L'airone dalle ali rosse

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    THE HERON PRINCESS

    A princess is destined to be a queen.
    Think like a queen. A queen is not afraid to fail.
    Failure is another steppingstone to greatness.




    Toshiro Kobayashi era un uomo che aveva vissuto una vita al limite di ogni aspettativa.
    Nato come giovane Signore di uno dei Clan più potenti del continente, era stato educato alla corte del Daimyo della Magnolia e del Dragone, aveva seduto ai più importanti banchetti conosciuti, goduto delle danze delle Principesse più bramate e riso delle osservazioni degli uomini di potere più influenti, oscillando sempre sulla delicata bilancia dell'enormità senza mai perdere l'equilibrio... eppure, mai come in quel momento, aveva sentito la ricchezza e l'influenza che lo rivestivano gravare su di lui come un macigno.
    Improvvisamente il pregiato Haori verde smeraldo che contraddistingueva da centinaia di anni il Capoclan dell'Airone arse le sue spalle tese, costringendolo ad abbassare la testa e a chiudere gli occhi in un'espressione sofferta.
    Non avrebbe voluto denotare quel genere di debolezza di fronte a Raizen Ikigami, come Signore per l'onore che sapeva di dover dimostrare a nome della sua Dinastia, e come uomo per rispettare la decisione di chi sapeva di poter credere come era solito credere a se stesso... eppure...

    […] Erano passati quasi cinque anni da quando, in una mattina di primavera acerba, Shizuka si era alzata contro il volere di tutta la famiglia e aveva deciso di diventare Shinobi.
    Al tempo, sciocca bambina vanitosa, aveva iniziato per poter dimostrare che non era inferiore a suo fratello, per far vedere quanto fosse brava anche in quel campo... ben presto, però, il più grande incubo di ogni Kobayashi si era rivelato concreto e vibrante, esplodendo nel vero potenziale che solo chi possiede sangue Uchiha può ruggire a gran voce. E da quel momento lei aveva preso ad allontanarsi sempre di più, rendendo solidi i passi iniziali malfermi, alzando lo sguardo con ardore da dove un tempo era piegato...
    ...e lui, fermo in quel posto riservato a chi non ha le capacità né il modo per alzarsi e cominciare a camminare in quella parte di realtà riservata a pochi, non aveva potuto far altro che guardare le sue spalle andare via, farsi più forti, più potenti. Ma più distanti.
    Da lui. Da tutti.

    Avrebbe mentito se avesse detto che aveva auspicato quel futuro, per lei.

    Quando era nata, piccolo fagottino dai grandi occhioni verdi e il viso tondo e paffuto, arrossato da quei piagnistei lamentosi che l'avrebbero contraddistinta per molto tempo oltre l'infanzia, in quell'eccezionale capacità di imporsi sempre e comunque, Toshiro aveva pensato che fosse la cosa più bella che avesse mai visto. Più bella persino di sua moglie (ma questo si era trattenuto dal dirlo, la maternità aveva reso Heiko più irritabile del solito e mai come nei mesi che avevano preceduto la nascita della loro piccola aveva rischiato di rimetterci la pelle).
    Aveva sognato per lei grandi cose, incredibili avventure e stupendi incontri, che non si era mai stancato di raccontarle, tenendola in braccio mentre passeggiava per i giardini della Magione.
    Sarebbe diventata la più famosa e amata Principessa del Paese del Fuoco. Sarebbe stata cresciuta presso la corte reale del Daimyo, come ogni erede Kobayashi prima di lei, viaggiato a dorso dei più bei cavalli mai veduti, indossando i più splendidi vestiti che la mente umana avrebbe mai pensato potessero esistere. La sua risata sarebbe stata il motivo per cui il sole sarebbe sorto la mattina, e le sue lacrime avrebbero anticipato un cielo in tempesta con coltri di nubi cariche della disperazione che lei provava.
    Oh, Shizuka...la sua piccola Shizuka...
    “Splendido e ammaliante fiore” significava il suo nome. Aveva scelto gli ideogrammi personalmente, ridendo con Heiko della possibilità che l'Erede dell'Airone non avrebbe mai potuto essere solamente “silenziosa”. No, non lei.
    Lei sarebbe stata Tempesta e Fuoco ardente. Pioggia durante la siccità. Sole attraverso il monsone. Ecco cosa sarebbe stata, la sua bambina. La sua preziosa, piccola Principessa.
    Prima che venisse al mondo aveva ricamato il suo nome su tutte le sue copertine di pura seta rosa e panna, perché il guardarlo gli procurava gioia, e ogni giorno da quello della nascita di lei aveva aperto gli occhi chiamandola, assaporando il suono che quella sola parola rimandava alle sue orecchie e come un profumo delizioso lo induceva a sorridere, alzandosi con una sempre rinnovata felicità.
    Ogni giorno era sempre un miracolo, una benedizione, perché Shizuka era viva ed era con lui.

    Shizuka, la sua bambina, il suo amore più grande...
    ...la sua unica, amata e desiderata figlia.

    Non c'erano parole adatte per spiegare la tonalità del suo amore per lei. Era un punto di colore troppo oltre quello del più bello degli arcobaleni, troppo alto per essere veduto da occhio umano, e forse –così aveva pensato più volte– solo gli Dei avrebbero potuto goderne.
    Non esistevano limiti all'amore che un padre poteva nutrire per la propria bambina, così si diceva, ma lui, stupido come aveva infine capito di essere sempre stato, lo aveva davvero compreso solo quando i suoi occhi si erano legati per la prima volta a quelli di lei.
    E lei, socchiudendo stancamente i suoi, quella volta aveva sorriso beata, muovendo la boccuccia con tenerezza infantile. Le manine protese in avanti, si erano aperte e chiuse nel tentativo di acchiappare chissà cosa. Qualcosa di splendido, che solo lei vedeva.
    ...Cosa voleva dirgli? Cosa stava cercando di comunicare?

    Oh splendore, mia preziosa figlia, sarò io a parlare per te quando ti mancheranno le parole.
    Io ti supporterò, camminerò al tuo fianco e poi dietro le tue spalle.
    Renderò forte il tuo passo. Salda la tua voce. Fiero il tuo sguardo.
    Ti osserverò e seguirò fino a quando non sarai in grado di camminare da sola, fino a quando non troverai un uomo che possa stare accanto a te come, a quel punto, io non potrò più fare...

    La mia piccola, piccolissima, Principessa.

    «Sono capace di proteggere il mio Clan, Raizen Ikigami.»
    Le parole di Toshiro Kobayashi ritornarono a farsi sentire lentamente. Il volto del Capoclan, adesso, perso in un ricordo lontano, troppo perché l'Hokage potesse indovinarlo, esitavano su qualcosa tra le sue braccia, con tenerezza. Quando però il volto si alzò, quell'espressione di dolce nostalgia stava già svanendo. Al suo posto, era di nuovo tornato il Sovrano dell'Airone.
    «In tutti questi anni l'unica cosa che ha calmato i miei dubbi, le domande senza risposta e la paura sorda e scura, seduta in quella parte dell'animo che un uomo non vorrebbe mai scoprire di possedere, era il sapervi accanto a lei.» Disse con voce ferma. I suoi occhi si incatenarono a quelli della Volpe e lì rimasero, solidi. «Vi chiamavano “il Randagio”, al tempo, e si vociferava che foste il più terribile tra gli Shinobi di Konoha. Ma anche uno dei più potenti.» Ricordò il Signore. Quelle parole sembrarono stuzzicare in lui un sorrisetto conteso tra ironia e malizia. «Ai miei occhi, però, non siete mai stato nient'altro che una persona abbastanza affezionata a mia figlia da sfidare il mio Clan e quello di mia moglie, pur di avere ragione di salvarla da un futuro che non sarebbe forse stato così luminoso, senza di voi.» Socchiuse l'occhio sinistro, increspando la bocca in una smorfia divertita. Non aveva mai scordato i debiti verso Raizen, e in quel momento lo rese evidente. «Siete stato testardamente presente in tutti questi anni, e benché possa avervi avuto inizialmente in antipatia, giacché nessun padre può desiderare che la sua preziosa erede si accompagni ad un uomo senza lumi né trascorsi, ho ben presto capito che se Shizuka può nutrire adesso la possibilità di diventare la “luce” di Konoha, è anche grazie a ciò che voi avete fatto per lei.» Si rassegnò a quelle parole, come se averle dette fosse estremamente complicato ma, dopotutto, dovuto. A quel punto, piegandosi leggermente in avanti, batté con delicatezza, e per tre volte, le punte delle dita sul pavimento di legno. «Qualunque cosa voi abbiate fatto, continuate a farlo. Proteggete Shizuka e non curatevi del resto. Sono ancora abbastanza potente da poter assicurare l'incolumità del mio sangue.»
    Erano intercorsi appena una manciata di secondi dal momento in cui Toshiro aveva battuto la mano a terra, quando improvvisamente da dietro la porta scorrevole di riso risuonò una voce: quella di Mamoru Aoki.
    Benché il Signore della Magione non avrebbe capito, per l'ennesima volta in così tanti anni, come il suo attende avesse potuto arrivare in modo così celere, stavolta Raizen, affinando i sensi, se ne sarebbe potuto rendere conto. E lentamente, di fronte a lui, le capacità degli Aoki avrebbero cominciato a prendere una forma.
    «Mio Signore.» Disse il Kumori del Capoclan, con voce rispettosamente bassa. «Come posso servirvi?»
    «Fa chiamare Shizuka.»
    Rispose Toshiro Kobayashi, senza distogliere lo sguardo da quello di Raizen. «Pare che debba presenziare anche lei.»
    «Kashikomarimashita.»
    E poi, cadde nuovamente il silenzio.

    [...]



    Shizuka indossava un paio di pantaloni neri e un'ampia maglia color dei girasoli, quando entrò. I capelli sciolti e l'assenza di trucco, come del resto il libro che teneva sotto braccio e gli occhiali da lettura stretti tra le dita, segnalavano come fino ad un momento prima fosse rimasta placidamente a riposare. Se era tesa, non lo diede a vedere.
    «Oh!» Esclamò improvvisamente la Principessa, quando i suoi occhi caddero su Raizen. Parve farsi stupita. «Hai i capelli tutti neri, adesso.» Osservò incuriosita. «Finalmente ti sei fatto la tinta! Quella ricrescita non si poteva vedere, lo giuro.» Borbottò, chiudendo la porta di riso dietro di sé. «Stai bene, adesso sei davvero bello.» Concluse infine con semplicità... prima che qualcosa la colpisse dietro le ginocchia e quasi la facesse cadere carponi sul tatami.
    «Ti sei messa a fare apprezzamenti anche sull'Hokage, ora?» Abbaiò Toshiro Kobayashi, alzando con aria minacciosa il taglio della mano destra con cui aveva colpito la figlia. Sorrise, brillante, facendosi poi offeso e cupo nel girarsi a fissare male Raizen che sembrava sul punto di colpire con lo stesso temibilissimo attacco. Sul viso, però.
    Per tutta risposta Shizuka, inginocchiandosi a terra con eleganza, afferrò la punta delle mani del padre e le piegò di scatto all'indietro, sorridendo. Il Capoclan gemette, portandosi la mano libera al viso, mentre i suoi occhi si riempivano di lacrime di dolore.
    «...Ho già detto che stai diventando terribilmente simile a tua mad–...» L'ulteriore piegatura delle sue povere dita in frantumi lo fece desistere dal terminare la frase.
    «Dunque, qual è il problema stavolta?» Chiese senza scomporsi la Chunin. Lasciò la presa, concentrandosi sulla Volpe, la quale le spiegò rapidamente tutta la faccenda, offrendole poi una foto che lei prese tra indice e pollice della sinistra con un vago sospetto.
    L'uomo che vi era raffigurato era un ragazzo che non poteva avere più di ventitré o ventiquattro anni: i corti capelli color dell'argento cinereo sembravano destinati a non avere mai una piega corretta e gli affilati occhi castani, venati di riverberi cremisi, conferivano lui l'aspetto di un fiore di marmo delle lande dell'estremo nord. Forte, ma delicato. Intrigante, ma splendidamente sereno.
    «Non male... è affascinante... diciamo, bello, ecco...» Commentò Shizuka, incerta. Non sapeva precisamente cosa dire. Senza dubbio era un bell'uomo, ma sperò bene che Raizen non fosse venuto lì per presentarglielo. Fissando però il Jonin in faccia per qualche istante non ne fu più molto convinta.

    “Ricordi i Kurogane?”



    La sua famiglia era agli arresti domiciliari da due settimane per colpa dei Kurogane, e lui le chiedeva se ricordava chi fossero...?
    A quanto pareva i capelli neri lo avevano reso bello. Ma stupido.

    “Lui è il loro figlio maggiore, l’erede.
    Il tuo compito è fingere di amarlo.
    Sai capace di mantenere la copertura?”



    Stupore. Ecco cosa si materializzò sul suo viso. Semplice e forte stupore.
    Al suo fianco, nell'osservare quell'espressione, Toshiro abbassava lentamente la testa e raccoglieva pazientemente le mani in grembo. La sua bocca non parlava, ma il suo viso lo faceva per lui, e in modo più eloquente di quanto avrebbe voluto.
    «Posso fingere molte cose.» Mormorò la Principessa, esitando. «Ma non sono sicura di...»

    Amore.
    Non era mai stata innamorata, e nessuno le aveva mai insegnato a simularlo. Non ne aveva mai avuto bisogno, del resto.
    Come infiltrata era stata addestrata a cambiare ogni veste e ogni personalità, come accompagnatrice a cantare, danzare e sedurre... ma simulare l'amore per un uomo, precisamente, come si faceva?
    Alzò per qualche istante gli occhi al soffitto, pensierosa. Non aveva mai amato nessun uomo nel modo in cui le veniva chiesto di fare in quel momento, e ciò che poteva avvicinarsi di più a quel sentimento era il legame che la stringeva a Raizen stesso e, dopotutto, anche ad Atasuke.
    Era però abbastanza sicura che quello non fosse amore, cioè, non di quel tipo –o almeno sperò mentre si grattava la testa in modo perplesso–, del resto quando l'Uchiha si era dichiarato, qualche mese prima, lei si era limitata a rimanerne stupita. Stupita e basta. Anche un pò indisposta, per la verità, giacché non le risultava fosse prassi comune fare scenate in casa altrui. Insomma, quale che fosse stato il caso, c'era comunque una bella differenza rispetto a quello che le aveva confessato Momoko Yamanaka, una delle sue migliori amiche, che di fronte alla dichiarazione del suo attuale fidanzato, un simpatico Chunin con la passione per le bombe ad orologeria, era esplosa (evitò di ridere per quella scelta di parole) di felicità, poi di paura, poi di nuovo di gioia, e infine si era strutta in un pianto senza fine, accettando a gran voce quell'amore corrisposto... o qualcosa del genere. Non aveva ben capito la dinamica, ad essere onesta.
    Sospirò, guardando in silenzio la foto che teneva tra le dita: l'Erede dei Kurogane, eh...?
    Immaginò di doverlo odiare visto ciò che la sua famiglia aveva fatto, ma per quanto si sforzasse di fissare quel volto non vedeva in esso niente che potesse stimolarla a riuscirci. L'espressione di lui, accigliata e testarda, sembrava quella di un ragazzino dalla testa dura come la roccia, ma dopotutto abbastanza sensibile da cercare di accennare ad un sorriso per l'occasione. Un sorriso che le sembrò quasi timido.
    Chiuse gli occhi, raccogliendosi in sé stessa e cercando di pensare: doveva raccogliere informazioni, osservare le coppie disseminate per Konoha, simulare le espressioni del volto, la gestualità del corpo -anche quella involontaria-, il timbro di voce, le situazioni più ricorrenti... niente di diverso da quanto aveva fatto fino a quel momento per altre coperture, insomma.
    «Mi servirà del tempo.» Disse infine la ragazza, riaprendo lentamente gli occhi e portandoli in quelli di Raizen. «Conosco l'amore, non quello per un uomo, ma penso che quello che provo per te e per gli altri, per Konoha e la mia famiglia, sia vicino al concetto: il desiderio di proteggere, di camminare al fianco, di stare sempre insieme. Eccetera, eccetera, eccetera.» Tagliò corto, rovinando così l'effetto della frase toccante per poi grattarsi la punta del naso. Suo padre, al suo fianco, non poté fare a meno di accennare ad un sorriso che sembrava quasi divertito. «Posso farlo, Raizen.» Sentenziò alla fine la Principessa. E quel sorriso di poco prima, svanì. «Spiegami bene cosa avevi in mente, ma sappi che dovrò provare ad incontrare questa persona. Devo poterla studiare. Siamo entrambi della Foglia, perciò non avrò difficoltà a tessere alcuni “incontri casuali”.» Fece presente. «Dammi almeno...» Guardò fuori dalla finestra socchiusa della piccola stanza, e rifletté per un istante. «Due mesi. Posso organizzare, gestire le voci e le informazioni ed essere pronta a qualsiasi infiltrazione di questo calibro entro l'autunno.» Constatò, facendo un rapido calcolo di tutte le costanti. Sorrise, reclinando leggermente la testa di lato: le sue stime difficilmente sbagliavano, e Raizen questo lo sapeva. «Ovviamente, però, con le dovute accortezze per me e la mia famiglia.» Riprese a parlare la Principessa, e a quelle parole Toshiro Kobayashi alzò la testa di scatto, girandosi a guardarla. Fece per intervenire, ma lei alzò una mano e incredibilmente riuscì a mettere a tacere il padre. «Voglio l'Airone il più possibile fuori da questa faccenda. E voglio poter cancellare la memoria di mio padre, perché se questi Kurogane, di cui ignoro le capacità ma che dubito essere cuccioli di primo pelo, indaghino la sua mente, non vi trovino dentro alcun riscontro. In questo modo non correrà alcun pericolo anche nel caso io dovessi fallire. Ovviamente traccerò la mente di tutti gli altri della Magione, per constatare allo stesso modo se qualcosa è per puro errore filtrato fuori da questa stanza. Ne dubito, ma sai quanto io sia pignola in questi casi.» Disse, sporgendosi a quel punto in avanti e posando una mano fra lei e Raizen. «Trattiamo, grande Hokage: avrai da me tutto ciò che desideri, la mia mente e il mio corpo –vivo o morto che sia–, la mia devozione e le mie poche abilità, ma la mia famiglia deve uscirne pulita. E su questo non intendo cedere.»

    Toshiro Kobayashi avrebbe mentito se avesse detto che aveva auspicato il futuro della Shinobi, per sua figlia.
    Ma in quel momento, per un istante, la vide con occhi nuovi. E la constatazione non poté che fargli aprire la bocca, con stupore.
    E immenso orgoglio.
     
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