L'airone dalle ali rosse

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  1. Arashi Hime
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    TOSHIRO KOBAYASHI

    To a father growing old nothing is dearer than a daughter.




    «...Perché non riesci a capire, figlia mia...?»
      «Non andrò alla Pasticceria Usagi vestita da coniglietto, Otou-sama. Puoi dire quello che vuoi.»
    «Shizuka, è la Pasticceria “Usagi”...come pensavi di andarci vestita? Da orso?»


    Toshiro Kobayashi era seduto al centro di un enorme sala tradizionale: vestito di un kimono di puro broccato di seta color dell'oro e con le spalle coperte dall'Haori verde smeraldo che contraddistingueva il Capo della Dinastia dell'Airone, guardava fissamente di fronte a sé. Le grandi mani nerborute, dalla carnagione scottata dal sole dei lunghi viaggi che aveva intrapreso sin da giovane,.premevano le ginocchia composte, forti di una severità maestosa e rara.
    Alla sua sinistra, appoggiata ad un basso tavolino di legno massello lungo il doppio di qualsiasi altro considerato normale, Heiko Uchiha sfogliava placidamente un libro di poesie Haiku, sorseggiando tè verde da una tazza di porcellana grezza assieme ai suoceri e i genitori, anch'essi intenti a trascorrere un po' di pacifico tempo insieme, chi fumando la propria pipa di legno intarsiato d'argento, come Masamune Uchiha, chi ricamando da un cerchio di corno la decorazione di un nuovo scialle, come Mihoko Kobayashi.
    Da quando il mandato d'arresto era stato emanato per ogni membro della famiglia, i momenti in cui tutti stavano insieme era nettamente aumentato. Molte delle incombenze ufficiali di Toshiro erano ormai svolte da Mamoru Aoki, in sua veste, e la notizia principale che era stata diffusa in merito, con il benestare di Raizen Ikigami, era che il Clan fosse nel suo consueto periodo di ritiro, com'era da tradizione di centinaia di anni.
    ...Ovviamente non esistevano tradizioni di quel genere, o se vi erano non erano mai state rese note prima di quel momento, ma nessuno nel Paese del Fuoco, e neanche all'estero, si sarebbe azzardato a contestare la parola del Capoclan Kobayashi, tantomeno su una cosa innocua e priva di significato come un semplice e breve ritiro dalle scene che, al contrario, era stato preso con ardore da parte di altri clan commerciali, sicuri di avere un'ottima occasione per potersi affermare a loro volta.
    Quale che fossero i pensieri di chi guardava la scena dall'esterno, tuttavia, l'affiatamento dei Kobayashi era rinomato in ogni angolo del continente e nessuno aveva perciò mai dubitato della copertura creata, che l'Hokage aveva supportare come poteva, cercando di tutelare l'onore dell'Airone senza però compromettere la giustizia che sapeva dovesse mantenersi e farsi avvertire tra chi ancora osservava...
    «Shizuka, non so come concederti il titolo di Capoclan in queste condizioni. Sono sincero.» Riprese a dire Toshiro dopo una lunghissima pausa di meditazione in cui era rimasto per lo più a grattarsi con serietà ostentata la rada barba castana del mento squadrato.
    «Otou-sama, metti immediatamente via quel vestito. E' agghiacciante.» Rispose per tutto contro Shizuka, sorridendo flemmatica nel guardare con occhi vuoti un completino rosa a forma di coniglietto che giaceva esanime di fronte a lei.
    «...Ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo?» Replicò seriamente il padre, guardando con severità la Principessa. Inspirò a fondo...
    ...poi, improvvisamente, si gettò a terra coprendosi il viso con mani tremanti.
    «E' TUTTA LANA CENTO PERCENTO, COLORATA A MANO CON TINTURE BIOLOGICHE! L'HO CUCITO PERSONALMENTE IO! PER TE! NON RIESCI A CAPIRE QUANTO AMORE HO MESSO IN QUESTO COMPLETO?! TI HO PENSATA IN OGNI ISTANTE, FIGLIA MIA!!!» Strillò il Capoclan, facendo finta di scoppiare in singhiozzi. O almeno tutti sperarono che facesse solo finta.
    «Uccidilo.» Disse Heiko Uchiha, voltando stancamente pagina al suo libro. Sbadigliò, come se quella scena fosse già conosciuta. E in effetti lo era, quando si trattava dell'amore paterno che Toshiro nutriva per Shizuka, dopotutto, il passo per scadere nel ridicolo era sempre molto breve.
    «E' il disonore del Clan.» Convenne Mihoko Kobayashi, finendo di ricamare una splendida magnolia sulla seta a trama fine che teneva tra le lunghe mani dinoccolate.
    «Non ricordo di aver cresciuto un figlio simile.» Rincarò Teru Akarukawa, sorseggiando il suo tè dopo aver condiviso gli ultimi snack al wasabi con Chizuru Uchiha, che sorrise abbassando la testa in un educato inchino.
    «...ma tu non dovresti essere ad allenarti?» Borbottò di punto in bianco Masamune, lanciando uno sguardo bieco alla nipote dall'unico occhio buono che ancora gli rimaneva. «Sei sempre qui, ultimamente. Non avevi detto di voler diventare Jonin quanto prima? Credi che si diventi l'èlite del villaggio rimanendo a dormire e mangiare come fai tu?» Ringhiò, severo come solo un Uchiha poteva essere.
    «Raizen non mi ha fatta chiamare in questi giorni.» Rispose Shizuka, felice di cambiare argomento. Si voltò verso il nonno, lasciando suo padre a rotolarsi sul tatami come un pazzo, e a quel punto sorrise, annuendo. «Credo che presto andrò a chiedere se posso fare qualche missione un po' più... importante, diciamo.» Borbottò, imbarazzata. Aveva sempre immaginato il giorno in cui si sarebbe sentita abbastanza pronta da chiedere un passo ulteriore nei doveri di Villaggio e in un certo qual senso sapeva che quel momento era infine giunto. Aspirava al Jonin ormai da tempo, e il desiderio di poter finalmente arrivare al pari di Raizen, riuscendo così a ritagliarsi un posto come risorsa davvero importante, per supportarlo e aiutarlo a proteggere la Foglia, era talmente forte in lei da impedirle di rimanere ferma mentre parlava. «In effetti è qualche giorno che non lo vedo...» Aggiunse, pensosa. Non vedeva l'ora di incontrarlo e fargli sapere dei suoi progressi, dei suoi grandi progetti, ed era certa che almeno stavolta sarebbe riuscita a renderlo felice.
    Gli Dei ascoltarono le sue preghiere molto prima di quanto potesse immaginare.

    «La situazione sta per cambiare, Hime-sama: l'Hokage di Konohagakure no Sato è qui, desidera udienza con Toshiro Kobayashi.»



    La voce di Mamoru Aoki si impose nella sala prima che la porta della stessa si aprisse, rivelando sul suo uscio la figura del Kumori del Capoclan, vestito del suo solito Hakama nero come la notte. Al braccio teneva un tubolare di seta verde smeraldo, recante i caratteri di riconoscimento del sostituto Capo Dinastia. Al suo fianco c'era una cameriera trafelata, con gli occhi sgranati nell'ansia. La stessa che, in un istante, si materializzò negli occhi dei presenti.
    «Toshiro...» Esordì subito Heiko Uchiha, girandosi verso il marito con guardo smarrito. Sembrava improvvisamente essersi dimenticata del libro che stava sfogliando, di cui strinse le pagine tra le dita. A pochi passi di distanza da lei però, il Sovrano dell'Airone non denotò nessun genere di intemperanza. Mentre si rimetteva in eretta postura e ripiegava con cura l'abitino a forma di coniglio della figlia, difatti, non tradì la benché minima esitazione.
    «Non sta succedendo nulla, perché tutta questa agitazione?» Chiese a quel punto, guardando tutti i presenti nel far scorrere lo sguardo in quello di ciascuno di loro. «Da quando il glorioso Clan Kobayashi accoglie l'onore della visita dell'Hokage con tanta disperazione?» Domandò ancora, poi sorrise con gentilezza. «Sarò di ritorno da voi prima che la vostra mente possa perdersi in futili preoccupazioni.» Aggiunse, alzandosi e avviandosi verso la porta dove Mamoru era in attesa di scortarlo.
    «Verrò anche io.» Disse prontamente Shizuka, balzando in piedi dietro il padre. I suoi occhi, adesso, tuonavano come dardi nella notte.
    «Dopo la scenata che hai fatto l'ultima volta, proprio con l'Hokage e proprio in questa Magione?!» Chiese stupito Toshiro, e si mise a ridere di gusto, scuotendo la testa. «Oh, Shizuka, sei ancora così giovane e inesperta... per te la vita è tutta una corsa. Non ti fermi mai, continuando a crescere e crescere. Vedi tutto ad una velocità accelerata, che io ho però dimenticato da tempo: ai miei occhi, infatti, sei ancora una bambina.» Disse il Capoclan, pinzando tra indice e pollice il naso della figlia, a cui poi sorrise. «E i bambini aspettano pazientemente il papà, finché lui non torna...» Non aggiunse altro prima di uscire. E nessuno lo seguì.

    […]



    “Toshiro, come la volta precedente, non ti porto buone notizie.
    Quantomeno non del tutto.”



    «Raizen Ikigami, voi non mi portate buone notizie dalla volta in cui mi avete detto che non mi avreste mai regalato il buon saké che mi avevate invece promesso! Della bevuta che dovevamo fare insieme, non ho più saputo niente!» Tuonò in risposta Toshiro Kobayashi, guardando con occhi severi l'Hokage. Benché questo detenesse il più importante titolo Shinobi del Fuoco, non poteva avere più di venticinque o ventisei anni... e lui, che ne aveva quarantacinque, era certamente abbastanza più vecchio da permettersi di sgridare quello che gli poteva apparire come un ragazzino. O almeno poteva cercare di provarci: si ammorbidì troppo presto in un sorriso per far credere al suo interlocutore che fosse serio.
    Sedendosi compostamente di fronte all'Hokage, il Sovrano d'Airone fece allontanare tramite Mamoru chiunque si trovasse nell'Ala che ospitava la piccola stanza in cui si trovava con il Colosso. Non si preoccupò di chiedere lui se desiderasse qualcosa per ristorarsi: sapeva che il tempo che avevano a disposizione era probabilmente poco, e visto il tono d'inizio del suo interlocutore doveva supporre che fosse stato meglio renderlo privo di ogni futilità. Raizen era una conoscenza troppo vecchia, nel suo Clan, per dare ancora la possibilità a qualcuno di credere che apprezzasse l'etichetta più di una sincera praticità e una schietta franchezza.
    Per quella ragione, fu proprio ciò che Toshiro Kobayashi non si risparmiò quando fu invitato a rispondere.

    «Mi state chiedendo di dare in sposa mia figlia ad un mafioso?»



    C'erano già stati momenti, in passato, in cui Raizen aveva dovuto fronteggiare l'uomo che si sapeva detenesse la stragrande maggioranza di economia sonante del continente, ma fino ad allora non era ancora arrivato il giorno in cui aveva dovuto sostenere il peso del suo cospetto.
    Alto e dal torace ampio, tipico di chi è cresciuto viaggiando e sottoponendosi a stimoli fisici sempre diversi, Toshiro Kobayashi era un uomo temprato dalla sfida propria di chi rende la vita un'eterna scommessa, di chi gioca con equilibri sin troppo grandi per avere un nome. Con mani ampie, il viso scolpito e una postura dritta, educata in anni di disciplina e rigore tra le migliori mai conosciute, il Capoclan dell'Airone era per la verità –e forse sarebbe stata la prima volta in cui Raizen avrebbe potuto notarlo– un uomo dalla presenza soverchiante. Lo sguardo, di un profondo verde smeraldo, così simile a quello di Shizuka per la risolutezza e fierezza che lo faceva brillare, non si discostò neanche per un istante dall'Hokage.
    Ci volle qualche istante prima che la sua voce si muovesse di nuovo nella sala.
    «Raizen Ikigami, io posso fare molte cose.» Esordì così Toshiro Kobayashi, incorruttibile come una statua di marmo. La sua voce era quella baritona che l'aveva reso famoso, ben lontana dal tono gioviale con cui era solito rivolgersi al Randagio. «...ma costringere mia figlia ad un matrimonio combinato con un criminale, non è tra queste.» Aggiunse, fermo. Poi, però, sorrise ironico. «Tuttavia ho idea che non sia questo il caso...dico bene? Non siete venuto qui per chiedere semplicemente il mio benestare a questa situazione.» Fece presente con molta semplicità, passandosi le mani sul kimono delle ginocchia con lentezza snervante. «In voi vedo del rispetto per me e il mio Clan, Raizen Ikigami, ed è in nome di questo e della fedeltà incondizionata che l'Airone ha sempre offerto al Fuoco che non ho mai contestato le vostre scelte...» Alzò lo sguardo e lo inchiodò in quello cremisi del Colosso. Adesso le praterie delle sue iridi si erano fatte di ghiaccio. Era divenuto inverno, e nessuno lo aveva potuto prevedere. «...ma non trascinerete Shizuka nelle profondità del vostro oblio. Qualunque esso sia.»
    A quel punto tacque. Rimase silente per abbastanza tempo da poter forse suggerire di non aver altro da dire, ma durante quel tempo non smise un solo istante di ticchettare l'indice della mano destra sul dorso nerboruto della sinistra. I tendini erano tesi sotto la carnagione scura.
    Inspirando profondamente qualche volta, quasi a cercare la calma che per un attimo sembrava essersi tradito nel perdere, il Capoclan riprese a parlare solo quando il suo tono di voce fu tornato fermo, e il suo sguardo ebbe riacquistato l'imperturbabilità di un lago immacolato.
    «Shizuka è la cosa più importante che ho.» Ricominciò a parlare piano, e così dicendo si concesse un sorriso. Vi era amore in quell'espressione. Un amore fuori ogni limite e conoscenza. «Mi rendo conto che parlare così può sembrare sciocco per un uomo fortunato come lo sono io: ho il successo, il denaro, una moglie che amo sopra ogni altra cosa, una famiglia numerosa e solida, la benedizione di un Villaggio che rispetto e quella di amici preziosi. Ho tutto ciò che un uomo può desiderare da una sola vita.» Disse Toshiro Kobayashi, chiudendo gli occhi. «...Shizuka, però... lei è...» Parve esitare, come se cercasse le parole giuste, ma alla fine sembrò arrendersi e si mise allora sommessamente a ridere, scuotendo la testa. «E' mia figlia, cosa posso dire di più? Un giorno, Raizen Ikigami, anche voi capirete le mie parole. Quando gli Dei vi benediranno con la nascita di un figlio, capirete ciò che sto dicendovi ora.» Si giustificò l'uomo, riportando gli occhi in quelli del Colosso. «L'amore che provo per Shizuka è totale. E' il mio orgoglio più grande. Ogni volta che la guardo vedo in lei la cosa più bella che sono riuscito a creare da quando sono nato.» Cercò di spiegare. Poi parve farsi pensoso, e quando riprese a parlare aveva cambiato espressione: sembrava ricordare qualcosa accaduto molto, molto tempo prima... «Quando Kuroro tradì, la mia famiglia ne fu distrutta. La precedente amministrazione ci condannò, e non lo fece con il pudore e il riserbo che voi avete adottato, né tantomeno tentando i perseguire la giustizia che voi sperate di ottenere con ogni vostro gesto. L'opinione comune, semplicemente, ci distrusse.» Si mise a braccia conserte, lentamente, e poi annuì piano. Ben presto sul suo volto nacque un breve sorriso. «Al tempo Shizuka si fece carico di tutto: per proteggere tutti noi, per darci ancora un motivo di sperare, cercò di seguire il fratello per riportarlo indietro. Lo fece senza dire niente a nessuno, spaventata di poterci dare ulteriori preoccupazioni. Non ha mai dimostrato nessun cedimento. Anche quando la facemmo imprigionare nel Paese della Terra per proteggerla da Konoha stessa, da ciò che serbava in lei e da un'incognita che non conoscevamo, e lei -testarda e determinata fino all'ultima sua fibra- riuscì a tornare da sola, non ci fece mai colpe. Per noi si è sempre fatta carico di tutto, ha sempre accettato in silenzio. Convinta che l'ignoranza ci avrebbe protetti, non ha neanche mai raccontato niente di ciò che è, di ciò che fa, di ciò per cui è richiesta come Shinobi...» Fece una pausa, poi scosse la testa. «...farebbe così anche stavolta. Per Konoha. Per noi.» Disse a quel punto, e per l'ennesima volta guidò il suo sguardo in quello di Raizen. «Per voi, lei è pronta a morire.» Sentenziò e non ci fu leggerezza in quella frase, che cadde pesante come un macigno sulla coscienza del Randagio. «Se voi le ordinaste di proteggere Konoha da sola, contro un'orda di demoni impazziti, lei lotterebbe perdendo un pezzo dopo l'altro del suo corpo, e quando anche l'ultimo braccio le venisse a mancare continuerebbe a mordere e gridare quanto più forte possibile. Questo è ciò che Shizuka è...ma non devo essere io a dirvelo, non è vero?» Chiese con gentilezza. Voleva sorridere, ma si rese conto di non riuscirvi. «Ogni volta che esce di casa la mattina temo che possa essere l'ultima in cui la vedo. Sua madre, una Jonin consapevole del mondo in cui tutti i ninja si muovono, cerca disperatamente di sposarla per tenerla così a casa... è il suo modo per cercare di proteggerla, si potrebbe dire. Io, del resto, ho sempre creduto che per quanto nobili e famosi tutti noi siamo, una vita trascorsa prigionieri delle proprie paure e della propria casa, non sia una vita ben spesa. Le ho sempre lasciato fare ciò che ha voluto, vegliando da lontano mentre lei credeva di fare il contrario. E nel farlo, ho sempre sperato che voi faceste altrettanto. Ecco perché sono sempre stato felice di sapervi accanto a lei.» Era più sincero di quanto era mai stato, e forse di quanto sarebbe stato mai. La profondità delle tue parole erano un riverbero della risolutezza dei suoi occhi. «Voi siete venuto qui per chiedermi di darvi il permesso di utilizzare Shizuka, come arma e come Shinobi, non per avere il mio benestare a questa circostanza. Nessun uomo che si può definire tale chiederebbe ad un padre di gettare la propria figlia nelle fauci di una possibile morte.» Osservò il Capoclan, sciogliendo l'intreccio delle braccia che posò con stanchezza sulle gambe tese. Le sue mani si strinsero a pugno. «Raizen Ikigami, non posso darvi ciò che volete. Ma posso lasciare la libertà a Shizuka di scegliere cosa fare, e lei accetterà per me e per sé. Per tutti noi.» Disse. La sua voce tremò. «Lasciate allora che io vi chieda un'altra cosa...» Mormorò, chiudendo gli occhi. «...voi la proteggerete? Qualsiasi sia il vostro piano, stavolta, la supporterete senza lasciarla sola?» Lasciò che un minuto di silenzio si impadronisse della sala prima di riprendere a parlare. «Quello che sto chiedendo è se Raizen Ikigami potrà proteggere mia figlia, giacché lei accetterà di combattere per lui, e io, che sono nient'altro che un povero civile, incapace delle basi più elementari dell'arte ninja che voi praticate, non posso far altro che vivere nella disperazione, accettando questa verità come si può accettare il giorno della propria morte. E dunque, qui e ora, vi chiedo di riportarmela indietro.» E a quel punto, in modo del tutto inaspettato, si inchinò profondamente. La sua testa si abbassò talmente tanto da toccare il tatami sul quale i due uomini sedevano, mentre le mani si aprivano, premendosi al suolo sino a sbiancare. «Io vi affido mia figlia, vi concedo il suo futuro e la sua vita... voi potete affermare di riuscire a riportarla da me, viva e sana?»

    E cadde il silenzio.


    Edited by Arashi Hime - 29/10/2015, 12:50
     
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