La Neve sporca di Sangue

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  1. Ade Geist
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    ~ The Red Capes are coming!

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    Anime Spezzate
    Capitolo Primo



    Atto II
    Lunghi viaggi in compagnia


    Quando uscii dalla tomba, visibilmente più calmo di quanto si sarebbe potuto intuire se qualcuno avesse sentito i rumori provenienti dall’interno della tomba, mi trovai davanti Sanjuro, che pareva decisamente irritato e preoccupato. Non volli però approfondire la questione, quello sciamano si sarebbe potuto indispettire per un insolito volo d’aironi sopra la nostra testa, o anche solo per una foglia che cadendo avrebbe compiuto tre oscilli invece dei cinque previsti dalla sua distorta mente o dall’equilibrio naturale. « Torniamo a Kiri, avvertiamo il Mizukage e mettiamoci sulle tracce di questi malfattori. » dissi, con la solita serietà, facendo cenno di seguirmi. Avevo raccolto del sangue, magari qualcuno a Kiri sarebbe stato in grado di aiutarmi a scoprire a chi appartenesse.

    […]

    Ci imbarcammo che era da poco passata mezzanotte. Il nostro arrivo in serata ci permise, una volta constatate le azioni terribilmente nefande del luogo sacro riscoperto, di ritornare abbastanza velocemente sui nostri passi – anzi, sui miei, dato che avevo viaggiato da solo. La nave sulla quale ci muovevamo, una piccola canoa da pesca, era alimentata principalmente dalle possenti braccia del capitano della nave, un uomo che a prima vista poteva tranquillamente essere scambiato per il capobanda di un gruppo di malviventi, tant’era simile il suo glabro aspetto a quei luoghi comuni che si è soliti raccontare sui malavitosi, anche se una grande vela si ergeva sopra la nostra testa. Mi proposi di dare mano per la navigazione, odiavo starmene con le mani in mano ma soprattutto, mi adoperavo affinché non dovessi ascoltare i vaneggiamenti dello Sciamano di Genosha e per un breve tratto di strada fui destinato anche io al mettere e levare i remi dalla barca. Mi fu offerta un’insalata di alghe e del pesce sotto sale. Se la prima si rivelò particolarmente insipida, il secondo mise a dura prova i ricettori del gusto sulla mia lingua. La barca su cui però eravamo montati non ci avrebbe riportati direttamente a Kiri, avrebbe fatto scalo a Oburu, cittadina portuale in cui viveva il nostro poco affabile – non fu di molte parole durante il viaggio, tra le altre cose – capitano e le sue due (?) famiglie, quindi ci saremmo dovuti imbarcare su di un’altra nave oppure aspettare che l’uomo dalle possenti braccia che ci aveva accompagnato si riposasse. Ovviamente, data la situazione, era richiesta la massima rapidità, ed avevo già deciso che ci saremmo imbarcati il più velocemente possibile su di un’altra nave. Quando però attraccammo – si intravedevano i primi docili raggi del sole, era primissima mattina –, appena scesi sulla banchina, una piccola vecchietta con uno strano tatuaggio sulle labbra simile a delle labbra più grandi si avvicinò a noi. L’uomo alla guida della nave si rivolse a lei appellandola “mamma” e quindi la situazione si chiarì subito. La donna però sembrava interessata più a me ed a Sanjuro che a suo figlio: si avvicinò a me e mi sussurrò qualcosa in modo così flebile che dovetti abbassarmi per comprenderla. « Tu sei un ninja dei Kenkichi. Hai lo stesso odore della Tomba. » Disse, squadrandomi dalla testa ai piedi. La donna aveva quindi delle informazioni sul luogo che avevamo visitato qualche ora prima io e lo sciamano! Non mi meravigliai più di tanto del fatto che potesse sapere fossi un Kenkichi; alla fine tutta la zona dove ci trovavamo era limitrofa ad un importante luogo sacro, le tradizioni degli abitanti del luogo dovevano esser state negli anni pesantemente condizionate dalla presenza del clan in quella zona. Poi si rivolse proprio allo sciamano. « Tu hai l'odore di Munkeke. Devi averlo incontrato. » Munkeke? E chi diavolo era? Non sapevo darmi una risposta, e lo sciamano mi doveva delle informazioni, a quanto pareva. Prima però, cercai di realizzare quando avesse potuto aver incontrato qualcuno e la risposta era o durante il viaggio o durante la mia ispezione all’interno del tempio. Poi continuò: « Un tempo mio marito indossava maschere simili. Era lo Sciamano del nostro villaggio, grande amico dei Kamui a guardia della Tomba Kenkichi. Forse Munkeke ha portato qui la persona sbagliata, ma vi ha condotto qui, quindi ha superato la prova da Sciamano. Potrà succedere a suo Nonno. » Voltai gli occhi al cielo, capendo di trovarmi in mezzo ad altri “sciamani”, col terrore nel cuore che fossero tutti dei proto-Sanjuro. Il marinaio che poi ci aveva accompagnato pose, con tono indispettito e ruvido, una domanda vitale. « Qualche guaio al villaggio, mamma? » Al che la donna rispose che due uomini aveva noattaccato il suo villaggio, uno dei quali era interessato ad un Kamui – non avevo idea di cosa fossero, forse Sanjuro mi avrebbe potuto aiutare in questo senso – e l’altro alla Tomba Kenkichi. A sentir tali parole, sollevai le sopracciglia interessato, e mi limitai ad ascoltare tutto quello che la donna aveva da dire. Forse la fortuna ci aveva condotto nel luogo giusto prima ancora di tornare a Kiri a fare il punto della situazione con Itai. Dopo un piccolo dissidio familiare, la donna centrò il fulcro della situazione, mettendoci al corrente proprio delle informazioni che stavo cercando: « La Tomba ha due guardiani molto potenti. Una volta al mese li si può sfidare per avere accesso all'interno. Lo straniero che vuole entrare nella Tomba li sfiderà domani e loro hanno usato Munkeke per procurarsi potere e chiamare i Kenkichi a difesa del loro luogo ancestrale. » Disse, per poi allungare la mano e poggiarmela sull’avambraccio. « Ha trovato te. Nel nostro villaggio troverete supporto e riparo, ma siamo neutrali per le faccende che riguardano la Tomba, a parte gli sciamani. Dovrete attraversare le terre selvagge verso nord-est, non ci sono sentieri e sono troppo vecchia per farvi da guida. » Ero dunque stato scelto come difensore di un atavico avamposto delle Lame Insanguinate. Mi riempii di orgoglio e gioia, proprio come un bambino quando gli viene offerto un grosso dolce pieno di cioccolata. Era il coronamento di tutte le mie ricerche – appena iniziate – intraprese al fine di preservare la storia del Clan. Disse inoltre qualcosa a Sanjuro ma ero troppo preso dai miei pensieri che non ci feci caso. Tornai a prestare attenzione quando la vecchia si voltò e, esattamente come aveva iniziato a prestarci confidenza, andò all’improvviso dal figlio, togliendoci ogni possibilità di domandare o chiedere informazioni. Mi voltai verso lo sciamano, pronto a sapere a cosa si stesse riferendo prima l’anziana donna: « Quando hai incontrato Munkeke? E che diavolo sono i Kamui? » Sperando che l’uomo mi desse una risposta esaustiva, passai poi a spiegare il da farsi. « Dobbiamo scoprire come arrivare al villaggio della vecchia. Da come i due parlavano sembra che tutta la zona qui intorno sia a conoscenza del tempio e di questo villaggio, probabilmente negli anni le tradizioni antiche e la superstizione per i luoghi sacri hanno modificato i costumi locali o li hanno addirittura creati a loro immagine, dipendentemente dall’anzianità di questo insediamento portuario … andiamo in città a cercare notizie, quindi? » Chiesi allo sciamano. « La donna ha detto che lo straniero sfiderà domani I guardiani del tempio, quindi abbiamo una intera giornata per arrivarci, sperando che non sia lontano più di ventiquattrore di cammino. Dovremmo anche riposarci, siamo stati svegli tutta la notte. Magari troviamo anche una corriera per quel villaggio … » dissi, eccessivamente speranzoso nei toni. Se lo sciamano avesse deciso di seguirmi, mi sarei intrufolato tra i vicoli cittadini, salutando e ringraziando il burbero capitano. Altrimenti mi sarei mosso da solo dicendo allo sciamano di raggiungere il luogo descritto dalla vecchia entro le 18.00 del giorno stesso.

    […]

    >Passai circa due ore a raccogliere informazioni: mi mossi dapprima verso un negozio di alimentari nel centro città, cercando di rimanere il più vago possibile, domandando del villaggio in cui abitavano gli sciamani in grado di parlare coi Kamui, come aveva fatto intendere la vecchia durante quel breve, ambiguo, colloquio avuto qualche minuto prima. Non seppero indicarmi la strada, dissero però che erano sicuri che il villaggio era separato dalla più moderna civilizzazione di Oburu da terre impervie e coperte di neve. Niente di insolito, insomma. Non seppero neanche indicarmi più o meno quanto distasse a piedi. Scesi ancor più nel cuore del centro portuario per affacciarmi ad una pescheria il cui proprietario era un giovane ragazzo longilineo con un paio di spessi occhiali neri sul naso ed un colorito particolarmente chiaro di pelle circondato da foltissima barba rossiccia. Mi disse che era solito commerciare con i pescatori di quel villaggio e che non sarebbe stato poi così difficile raggiungerlo se si era soliti camminare nella neve, resistere al gelo e capaci di combattere con le fiere che potevano abitare i boschi di quelle zone. Il fatto che fosse giorno, però, aiutava non poco. Inoltre mi disse che non vi era altro modo se non quello ambulatorio per arrivarci, dato che, proprio per via dell’asperità della zona, nessuna carovana osava passare per quelle terre. Per i tempi di percorrenza, invece, disse che tutto dipendeva dalle mie capacità ma che la furia non ripagava mai negli ambienti ostili. Inoltre, se avessi seguito le sue indicazioni, a circa metà percorso mi sarei ritrovato davanti ad un secolare abete gigantesco. Aveva effettivamente ragione. Fu in grado di indicarmi con precisione la strada, aiutato anche da una sorta di cartina utilizzata per incontrarsi con i già citati pescatori, dopo di che si dimostrò particolarmente gentile benedicendomi con una frase di rito del posto e donandomi due pesci da portare dietro come cibo (NdR: nel caso venisse anche Sanjuro sarebbero due a testa). Mostrarsi cordiali e integri era spesso il miglior biglietto da visita di cui disponevo o forse, semplicemente, si era già sparsa la voce all’interno del villaggio su chi fossi. Presi la cartina e la infilai sottobraccio, nella tasca interna del cappotto Maeda, per poi avviarmi verso le mura del porto, in direzione della mia nuova meta.

    […]

    >Erano circa le 8.30 di mattina, il sole ormai era alto sopra le nostre teste e riscaldava amabilmente tutta la zona. Niente che mi potesse salvare dal gelido bosco in cui mi sarei andato ad infilare qualche minuto più tardi, comunque. La camminata fino a quel punto fu relativamente tranquilla, il terreno asfaltato che portava al porto era utile alle carovane mercantili principalmente e poi anche per coloro che, come il sottoscritto, si muovevano a piedi. Avevo tutto il tempo del mondo quindi procedevo sì a corsa ma lentamente, quasi come se mi stessi allenando sulla resistenza. Dopo una quarantina di minuti l’aria divenne meno salmastra e tutt’intorno iniziavo ad intravedere macchie nevose più o meno gradi e più o meno candide. La vegetazione diventava sempre più rapidamente o secca oppure sempreverde, lasciando la molteplicità di panorami che la zona portuaria mi aveva regalato per passare a qualcosa di più simile a ciò che ci si poteva aspettare in montagna. Corsi per circa due ore nel bosco senza alcun tipo di problema fino a quando il terreno non divenne più scivoloso ed ispido: inciampai in una radice, recuperai l’equilibrio con un piede che poi scivolò su di un sasso ghiacciato e caddi a terra di faccia, a pochi centimetri da un acuminata roccia. Mi andò effettivamente di lusso. Mi tirai subito su in piedi e capii che era necessario rallentare il passo se volevo evitare di uccidermi su delle rocce.
    Corsi ancora per un altro paio d’ore, più lentamente ma a passi più certi, ed arrivai all’abete descritto dall’uomo. Nonostante il sole si vedesse a stento per via del cielo coperto e delle alte fronde dei rami degli alberi di cui ero circondato, il mio stomaco mi suggeriva che fosse passata decisamente l’ora del pranzo e che mi dovessi fermare per una piccola pausa ristoratrice. Mi sedetti nella neve, poggiandomi con la schiena all’albero secolare e mi misi a mangiare il primo dei due pesci sotto sale che il pescivendolo mi aveva donato. Meno saporito di quelli del marinaio ma decisamente più commestibile, il primo pesciolino si fece strada nel mio stomaco molto velocemente; quando poi stetti per iniziare a mangiare il secondo, un fruscio ed un rumore di foglie colsero la mia attenzione. Mi voltai alla mia sinistra e vidi, dietro ad un cespuglio, un bellissimo lupo bianco con sfumature grigie fare capolino: mi stava squadrando dalla testa ai piedi, osservando, studiando ma le fauci rimanevano serrate e non pareva avesse intenzioni ostili. Uscì dal cespuglio e mi camminò davanti, sempre tenendomi gli occhi puntati addosso. Io rimasi fermo, portando semplicemente la mano destra dentro la tasca interna della giacca dove avevo i miei fidi spiedi. Il lupo passò però oltre, infilandosi a corsa in altre frasche alla mia destra. Fu proprio in quel momento dove abbassai la guardia tirando un sospiro di sollievo che un lupo nero uscì dove poco prima era entrato quello bianco con la bocca spalancata e le fauci grondanti di bava. Istintivamente scattai in piedi e con un felino movimento del braccio lanciai, poco lontano da me, il secondo pesce che mi era stato donato per poi scappare velocemente verso quella che doveva essere la fine del bosco – da quel che riportava la mappa. Un lupo non sarebbe stato di certo un temibile avversario ma non avevo tempo per mettermi a combattere e, allo stesso modo, non dovevo sprecare preziosissime energie. Mi ero imposto di arrivare entro le 18.00 impiegando circa nove ore di viaggio. Le prime cinque se ne erano andate solo per arrivare alla metà della strada ed uscire dal bosco, ne restavano quattro. L’orizzonte che mi attese era lo stesso di prima, più o meno, ma senza vegetazione e quella poca che resisteva era spoglia e secca. Una sorta di steppa innevata, con niente a portata d’occhio per chilometri e chilometri. L’aria poi in quel punto era ancora più gelida; ringraziavo il cappotto per tenermi caldo. Ciò che, tuttavia, fu davvero, davvero interessante fu l’assenza di pericoli mortali della zona, o almeno, l’assenza di pericoli viventi mortali. Tutto il panorama era composto da affilate rocce friabili che spuntavano dalla neve, laghetti ghiacciati saltuari ed altra, gelida, neve. Rallentai ancora un po’ il passo, sperando di non inciampare nuovamente da nessuna parte. E per fortuna ciò non avvenne. Le restanti quattro ore di viaggio si tramutarono poi in cinque, dati i due rallentamenti necessari e l’eccessiva accortezza che volli dimostrare anche in quell’occasione. Stanco ed affamato mi fermai soltanto quando, in lontananza, scorsi distintamente i primi tetti innevati del villaggio della vecchia. « Ci siamo. » dissi, col fiato rotto dal fiatone. « Credo che non dovremo presentarci e che ci stiano aspettando. Non facciamoli attendere oltre. »




    StatisticheStatus
    Forza: 600
    Velocità: 500
    Riflessi: 500
    Resistenza: 475

    Agilità: 500
    Precisione: 500
    Concentrazione: 500
    Intuito: 500

    Vitalità


    Chakra
    Slot Difesa | Slot Azione | Slot Tecnica | Slot Gratuiti


    [Slot Difesa I]
    [Slot Difesa II]
    [Slot Difesa III]


    [Slot Azione I]
    [Slot Azione II]
    [Slot Azione III]


    [Slot Tecnica Base]
    [Slot Tecnica Avanzata]


    [Slot Gratuito]



    Legenda


    Narrato
    « Citato! »
    « Parlato! »
    « Pensato! »
    Anima di Saruhyondo.
    Anima di Keiji.

     
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60 replies since 9/3/2016, 01:11   1790 views
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