Karyuuken, L'Inaugurazione

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    FIANCÉE

    Two souls, one heart. And a lots of problems.




    «Vorrei che questa giornata iniziasse in modo piacevole.»



    Seduto nel grande Salone in stile tradizionale della sua Magione, Toshiro Kobayashi, il Signore dell'Airone e una delle più potenti personalità del Fuoco, conosciuto e apprezzato per il suo carattere fermo e l'intelligenza senza pari, annuì seriamente. I suoi profondi occhi verdi, socchiusi in un'espressione di pura integrità, per un istante brillarono di emozione. «Ed ecco perché devi indossare queste.» Ordinò con il tono di voce di chi è abituato a impartire comandi. Senza esitazione tirò fuori dalla manica del suo ampio e riccamente decorato Haori verde smeraldo, lo stesso che identificava di generazione in generazione il Capoclan dei Kobayashi, un paio di orecchie da gatto e una coda abbinata. Entrambi erano lanugginosi e neri, proprio come quelli di un cucciolo. «No, aspetta. Prima che tu possa rifiutarti di farlo, sappi questo.» Tuonò l'uomo, alzando una mano di fronte a sé per poi scuotere la testa in modo severo. «Se le indosserai, sono certo che Masaki ne sarà felicissimo. Lo dico con certezza perché quando gli ho spedito di nascosto la tua foto da bambina, quella che scattai l'anno in cui andammo alla Festa delle Anime al Paese del Thè, e tu eri vestita da koneko-chan; mi ha fatto spedire di rimando una bottiglia di pregiatissimo sakè e quindi ritengo ch–...»
    ...Ma non terminò la frase. Improvvisamente due piccole e affusolate mani si chiusero come una tagliola attorno al suo collo mentre, come per magia, un leggio di legno intarsiato attraversava orizzontalmente la Sala, collidendo con la sua testa con un forte “stock”...che tutti i presenti furono pronti a giurare suonò a vuoto.
    «Cosa hai osato fare?» Sussurrò una voce femminile, mentre l'ombra di una creatura mostruosa si alzava in piedi dal posto inginocchiato di fronte al Capoclan. «Cosa hai osato fare...?»
    «Fermati, figlia mia!»
    Strillò di rimando Toshiro Kobayashi, con gli occhi pieni di lacrime. Alle sue spalle, la figura scura e tremante di uno spirito della morte scivolò troppo vicino alla sua testa per sembrare una coincidenza... «L'HO FATTO PENSANDO CHE GLI AVREBBE FATTO PIACE–...»
    Ma anche stavolta non finì la frase. Qualcosa infatti gli afferrò la nuca, sollevandolo leggermente dal tatami verde salvia su cui cercava ancora di mantenersi composto, e per un attimo lui, sudando copiosamente, provò ad abbozzare un sorriso. Purtroppo, però, era pallido come un cadavere.
    «Tu vuoi rovinare il matrimonio di nostra figlia, bestia senza criterio.» Mormorò la figura alle spalle del Signore dell'Airone. Gli occhi, coperti da una lunghissima cascata di vellutati capelli corvini, brillarono di un rosso intenso di fronte al quale la seconda figura, poc'anzi intenta allo strangolamento, si girò di scatto. Stava sudando pure lei. «Ti ucciderò prima che tu possa riuscirci. Questa volta ti ucciderò davvero.» E così dicendo girò lentamente la testa dell'uomo verso di sé. Per tutta risposta egli si mise le mani sugli occhi, sorridendo.
    «Heiko, amore mio. Tu sei una donna troppo apprensiva. Come puoi pensare che io voglia rovinare il matrimonio della mia unica erede con quell'indegno e screanzato ladro di figlie?» Chiese Toshiro Kobayashi in modo amorevole. «Non ti vedo, ora, ma posso giurare che hai delle rughe in tutta la faccia.... eeeh, Heiko cara, luce mia, sai è così che si diventa vecch–...» Il tonfo che interruppe la sua frase echeggiò in tutte le stanze del palazzo.

    […] Quel giorno sarebbe stato detto dalle numerose domestiche e i tanti garzoni di Magione Kobayashi, il più potente e ricco Clan di tutte le Terre del Fuoco, che qualcosa volò nel cielo.
    Un airone, furono pronti a giurare in molti.
    Un drago, dissero altri.
    ...Qualunque cosa fosse, comunque, il Capoclan avrebbe passato il resto della giornata a letto, accusando di avere tutte le ossa del corpo rotte e fosse dunque in procinto di morire.
    Sua moglie, per tutta risposta, fece chiamare un prete Shintoista per l'estrema unzione e diede ordine a tre carpentieri di costruire un altarino mortuario in giardino.
    Dovettero fermarla in tre.

    «Non capisco perché vi siete arrabbiata così tanto, Ojou-sama.» Chiese una donna alta dai corti capelli rosso fuoco e due grandi occhi blu oltremare. Indossava un kimono completamente nero, aderente alla sua figura snella come una seconda pelle e, con lo sguardo perplesso di chi non è certo di voler prendere in considerazione una certa faccenda, seguiva un'altra donna, al contrario di lei riccamente vestita, la quale stava camminando a passo spedito lungo i porticati di legno lucido della grande Villa di cui era Principessa e unica Erede. Il suo volto era di una tonalità di rosso che ricordava i peperoncini Habanero.
    «Ritsuko, sei diventata sorda, forse?!» Ringhiò Shizuka Kobayashi, avvampando se possibile ancora di più. «Ha mandato quella foto a Masaki! Quanti anni avrò avuto?! Sei, sette...» Balbettò, paonazza.
    «Ne avevate cinque e mezzo.» Puntualizzò Ritsuko Aoki, sorridendo. Come sempre non dimenticava un solo secondo della vita della sua padrona, la donna per cui era nata e alla quale aveva devoluto tutta la sua vita. «Ed eravate molto graziosa.» Aggiunse, arrossendo nel portarsi una mano al volto incantato dal ricordo stampato a fuoco nella sua mente. Era estasiata.
    «Oh, gli Dei ti perdonino, Ritsuko, non è questo il punto...» Bofonchiò la Principessa, svoltando rapidamente l'ennesimo angolo. Attraversò a passo spedito un incrocio a quattro sbocchi, tutti indirizzati verso quattro corridoi diversi, camminando sul pavimento in legno che recava il dipinto di una rosa del vento dall'aspetto piuttosto antico. Senza esitazione imboccò il corridoio che dava accesso all'Ala Est. «Masaki non dovrebbe vedere quelle foto! Non le ha mai viste nessuno!» Gemette con voce rotta.
    «E' il vostro fidanzato.» Osservò puntualmente la Kumori, inarcando un sopracciglio. Pronunciare quella frase sembrava esser stato piuttosto ostico e aveva difatti imposto lei un'espressione irritata. E invidiosa. «In ogni caso vi sposerete questo inverno, dico bene? Passerete il resto della vostra vita insieme, Principessa. Lui verrà comunque a conoscenza di ogni lato scabroso della vostra vita. Anche degli orsacchiotti che nascondete nella camera comunicante alla vostra perché non vi piace dormire da sola.» Commentò sardonica, alzando i palmi delle mani verso l'alto e sospirando poi sonoramente. Per tutta risposta l'altra, bloccandosi di scatto, impallidì come un cadavere.
    Dannazione, a quello non aveva riflettuto... ma era vero! Sarebbe proprio finita così: Masaki Kurogane avrebbe scoperto tutto, di lei!
    Che la loro relazione fosse una recita, più o meno, poco importava. Quell'uomo avrebbe comunque avuto accesso ad ogni cosa la riguardasse, ad ogni antro problematico del suo carattere, e ad ogni sua debolezza. Avrebbe scoperto che aveva appiccicato i poster di quel cantante del Paese dei Demoni nel suo laboratorio, che era solita sfogliare le riviste dal fondo e a bere da baratolli anziché dalle tazzine di porcellana, che mangiava schifezze distesa per terra, che scendeva dal futon sempre con il piede destro e che odiava le cose viscide e disgustose come gli insetti o i vermi, a cui preferiva di gran lunga i cuccioli piccoli e teneri.
    Portandosi entrambe le mani alla testa, Shizuka Kobayashi aprì la bocca in un urlo muto: quell'uomo avrebbe avuto la possibilità di distruggere l'immagine a cui aveva lavorato per tutti quegli anni!
    Oh no, che ne sarebbe stato, di lei? Della donna forte e senza macchia che si affiancava all'Hokage, di cui era l'ombra (o qualcosa del genere)?!
    ...Era già pronta a pugnalarsi alla giugulare con uno spillone per capelli quando improvvisamente una domestica girò un angolo, trafelata, protendendo le braccia verso di lei. Sembrava stanca come se avesse corso per giorni.
    «Scusatemi, ho cercato di raggiungervi, ma eravate troppo svelta.» Sussurrò in un fischietto la domestica, dopo che si fu ripresa abbastanza da non blaterare parole incomprensibili e per lo più masticate. «Mi dispiace disturbarvi, mia Signora, ma una missiva è stata recapitata per voi...» E così dicendo estrasse dalla tasca del grembiule del suo kimono puntinato, in modo invero assai incerto, una busta chiusa con ceralacca. «Non sapevo se dirvelo o meno... voglio dire, mia Signora.... il mittente è Atasuke Uchiha e io non...» Tentennò, lanciando uno sguardo di sottecchi alla Principessa del Fuoco. «Dopo quello che ci avevate detto, io...» Ma lasciò la frase in sospeso, non sapendo evidentemente se poteva o meno permettersi di continuare.
    Ferma al suo posto Shizuka Kobayashi guardò in silenzio Miwa, una delle sue domestiche più giovani, e sorridendo lei con dolcezza prese la lettera dalle sue mani, inchinandosi e ringraziando. Aveva supposto che prima o poi qualcosa del genere sarebbe capitato, e non avrebbe accusato le sue attendenti per il dubbio che era ovvio avrebbero denotato.
    Il giorno in cui aveva fatto rendere noto a Konoha che stava “incontrando ufficialmente Masaki Kurogane, unico Erede e Rampollo del Clan di Ferro” aveva dato ordine ai servi della sua Magione di rispedire indietro ogni lettera o attendente delle Dinastie dei suoi altri pretendenti. Aveva calcato particolarmente l'ordine per quanto atteneva ad Akihiko Murasaki, il figlio del Daimyo –che conosceva abbastanza bene da immaginarselo arrivare di persona alle porte di Konoha quando fosse venuto a conoscenza della notizia– e ad Atasuke Uchiha –abbastanza folle da fare chissà quale azzardo, cosa che gli avrebbe impedito a costo di fargli saltare personalmente la testa– ...e così, da quel giorno, nessun uomo si era più avvicinato a lei. Se non Masaki.
    Guardando la lettera che teneva in mano, la Principessa chiuse gli occhi, sospirando.
    Atasuke era un amico, lo era sempre stato, una persona a cui teneva sopra a molte altre. Era suo compagno, suo alleato, uno dei pochi che aveva creduto in lei quando nessun altro lo aveva fatto. Suo malgrado, dunque, non era riuscita ad impedirsi di salutarlo quando lo incontrava. E in quel caso non fu in grado di rimandare indietro la lettera.
    «E' una pessima idea, Ojou-sama.» Ruggì immediatamente Ritsuko Aoki, quando ebbe allontanato con un gesto secco della mano la domestica da lì. «Se Masaki Kurogane-sama verrà a saperlo potete ben scommettere che...»
    «Masaki verrà a saperlo comunque, o pensi forse che potrei nascondere lui qualcosa?»
    Rispose la Principessa, guardando di sbieco la sua Kumori. Fu più sincera di quello che si era immaginata.
    «Atasuke Uchiha... quell'animale sarebbe pronto a tutto pur di farvi lasciare con il nobile Kurogane!» E Shizuka, alzando gli occhi al cielo nell'avviarsi verso le sue stanze, rise tra sé e sé di come Masaki fosse improvvisamente diventato “nobile” se posto a confronto di Atasuke. Povero amico suo, godeva proprio di una brutta reputazione nella sua famiglia...
    «Masaki è il mio fidanzato e sono innamorata di lui, Ritsuko. Non sono solita tradire le persone che amo. Lui avrà la mia fedeltà, e l'avrà per sempre.» E così dicendo sedette al suo scrittoio, aprendo la busta e leggendo la missiva.
    Pile di libri erano accatastate ovunque, sormontate da rotoli antichi, tomi di medicina e un'infinità di scartoffie che recavano il timbro dell'amministrazione e dell'ospedale di Konoha. Lei, però, parve non avere difficoltà a trovare il suo set da lettere in mezzo a quel caos, e lo rinvenne infatti a colpo sicuro da sotto due pacchetti di snack al wasabi e uno di caramelle al thè verde.
    Prendendo uno dei bei fogli di filigrana d'oro e un calamaio a forma di airone, la Principessa scrisse una lunga lettera. O almeno ci provò. In effetti accartocciò più volte il foglio, e solo al quarto tentativo parve soddisfatta del risultato. Chiudendo dunque la busta e firmandola con il suo nome, appose il timbro del suo Clan con cera rossa bollente, e porse tutto a Ritsuko perché la consegnasse nelle mani di Masaki Kurogane in persona. A niente valsero le domande della Kumori sul contenuto della lettera, ma quando ella tornò qualche ora dopo, recava già con sé la risposta dell'Erede del Ferro...
    ...che Shizuka lesse subito, con un gomito posato sul suo scrittoio e un mikado al cioccolato in bocca.
    Quando ebbe terminato, la Principessa non poté fare a meno di sorridere, chiudendo gli occhi.
    Per essere una recita, era comunque sempre e puntualmente molto dolce, con lei...

    […]



    Il giorno dell'inaugurazione, i Kobayashi arrivarono come sempre in pompa magna. Non che qualcuno si aspettasse di meno, del resto se anche avessero indossato qualche straccio e un paio di zoccoli di legno marcio, sarebbero riusciti comunque a spiccare fra tutti i presenti.
    Quella era la condanna, e allo stesso tempo il privilegio, di essere una Dinastia di grandi Signori, si diceva.
    Heiko e Toshiro Kobayashi, braccio intrecciato e sguardo fiero puntato in avanti, camminavano in testa: entrambi indossavano ricchi kimono di broccato, ricamati secondo fantasie autunnali che richiamavano la stagione in corso come la tradizione voleva, e si muovevano di una sicurezza e un'eleganza rara da vedere persino alla corte del Daimyo, simile a quella di creature antiche la cui leggenda era da molto tempo perduta...
    Dietro a loro, due figure vestite di kimono completamente neri, un uomo e una donna di circa una quarantina d'anni, camminavano affiancando i rispettivi Padroni, di cui sorvegliavano la persona con occhi acuti e fini. Gli stessi che Ritsuko Aoki non allontanava dalla sua Principessa: Shizuka.
    Lei camminava molto indietro rispetto ai genitori, e di tanto in tanto lanciava sguardi a destra a sinistra, cercando forse di trovare qualcosa o qualcuno tra la folla della Via di Konoha che portava al Dojo Karyuuken.
    Quel giorno indossava uno splendido kimono rosso fuoco, ricamato di una fantasia di foglie di acero giapponese che, danzando in un vento di perle rosee, scendevano fino ai suoi geta laccati alti quattro dita. Il ricco obi color dell'oro, bloccato in vita da un nastro chiaro recante una spilla a forma di magnolia, avvolgeva la vita della ragazza, risaltandone le forme generose e seducenti, e terminando poi in un fiocco sulla schiena, elegantemente intrecciato di spilloni di puro oro.
    Qualche ciocca dei lunghi e lisci capelli castani della Principessa ricadevano scompigliati sull'abito tradizionale, liberandosi dal morbido raccolto adagiato su di una spalla di lei, e non mancavano di solleticarle il volto, un ovale dalla carnagione rosea in cui spiccavano profondi occhi verde smeraldo e una bocca carnosa e rubiconda che lei non smetteva di mordicchiarsi, ansiosa.
    Lisciandosi per l'ennesima volta l'haori di broccato sulle spalle, Shizuka deglutì, guardandosi intorno. Era leggermente truccata, come si conveniva ad un incontro formale, ma era nervosa come se stesse per presenziare a chissà quale ricevimento di corte. In mano stringeva una lettera, ormai logora.
    «E' sicuramente scappato a Genosha.» Disse improvvisamente Ritsuko Aoki, rompendo il silenzio teso che si era venuto a creare tra lei e la sua Padrona da quando entrambe avevano imboccato la strada principale del Villaggio. Visto che Shizuka per poco non si ruppe l'osso del collo da quanto veloce si girò, la Kumori ritrattò immediatamente. «Sto scherzando, ovviamente. Quel povero pazzo è innamorato di voi più di quanto voi lo siete di lui. Cos'è, non avete visto come vi guarda?» Chiese, facendo una smorfia in cui mostrò la lingua. In effetti sembrava davvero schifata.
    «Dovremmo incontrarci di fronte al Dojo, ha scritto che verrà con me.» Ripeté per la cinquantaduesima volta l'Erede (erano state contate, ovviamente). «...Ma siamo arrivati, ormai, e lui non c'è. Credi che mi abbia dato mentito?» Gemette ancora, guardando l'insegna del Dojo di Atasuke che ormai incombeva su di lei e dal cui interno arrivava il chiacchericcio di diversi invitati. Da davanti, suo padre si girò a guardarla, perplesso: nemmeno lui lo vedeva (quello screanzato ruba figlie che avrebbe fatto annegare nel suo laghetto di carpe Koi presto. Molto presto.)
    «Arriverà.» Rispose la Kumori, piccata. «E poi morirà.»

    E quella, più che una minaccia sembrava un annuncio.
    ...Vedendo lo sguardo baldanzoso di Toshiro Kobayashi, quello furioso di Ritsuko Aoki e quello oltremodo pretenzioso di Heiko Uchiha, però, niente si sarebbe rivelato più corretto.
    Povero, povero Masaki... non sapeva cosa lo aspettava.
     
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