura alla socializzazione.
    Non sembrò importargliene più di tanto, però, visto che non perse tempo a continuare nella sua azione.
    Quella missione doveva essere molto importante per lui e non aveva gran interesse in chi o che cosa potesse assisterlo, bastava che il fine venisse raggiunto. Una visione della missione simile alla mia, con le dovute e opportune differenze.
    Seguii i suoi movimenti, silenzioso e rapido come solo un'ombra può esserlo, finendo ben presto nel saltare dentro la struttura da una piccola finestra rotta. Atterrato sul pavimento marcio la prima parole che mi venne in mente fu "decadenza".
    Quel posto era totalmente abbandonato, almeno da persone con un minimo di civiltà.
    Sporcizia di vario genere e natura, immondizia, tracce di liquidi corporei umani un pò in tutti gli angoli. Era tutto distrutto, in putrefazione o marcio. Il mobilio segnato dall'usura del tempo, degli agenti atmosferici, degli animali e dei vandali, le mura ingiallite e con il muschio che ormai si stava impossessando di tutta la superficie.
    Takeshi divise i compiti di investigazione e mentre lui avrebbe controllato il piano superiore io avrei dovuto cercare al piano terra.
    Cercare... Un ago in un pagliaio.
    Non sapevamo cosa cercare. ... Annuii leggermente, evidentemente contrariato da quella mancanza di informazioni. Ormai, però, ero nella barca, e avrei remato finché avrei avuto voglia.
    Mentre lo Yamamoto saliva le scale, presi a fare un rapido giro di perlustrazione per meglio capire la struttura della casa.
    Non aveva niente di particolare. Una normale abitazione abbandonata, con tutto ciò che ne deriva.
    L'odore malsano, causato dalla cattiva areazione e dalle escrescenze nel luogo, stava incominciando anche a infastidirmi. Sputai sul divano.
    Oltre al salotto c'erano altri tre ambienti: un bagno, una cucina con sala da pranzo e un ripostiglio. E tutto era nelle medesime condizioni.
    Se ci fosse mai stato qualcosa di valore in quel luogo, adesso sicuramente non c'era più. Sperare di trovare qualche foglio o libro leggibili utili alla causa era una speranza vana. Quel poco che era rimasto erano rimasugli di vari focolari, troppo usurati dal freddo, dalla pioggia e dall'umidità per essere ancora leggibili. Se erano stati così sconsiderati di lasciare un messaggio importante senza alcun sistema di sicurezza, in bella vista, meritavano di essere dimenticati in fretta.
    Ora non mi rimaneva altro che fare una cosa: sperare che i suoi parenti non fossero dei totali idioti. Se mai avessi avuto bisogno di consegnare un messaggio importante l'avrei lasciato in un posto difficilmente raggiungibile, magari inaccessibile ai più. Un doppio fondo, una mattonella removibile, queste sarebbero state le cose più banali e ingenue a cui avrei pensato.
    Incominciai a tastare il pavimento, punto per punto, con la punta delle scarpe, applicando forza in ciascun verso per notare se fosse possibile che la mia idea si rivelasse esatta, ma dopo abbondanti minuti di prove abbandonai l'idea.
    Passai quindi a cercare nei cassetti dei vari mobili, ma questi erano stati già largamente sciacallati e depredati da tempo.
    L'ultimo che controllai fu un'immenso mobile in legno d'ebano, talmente alto e largo da occupare quasi per interno una parte del muro della stanza. Aveva delle teche in legno, anche se ormai erano distrutte, quindi riuscii a dedurre che si trattasse del posto dove veniva tenuta l'argenteria e le ceramiche per le grandi occasioni. In quella parete non vi erano appesi quadri e non vi era riposto nient'altro. Incominciai a tastare il muro lentamente, con entrambe le mani. Era sì cemento come il resto della casa, ma risultava più liscio al tatto, e potei notare con difficoltà come anche il colore, agli angoli con le altre pareti, risultava essere in qualche modo diverso, come se fosse stato passato il colore sopra in un momento diverso. Probabilmente eretto da costruttori differenti, il ché mi fece insospettire.
    Tirai qualche pugno leggero, ma sarebbe servita una gran forza per abbattere, o tentare, quella parete. Non restava altro che inserire un mobile così mastodontico da scoraggiare qualsiasi individuo dal tentare di spostarlo. Incominciai, dapprima con le punta delle dita, a spostare la grande credenza, per poi inserire sempre più la mano una volta guadagnato lo spazio necessario ad infilarla. Dopo aver guadagnato abbondanti centimetri di spazio, incominciai a fare forza con tutto il corpo, facendo gioco sulle gambe e leva sulla parete. In pochi minuti, e dopo uno grande sforzo, avevo ottenuto lo spazio necessario per poggiare le spalle contro la parete e, con le gambe piegate, a feci forza contro il mobile, il quale cedette alla mia forza, riversandosi sul pavimento, schiacciando tutto ciò che trovo al di sotto. Adesso la parete era libera. Ma era ancora vuota.
    Senza perdermi d'animo in alcun modo incominciai a tastare nuovamente la nuova parete, linda e pinta se messa in confronto con il resto della casa. Quando arrivai al centro, qualcosa cambiò nel rumore delle mie dita sul muro. Il suono era più tonfo, meno grave.
    Presi uno dei miei grandi spiedi e lo ficcai con violenza nella parete, e questo penetrò, bucandola. Una smorfia di autocompiacimento dipinse il mio volto pallido.
    In men che non si dicesse avrei completamente distrutto la falsa parete, togliendo il cartongesso, e rivelando ai miei occhi ciò che gli Yamamoto avevano nascosto: un quadrato di circa un metro di lato, il tutto composto da numerosi pannelli, sempre quadrati, ognuno lungo non più di venti centimetri. Tutti questi avevano delle strane incisioni sopra. Con la mano destra tentai di muoversi, e questi scivolarono come se fossero disposti su piccoli binari.
    Era un enigma, un puzzle da risolvere.
    L'erede forse ne sarebbe stato capace.

     
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