Aka Kekkonshiki

[Quest di Villaggio, grado A]

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  1. Arashi Hime
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    TOXIC

    Power is domination, control, and therefore a very selective form of truth which is a lie.



    Shizuka Kobayashi era una donna dal forte auto-controllo. Il suo equilibrio era perfetto e non presentava pecca. Dapprima come Principessa e in seguito come Kunoichi, l’Erede dell’Airone si era infatti sempre distinta per la sua capacità innegabile di camminare sul filo del discernimento. Impossibile il contrario, per chi come lei era il perno di una bilancia dai piatti troppo ampi per essere considerati solo “propri”, la pudicizia della misura era una dote senza pari…
    …ma quella volta dovette mordersi amaramente l’interno della bocca per impedire alle sue mani di muoversi istintivamente in avanti.

    La missione.
    Doveva tenere a mente solo quella.
    Era evidente.

    Era altrettanto evidente che a ventuno anni, con un uomo di rara bellezza di ventiquattro addosso e una Magione alle proprie dipendenze completamente vuota, pensare ad una missione era una questione sin troppo spinosa. Che lei aveva creato, per altro.
    A sua discolpa si sarebbe potuto dire che aveva ritenuto quel gioco nient’altro che tale fino a quando non aveva capito che le era sfuggito di mano, il che era accaduto più o meno quando si era ritrovata troppo nuda per poter invocare la scusa del “passatempo”. Suo malgrado cresciuta ed educata per due anni alla Peonia Bianca di Otafuku, agli ordini della Stella Maggiore Izumi-sama, il passatempo adoperato su Masaki non era davvero…
    «…il meglio che posso che fare.» La sua voce era l’arpeggio di un koto nella notte, e lei, sorridendo nel notare lo sguardo del Kurogane, abbandonò alla semi-oscurità della stanza il suo forte divertimento. «Perdonatemi, Ouji-sama…» Sussurrò mentre le sue mani si adagiavano sul suo stesso corpo, scivolando sulla sua pelle con la punta delle dita che, simili a quelle di un burattinaio esperto, si intrecciarono a quelle del Dislocatore, bloccandone la discesa. «…mi sembrava di aver detto che ci saremmo riservati il meglio per dopo il matrimonio…»
    Non era mai stata più falsa di quel momento. E il sorriso sarcastico che le si dipinse sul volto mentre la sua lingua scivolava a cristallizzare le carnose labbra rosse, ne fu l’ennesima riprova.
    «Devi concentrarti, Masaki. Non vorrai davvero smettere di ragionare ora.»
    Se non fosse stata la sua voce interiore a ridere, lo avrebbe con ogni probabilità fatto lei, e su questo l’Argenteo del Ferro ne fu certo quando avesse sentito il suo volto bloccato e il suo mento alzato in direzione di quello di lei. Per qualche ragione, adesso, sembrava irritata.
    «Sono io che decido.» Disse la donna. E non era un avvertimento, né una semplice constatazione.
    «Nella fucina cos’altro c’è oltre le armi? I Kurogane hanno così tanti segreti per ragioni particolari, magari nemici da cui devono guardarsi o pericoli di un qualsiasi genere e tipo?»
    «Sono sempre stata io quella che decide.» Era una realtà.
    «Sei a conoscenza dell’esistenza di un qualsiasi genere di barriera di individuazione attorno alla Magione del Ferro? Per quanto riguarda le mura esterne, invece, dimmi qual è lo spessore delle stesse e se posseggono qualsiasi tipo di proprietà utile a bloccare chakra o tecniche di sorta.»
    Era un segreto quale fosse l’abilità che le permetteva di toccare la pelle nuda del Kurogane con quella delicatezza violenta, quella fame controllata. Era incomprensibile come riuscisse a guidare le mani di lui lungo il suo stesso corpo, insegnandogli a mapparlo con l’esperienza autoctona di chi possiede e non semplicemente conosce. Il modo in cui faceva affondare la punta delle dita dell’uomo nelle sue carni, in quei punti che sapeva essere sensibili e da cui sbocciava una rosa di brividi, era molto oltre il semplice livello di seduzione.
    «All’interno della Magione del Ferro esistono trappole o meccanismi segreti di difesa?»
    La seduzione era possessione. Carnale desiderio.
    …Ma lì non c’era niente che sembrava potersi ottenere, se non solo vedere, sfiorare, odorare… e così, prima che il Kurogane potesse capire l’esatto istante in cui la tela si era aperta sotto di lui, divorandolo, un caledoscopio di percezioni lo avrebbe sopraffatto. E mentre il corpo della Kobayashi si muoveva sotto di lui, sfiorando la sua pelle con movimenti lenti e calibrati come quelli di una danza antica, il profumo di fiori di loto e magnolia di lei inebriava la sua coscienza, le luci soffuse della stanza ingannavano la sua mente, e la delicatezza della carnagione di chi lo stava giocando così bene stordivano la sua sensibilità, protendendola al limite dell’accettabile.
    “Mi dispiace” sembrava dire quel nuovo intrattenimento “Non sei tu che prendi l’iniziativa”.
    «Rimandami tutti i volti degli Hangetsu e dei Kurogane, il loro nome e la loro esatta collocazione all’interno della gerarchia, quindi il ruolo che rivestono e le funzioni che svolgono.»

    Ma poteva fare peggio. Molto peggio.
    E fu presto evidente come.
    «Tutti i membri dei Kurogane vivono dentro la Magione o alcuni membri sono lontani? Se sì, quali e perché. Per quanto riguarda gli Hangetsu, invece?»
    Passando la mano destra sul torace dell’uomo, la Figlia della Peonia Bianca fece scivolare le dita lungo lo sterno, disegnando curvature con le unghie sulla pelle temprata del Kurogane, almeno fino a quando i contorni sfumati dei fianchi di lui non solleticarono il suo tatto.
    Sorrise, sardonica: aveva smesso di pronunciarsi innocente. Non lo era mai stata, dopotutto.
    E lui, pur sapendolo, aveva osato dove non doveva. Facendole chiaramente perdere la pazienza.
    «Ho bisogno di sapere la stima delle capacità di ogni Hangetsu e dei membri dei Kurogane in grado di fare qualsiasi cosa nell’ambito del combattimento; tu o Baiko dovreste essere in grado di fornirmi tutto.»
    Distendendo la mano per tutta la sua lunghezza, la donna unì l’indice e medio della mano e applicò a quel punto una leggera pressione sulla pelle del Dislocatore, lì dove il corpo maschile tendeva, in certi contesti, a subire una reazione tutt’altro che educata. A dispetto di quello che ci si sarebbe aspettati, però, il tocco non era finalizzato ad aumentare la vicinanza, ma ad allargarla portando l’Argenteo, nuovamente, a sedersi sul tatami.
    «Dimmi qual è la funzione di ciascuna stanza della Magione, chi è la persona che ne fa uso e in che modo. Dimmi inoltre se nel sottosuolo c’è altro oltre alle stanze del tesoro.»
    Avrebbe allontanato il corpo dell’uomo dal sé, sospingendolo perché fosse lui a farlo e non lei ad obbligarlo. Quando il Kurogane si fosse dunque trovato ad una distanza sufficiente da permetterle di ottenere di nuovo la libertà del movimento, la donna si sarebbe voltata dentro le sete del suo kimono da camera, portandosi in ginocchio. Benché ormai nuda, riusciva a sostenere il tessuto interno del suo abito perché di lei si vedessero solo le spalle e i lineamenti del suo corpo attraverso le luci. La geometria del suo fisico morbido, scuro in contrasto con il fuoco delle lanterne di riso, vibrò mentre lei…rideva.
    «Vedete, Kurogane no Ouji-sama… avete errato nel momento stesso in cui avete cercato di avere ragione su di me.» Disse la donna, conducendo i suoi occhi in quelli dell’interlocutore. Esitò un istante sulla figura di lui, e dovette impedire alle sue mani si portassero avanti. Il suo corpo, però, si mosse -più istinto che pensiero- scivolando quasi addosso all’altro. La distanza era appena quella di un respiro a pieni polmoni, e lei, nel rendersene conto, smise di respirare. «ll problema, temo…» Era che lo desiderava troppo. Era evidente e sarebbe stato strano il contrario: la verità era che il corpo era debole e l’istinto difficile da domare. Non era amore, era sesso. «…è che non siamo ancora sposati.» Sorrise di quella menzogna evidente, ma necessaria. I suoi occhi verdi, incatenati a quelli cremisi del Dislocatore, si socchiusero: lo stava prendendo in giro. O forse no. «Kurogane-sama…» Mormorò la donna, incapace a quel punto di frenare le sue braccia dallo scivolare avanti, sulle spalle dell’uomo, dove si posarono come ali stanche. «…vedete, vi spiego…» Il tessuto interno del suo kimono cadde dal leggero equilibrio in cui si trovava, scivolando lungo i lineamenti del corpo nudo per poi inginocchiarsi a terra, esanime. «…le Matrone Kobayashi sono donne di Potere e non apprezzano che venga tolta loro la supremazia in nessun campo…tantomeno in questo.» Schiuse le labbra, reclinando leggermente la testa di lato mentre il suo corpo si arcuava in avanti andando a ricercare quello del Chunin della Foglia. Ma non lo toccò. Nemmeno per errore. «Mi dispiace, la prossima volta che oserete…» Fare la metà di quello che aveva fatto lei –sembrò dire, mentre si abbassava a mordere il labbro inferiore dell’uomo. Lo trattenne tra le sue qualche istante, prima di lasciarlo. «…chiedetemi il permesso E così dicendo, posando le mani sulle spalle dello Shinobi, si alzò in piedi.
    Il suo corpo, completamente nudo, sostò di fronte al Kurogane mentre lei, guardando dall’alto in basso l’interlocutore, si abbandonò ad un ghigno ironico prima di voltarsi e dare lui le spalle.

    «Sono sempre io che decido.»

    Sorrise, scostandosi i capelli che ricaddero dietro la sua schiena, accasciandosi sulla curva dei glutei.

    «Vedi di tenerlo a mente.»

    Il suo lavoro era finito.

    E anche il suo gioco.
     
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