Aka Kekkonshiki

[Quest di Villaggio, grado A]

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    ANOTHER STEP

    The journey of a thousand miles begins with one step.



    Masaki Kurogane era un uomo veloce.
    Shizuka Kobayashi, però, aveva riflessi molto più veloci.
    E molta più creatività.

    Prevedendo in anticipo la dislocazione del Kurogane (ahi ahi, giovane Principe del Ferro, quanta prevedibilità in camera da letto), la donna si sarebbe sostituita al suo appendi-kimono, lasciando abbracciare lui un manichino di legno dalle braccia distese.
    «Cosa pensavi di fare alle mie spalle con quell’arma impropria?» Ghignò subito la kunoichi, voltandosi a guardare in faccia il ragazzo. Non era necessario dire a cosa si stesse riferendo. «…Mi dispiace, Kurogane no Ouji-sama…voi potete essere il più abile degli uomini, ma le vostre capacità risultano inutili se tanto ovvie.» Rise, mettendosi a braccia conserte. Evidentemente il fatto di essere completamente nuda non era un problema sufficiente a frenare il suo sarcasmo, come se per la verità fosse abbastanza abituata a trovarsi in situazioni in cui la sua presunta pudicizia principesca era messa alla prova… una dura prova…
    Quale che fossero le sue intenzioni, la Kobayashi ascoltò in silenzio le parole del suo interlocutore, benché ad un certo punto non poté trattenersi dal muoversi rapidamente in avanti. Alzando una mano, la donna bloccò infatti la bocca del Kurogane dal momento in cui questi pronunciò “Avresti potuto condu–…”, interrompendo in questo modo tutto ciò che questi avrebbe detto a voce alta.
    «Taci.»
    L’ordine mentale arrivò immediatamente, irrompendo nella mente del Chunin argenteo come un rombo di tuono. A differenza del tono suadente dell’interrogatorio di poco prima, adesso vi era una filatura molto più tagliente a caratterizzare ciascuna sillaba.
    «Oh Masaki…tu parli troppo…» La voce udibile all’esterno rise, soave ma sarcastica.
    «Questa è una missione, Masaki. E io non perdo mai di vista la mia missione. Siamo soli, alla mia Magione, ma anche se lo siamo pretendo accortezza. Parlerai del nostro dovere solo previo contatto mentale, altrimenti non lo farai. Anche quando presupporremo di essere soli, ci comporteremo come se non lo fossimo. Abbiamo molti modi per parlare senza che altri ascoltino, del resto.»
    «…non è con le parole che mi convincerai a rimanere.»
    Le mani della donna si alzarono, scivolando sulle spalle nude dello Shinobi, per poi precipitare ancora una volta e circumnavigato lo sterno ampio rampicarsi lungo la schiena. Dove si arpionarono, con rabbia.
    «Mi sembra evidente che tu non sia capace di gestire il ruolo da infiltrato: errori come questo possono costarci l’esito della missione.» Non stava scherzando.
    «Non sei capace di gestire il ruolo da amante, temo.» E nemmeno ora.
    «Un infiltrato che tale si possa definire, lo è sempre: anche a casa propria, nella sua intimità, e persino con le persone che ama.»
    «Mi dispiace dirlo…ma per quanto Potere tu possa ostentare, non sei ancora al mio livello Di cosa stava parlando, ora?
    «Non osare mai più mettere a repentaglio il mio lavoro…»
    La donna tirò una spinta al Dislocatore, ma non c’era niente di seducente in quel gesto. Se la mano di lei avesse infatti impattato contro il torace di lui questi avrebbe avuto di che cadere all’indietro e finire letteralmente disteso sul pavimento di legno spoglio.
    «…errori come questi sono da dilettanti, Kurogane-sama, e…» Un piede nudo avrebbe bloccato una delle gambe dell’uomo, impedendo a questi di muoversi, ma al contrario permettendo alla Principessa del Fuoco di avanzare di un passo sul corpo nudo del Kurogane.
    «…scarse accortezze di questo genere durante una missione…» Guardò il giovane Erede del Ferro dall’alto in basso, reclinando leggermente la testa all’indietro per poi mettersi a braccia conserte. I suoi profondi occhi verdi, adesso cupi come un abisso in tempesta, non tradivano eccitazione…ma un’incontrollata e improvvisa irritazione.
    «…mi fanno arrabbiare davvero tanto.» Si abbassò in avanti fino a quando il volto di lei non fu al pari di quello di lui. «Masaki…» Sibilò, feroce, agguantando il mento del ragazzo con la mano destra in modo tutt’altro che delicato. Scosse la testa di lui, arricciando il labbro superiore con strafottenza.
    «Mi vedo costretta a fare un po’ di pulizia, marito mio.»
    «Odio non avere il comando di ciò che desiderio ottenere.»
    E mettendo una mano sulla gola dell’uomo la kunoichi alzò di scatto la gamba destra, tirando un potente calcio alla lanterna da terra che illuminava la stanza, la quale, oscillando pericolosamente per mezzo istante, cadde infine a terra.
    E mentre si inclinava, la fiamma, al suo interno, si spegneva…

    Sarebbe stato solo un secondo.

    «Impara a chiedere scusa.»

    E fu l’oscurità.

    […]


    Avrebbe chiesto al Dislocatore di darle le informazioni che intendeva comunicare all’Hokage, per il semplice fatto che sarebbe stato più semplice farlo per lei, che per lui. Avrebbe detto di volere tutto -le informazioni, si intendeva- e si sarebbe messa a ridere se questi si fosse lamentato della pessima tempistica della donna: doveva essere molto stanco, il Principe del Ferro. Esausto, probabilmente.

    «Masaki…»

    Quando anche quell'accortezza si fosse conclusa un bagliore blu elettrico si sarebbe avvicinato alla tempia dell’uomo disteso a terra sul parquet nudo e crudo: era addormentato, o sveglio ma troppo stanco per reagire. Quale che fosse la circostanza, si sarebbe accertata di poter fare quanto necessario, prima di agire.

    «…provo per te un sentimento incredibile…io…»

    Le informazioni dell’interrogatorio e ogni dettaglio dello stesso sarebbero state prelevate dalla mente del Kurogane, al quale sarebbero stati lasciati solo i ricordi della vicenda in quanto tale, estrapolata però dal contesto informativo: ed ecco qual era sempre stato il senso di condurre due filoni di conversazione differenti, vocali e mentali [Furto]Furto
    Arte: L'utilizzatore può estrarre un ricordo dalla mente di una vittima dell'Interrogazione Mentale ed assorbirlo come proprio. Alternativamente può inserire il ricordo in un rotolo da richiamo sotto forma di Sigillo e successivamente apporlo su una creatura vivente. Se compatibile, il ricordo verrà assorbito dal ricevente come proprio. Se il ricordo è falso, verrà prelevato come tale. Qualora l'utilizzatore conosca per certo il contenuto del ricordo, questo potrà essere prelevato senza possibilità di menzogna.
    (Consumo: Mediobasso per Ricordo)
    [Da Genin in su]

    [Alterazione]Alterazione
    Arte: L'utilizzatore modifica leggermente i ricordi della sua vittima. Al termine dell'Interrogazione Mentale, la vittima non ricorderà le domande che le sono state poste. Se speso un ulteriore MedioBasso è possibile cancellare il ricordo dell'Interrogazione.
    (Consumo: Basso)
    [Da Chunin in su]



    «…ho bisogno di te.»

    I ricordi vennero impiantati nella mente della donna, i cui occhi lucidi avrebbero brillato del riverbero della luna piena perché lui li potesse vedere. Scostando con dolcezza una ciocca di capelli dalla fronte del ragazzo, la Principessa del Fuoco sorrise con amore, abbassandosi per poi a baciare con dolcezza la fronte scoperta.

    «Ho bisogno di averti nella mia vita. Sempre.»

    Parlava con voce gentile, un po’ timida forse, decisamente impacciata… e faceva in modo che ciò che diceva venisse ben udito.
    Un altro piccolo bagliore avrebbe illuminato la semi-oscurità della stanza, che poi sarebbe stata inghiottita nella quiete fino all’alba.

    […]


    «Ehilà, Hokage ammantato!»

    Quando Shizuka Kobayashi entrò nell’ufficio di Raizen Ikigami, sorrideva.
    Il bel kimono rosa pesca dall’obi color dell’oro ravvivava la sua espressione serena, e la borsa da compere di seta color ocra, da cui spuntava un mazzo di fiori e qualche scatolina del mercato di Villaggio che quella mattina si teneva nella Via Principale, davano lei l’aspetto di una moglie più che di una ragazza di ventuno anni. Era incredibile quanto fosse cambiata, negli ultimi anni…negli ultimi mesi, soprattutto. Sembrava essersi fatta più bella, più matura. Persino la fisionomia delle sue espressioni era mutata, divenendo più posata.
    «Mi dispiace essere arrivata senza preavviso, oggi ho messo ad arieggiare il kimono delle Eredi dell’Airone e non ho avuto modo di mandarti una missiva avvertendoti che sarei venuta a trovarti…beh, non che tu abbia chissà cosa da fare.» Esordì così la Principessa del Fuoco, richiudendo la porta alle sue spalle e avvicinandosi alla scrivania del Colosso. Inarcò un sopracciglio con ironia. «Sei pieno di segretarie che lavorano per te, dopotutto.» Commentò, e adesso apparì più tagliente che divertita. Se non avesse sorriso di nuovo, infatti, sarebbe apparsa quasi irritata. «In ogni caso, sono qui per parlarti di un argomento importante. Te lo dico da ora, testone, perché voglio la tua totale attenzione, quindi cerca di capire bene tutto quello che dico…chiaro?» Guardò la Volpe aggrottando le sopracciglia, quasi non ci sperasse troppo in quanto aveva appena detto, realtà che sembrò rimarcare sospirando sonoramente mentre si accomodava sulla poltrona dall’altro capo della scrivania. «Tra una settimana esatta a partire da oggi incontrerò Jinsuke Kurogane-sama, il padre del mio fidanzato, per concordare con lui gli estremi del mio matrimonio. In vista dello stesso la mia famiglia si è stretta parecchio nelle sue concessioni…infatti posso garantirti che non rimango sola nemmeno per un istante. Mai. Capisci il mio dramma...che ansia!» Borbottò. I suoi profondi occhi verdi si piantarono in quelli del Kage prima di alzarsi al cielo. Sospirò, grattandosi il retro della nuca con poca convinzione: non era una novità per nessuno che la ragazza fosse allergica alla claustrofobia del suo titolo. Solo a quel punto, comunque, Raizen avrebbe notato che le maniche del suo abito tradizionale si erano allungate di tre quarti: segno di una donna impegnata,con auspicio di un matrimonio prossimo. Vedere quell'abbigliamento su di lei, dava una strana sensazione. «Ma non posso dare loro torto...come futura Capoclan Kobayashi devo cominciare a pensare meno a me stessa e più alle mie responsabilità.» Chiuse gli occhi, pronunciando quelle parole. «Arriva un momento in cui una donna desidera essere amata e trovare qualcuno di prezioso per sé, con cui condividere la vita e formare una famiglia, che guardi solo lei e nessun’altra…» Sorrise di quelle parole, reclinando poi leggermente la testa di lato, e così rimase per qualche istante mentre i lineamenti del suo volto si ammorbidivano in un’espressione gentile che raramente era apparsa nell’ironia irruenta del suo aspetto. «…sono fortunata ad essere riuscita in questo, perciò, anche se mi addolora non poter divenire Jonin prima di questa decisione, desidero comunicarti che rinuncio, a tempo indeterminato, alle mie responsabilità come ninja.» Alzò leggermente il volto, conducendo i suoi occhi verde smeraldo in quelli scarlatti del Kage. Per un istante non disse niente. «Sono certa che concorderai con me nel definire la mappatura significativa della definizione dell’essere shinobi, qualcosa di simile ad uno shinshi-odoshi: inizialmente è vuoto, perché si è inesperti, ma una volta che si è riempito deve essere svuotato per guardarne il contenuto da lontano e carpire così i suoi segreti, che indicano il percorso generale di ciascuno. Il mio, rappresenta la decisione di servire Konoha non più come shinobi, ma come Capoclan Kobayashi e moglie Kurogane.» Lo shinshi-odoshi era la tradizionale fontana giapponese: un bamboo tagliato in cui si raccoglieva l’acqua e che si svuotava da solo ad ogni riempimento. Nella cultura shintoista, rappresentava la mappa del percorso segreto di ciascuno che, a piccole gocce, simili a piccoli passi, portava alla completezza dell’essere. «Tutto ciò che sono e soprattutto tutto ciò che ho scoperto, che ho sperimentato, che ho capito e che dunque ha arricchito me e la mia causa –quella, come ben sai, di supportare la Foglia– lo devo anche alla mia esperienza come Shinobi, di cui non rimpiango niente, Raizen. Assolutamente niente.» Sorrise, e adesso sembrò farsi nostalgica. Per un attimo alzò gli occhi al soffitto dell’ufficio, infine battendo il pugno della mano destra sopra il palmo della mano sinistra. «...Ecco, è un po’, sai, come pettinarsi i capelli!» Rise di quel paragone, scuotendo la testa. “Non me ne viene uno migliore” ammise ad alta voce, prima di cercare di spiegare l’elaborato arzigogolo mentale che l’aveva condotta a quel risultato. «Si dice in quel vecchio proverbio, sai, che pettinarsi i capelli porta ordine in testa, perché ogni capello allineato è un’informazione sistemata. Ecco, è stato proprio così per me: ho dato un senso alla mia vita da quando ho deciso di sposare Masaki, un ordine che non ho mai ottenuto essendo "solo" kunoichi. Improvvisamente è come se tutte le cose un po’ storte che avevo nel cervello si fossero sistemate. A forza di spazzolare, tutti i pensieri sono stati portati via. I miei capelli sono diventati lisci e la mia mente sgombera dalle incertezze.» Esitò, corrucciando la fronte. «Cioè, non che non mi sia davvero pettinata di continuo, eh.» Borbottò. «Nel senso, sono sempre ben pettinata ovviamente. È un esempio, spero tu abbia capito.» Cercò di mantenersi seria per un attimo, ma alla fine sghignazzò di nuovo. Suo malgrado inarcò le sopracciglia in modo colpevole. «Sono un disastro a spiegarmi.» Non che fosse proprio una novità, Raizen Ikigami lo sapeva bene. «...Ma il senso è, insomma, che tutti i nodi vengono al pettine. Sono tutti lì, alla fine. E la mia testa è più leggera, ora, lo ammetto. Sono felice come non lo ero da tempo, Raizen. Sono felice davvero.» A quel punto, lanciando un’occhiata sarcastica alla Volpe, esitò un attimo. Subito dopo stava velocemente rovistando nella sua borsa –da cui tirò inizialmente fuori due pacchettini di mochi, un libro, un porta tè di bamboo e tre rotoli di pizzo ricamato a mano–, da cui estrasse infine un pettine di corno bianco che lanciò prontamente sulla scrivania al Kage. Fu talmente delicata nel gesto che cadde anche il resto delle cose, per terra, costringendo la Principessa a far roteare gli occhi al cielo e schioccare la lingua con irritazione. «Maledette maniche di maledetti kimono da donne sposate.» Ringhiò, feroce. L’oggettino, che con ogni probabilità costava più di ogni valore di Raizen, roteò intanto su se stesso prima di fermarsi sotto il viso di lui...anche se a quel punto l'effetto ironico era già che andato a farsi benedire. Ma ovviamente questo, alla caparbia Principessa, non interessava. «Pettinati di più, Ikigami. Non sia mai che qualche risposta la trovi anche tu.» Ghignò infatti puntualmente, mostrando i denti. Ed eccola lì, come al solito a tirare in mezzo il pessimo aspetto trasandato del suo Kage, su cui gli Dei sapevano solo quanto lei insistesse ogni giorno. Nonostante tutto, stavolta, non concluse il suo discorso con acredine…ma con un sorriso. La sua espressione si ammorbidì. «Raizen.» Chiamò a quel punto, e la sua voce era gentile. Incredibilmente dolce. «Sei il mio migliore amico.» Disse piano. I suoi occhi non si discostarono da quelli del Kage neanche per un istante. «Sono certa che capirai la mia decisione, e benedirai il mio nuovo futuro e la mia felicità con Masaki, mio marito.» Mormorò, e contro ogni aspettativa si inchinò profondamente. «Ho bisogno di sapere che hai capito quello che ho detto…e voglio anche cogliere l'occasione, tutt'altro che non voluta, per chiedere di permettermi di affiancarti come consulente economico-sociale di Konoha: benché non più attiva rimango pur sempre una Chunin, e anche da sposata, come moglie e madre, potrò aiutare il mio Villaggio, se tu me lo permetterai. Le mie conoscenze frutterebbero enormi vantaggi alla Foglia, e le mie abilità mercantili permetterebbero grandi affari. Ovviamente il mio interesse è supportare prima di tutto l’Airone e il Ferro, il desiderio di mio marito è anche il mio dopotutto, ma anche il mio Gakure occupa un posto speciale nel mio cuore, e sono qui per chiederti di permettermi di non dimenticarlo.» Detto questo, molto lentamente, si riportò in eretta postura. «So che è una decisione grande, quella che ti chiedo.» Disse, congiungendo le mani in grembo: non si era mai sentito, del resto, di un amministratore che si auto-candidava. Ma Shizuka Kobayashi non era famosa per la sua modestia, in quel senso. «Ma so anche di poterla valorizzare meglio di chiunque altro.» Ed era evidente che ne fosse certa. «Non voglio una risposta ora, perché so che non me la puoi dare: tornerò qui ogni giorno per sei giorni, fino a che tu non avrai deciso.» Era inutile aggiungere che il settimo non sarebbe arrivata perché avrebbe concesso il suo tempo all’incontro che avrebbe cambiato la sua vita. «Spero che prenderai quantomeno in considerazione le mie parole.»

    E così dicendo, dopo un attimo di silenzio, si abbassò a raccogliere le poche cose che in precedenza le erano cadute. Richiuse dunque la sua borsa, si inchinò profondamente e stringendo le labbra con fermezza, suo malgrado non riuscendo a non tradire un’espressione di tensione mista a nostalgia –era ancora la solita bambina di un tempo, dopotutto, l’allieva del burbero gigante– si congedò.

    Rimasto solo nel suo ufficio, Raizen Ikigami avrebbe avuto modo, arrivati a quel punto, di notare diverse cose: che Shizuka Kobayashi sembrava essere cambiata davvero e in un modo realmente incredibile; che il cilindro di bamboo con il beccuccio era rotolato sotto la libreria, scappando così alla pudica ricerca della sua proprietaria; e che il suo nuovo pettinino aveva impresso sopra il proprio corpo un ideogramma più piccolo di un'unghia. Che se lui avesse toccato, sciogliendolo, avrebbe rimandato un’infinità di ricordi.

    Il giorno in cui qualcuno aveva scelto una ragazza per una missione troppo difficile.
    I sentimenti di quella ragazza. I veri sentimenti e i veri pensieri. Le paure. Le determinazioni.
    La recita. La decisione. La fermezza.
    Le informazioni. Le memorie di una seconda persona. Gli accadimenti. Le prese di posizione atte a rendere tutto perfetto.
    La fedeltà che non sarebbe mai scemata. Piuttosto, morta.
    L'attaccamento a ciò che amava.
    La voglia di dimostrare qualcosa. Qualcosa che fu evidente.
    Queste e molte altre cose.


    Tutto.
     
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