Nuove ali per il Vento

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    FIX

    At the end of the day, you're responsible for yourself and your actions and that's all you can control. So rather than be frustrated with what you can't control, try to fix the things you can.



    «Io e te dobbiamo parlare.»
    Shizuka Kobayashi camminava rapidamente mentre avanzava in direzione della Volpe. I tacchi dei suoi stivali in cuoio ticchettavano sordamente sul pavimento lucido del suo ospedale e lei, alzando gli occhi in quelli del Jonin, sembrò sul punto di vacillare. Qualcosa, nel suo sguardo, si incrinò.
    «Per favore, Hokage-sama Le parole erano gentili. Il tono di voce, però, era una distesa di veleno. «…Itai, per favore, saresti così gentile da rimanere qui con questi quattro medici?» Sorrise e il messaggio era chiaro: “Non lasciar entrare o uscire nessuno, controlla che quello che è qui non venga visto”. Avrebbe a quel punto indicato al Colosso una stanza, dentro la quale entrò, richiudendosi la porta alle spalle.
    «Non sono una delle donne che ti scopi, Raizen. Né una di quelle gallinelle tutte occhioni con cui ti diverti a giocherellare al Capo Supremo da quando indossi quell’insulso mantello che hai addosso.» Esordì così. Avrebbe sorriso se non fosse avvampata di rabbia. «Te l’ho cucito io quel mantello.» Disse la donna, alzando i suoi dardeggianti occhi verdi in quelli cremisi del Jonin. «IO ho lavorato più sodo di chiunque altro per stare al tuo fianco.» La voce si alzò, ma lei non parve accorgersene. «IO ho ucciso, mentito, manipolato, ho deciso di sedere nell’ombra, nella tua ombra, per far risplendere la tua luce. Ho deciso di appoggiarti quando nessuno a Konoha e nell’intero continente lo avrebbe fatto. Ho sfidato il mio Clan e l’intera Dinastia Murasaki per proteggerti, confidando che tu saresti stato ciò che meritava il mio amato Villaggio…» Sbatté una mano sul suo petto, compiendo un passo in avanti. Era evidente che se Shizuka Kobayashi avesse un limite, lo aveva appena bruciato. «…e tu per tutta risposta vomiti Bijudama in giro per poco non uccidendo quel pover'uomo. Stacchi braccia a messi di altri Villaggi. Getti Konoha nel pericolo di tensioni internazionali. Osi dove non devi osare. E soprattutto fai ciò che non devi fare.» Non era ben chiaro se fosse più ferita, furiosa o tremante. «Nessuno viene al mio Ospedale e dà ordini al posto mio. Nemmeno tu. Puoi essere l’Hokage, ma non hai la benché minima nozione di medicina e vivi nella stolta convinzione che nessuno, nel tuo Villaggio, remerebbe mai contro di te. Ma sbagli, Raizen, e hai fatto più danni in un’ora di quanti potevi farne in mesi.» Erano poche le persone che avrebbero potuto rivolgersi così al Kage della Foglia, ma la Principessa del Fuoco non vacillò. Il suo sguardo, ardente e ligio, non tremò di fronte all’espressione del suo opponente. «Avevo detto di dislocare tutto nel mio laboratorio per una ragione e spero che non sia davvero necessario che te la spieghi perché tu la capisca. Quindi adesso torneremo di là e mentre io mi occuperò di cancellare la memoria di tutti coloro che hanno visto il futuro Kazekage in quelle condizioni, tu farai quanto ho appena detto. E aspetterai lì. Aspetterai me. E vuoi sapere perché?» E la sua voce, a quel punto, si incrinò. «Perché senza di me non puoi realizzare niente di quello che vuoi. Perché se c’è una sola persona a questo mondo in cui dovresti confidare, quella sono io, che preferirei morire piuttosto che lederti. Perché hai scelto me per stare al tuo fianco, e allora prova ad avere fiducia. In me. Perché se dico una cosa, di fronte a tre Kage, un Fuujin impazzito e il crollo di un’intera amministrazione, forse lo faccio dopo un’attenta valutazione. Dopo aver riflettuto su ciò che tu non hai tenuto di conto. Perché la nostra forza è sempre stata quella di compensarci a vicenda, se ricordi.» Premette la sua mano sul proprio petto, allargando poi il braccio per fare lo stesso su quello del Jonin. «Smettila, Raizen. Smettila di ostentare gli Dei solo sanno cosa. Non devi dimostrare niente a nessuno, non nei modi che utilizzi tu quantomeno. Quindi te lo dirò ancora una volta, Raizen Ikigami.» E a quel punto la donna avrebbe alzato lo sguardo in quello della Volpe, e i suoi occhi verdi non avrebbero vacillato, perché non vi era dubbio nella verità, e per quanto le sue parole fossero aspre, erano reali. Brucianti. Ma sincere. «Non sei più il Randagio di un tempo. Sei l’Hokage, ora. Fattelo piacere e cambia. Cambia Raizen. Fallo per la nostra gente. E fallo per te stesso.»

    […] Il Laboratorio di Shizuka Kobayashi era un posto molto strano. Il più strano che Itai Nara avesse mai visto, e senza dubbio ancora più strano di come lo ricordava Raizen.
    Appena varcata la pesante porta di ferro rugginoso a doppia mandata, infatti, il gruppo di Cloni con relativi oggetti, i due Kage e il comatoso mezzo-uomo, si sarebbero ritrovati in una sorta di antro dei misteri: oggetti e macchinari medici, piuttosto vecchi ma in ottimo stato, erano pressoché ovunque, disposti secondo un ordine strambo che lasciava sì spazio per camminare, ma non abbastanza per muoversi liberamente. In effetti quel posto era davvero pieno di roba, tanto che persino le pareti erano ricolme: cassettiere erano state imbullettate dal soffitto fino al pavimento, probabilmente per lasciare libero il centro del salone, in cui un lettino medico con cinghie in cuoio e alcuni macchinari di monitorazione erano pinti e lindi. Frementi di essere usati.
    «Scusate, questo posto inizia a diventarmi stretto.» Avrebbe detto come prima cosa la scienziata, raggiungendo a fatica una scrivania di legno scheggiato in fondo al Laboratorio, talmente stipata di documenti (e avanzi di cibo) che sembrava tutto sul punto di crollare. Un enorme poster del più famoso cantante Pop del Paese dei Demoni troneggiava sulla parete, circondato da un filare di lampadine azzurre, accanto a diverse immagini di animaletti lanuginosi e carini. Per terra, invece, una sorta di piccolo salottino fatto di futon rosa e copertine di pelo bianco erano adagiate assieme a diversi pupazzi di cotone a forma di coniglietto. Al muro un cartellino recava la scritta “Angolo del Riposino!”...come se qualcuno potesse davvero riposare in un posto del genere. «No, sul serio, dovrò traslocare presto, di questo passo morirò sepolta.» Borbottò, iniziando a parlare da sola.

    ...Ma c’era altro, molto altro in quel luogo. E lo si sarebbe capito notando che la stanza si interrompeva bruscamente sulla parte est, con un tendaggio di pesante damasco che dal soffitto toccava il suolo, nascondendo alla vista qualsiasi cosa si trovasse dietro. Pareva, per la verità, che da sotto il broccato uscisse qualcosa, una sorta di luce blu elettrica tenute ma costante, e certo era indubbio che ne filtrasse anche un rumore, una specie di ticchettio ritmico e costante. Ma di cosa potesse trattarsi né Itai né Raizen avrebbero potuto scoprirlo. Non almeno fino a quando la scimmiajpg dal pelo bianco che si ritrovarono davanti non si fosse spostata.
    Già. Era proprio una scimmia. Un macaco Giapponese dei più belli, invero. E indossava un kimono. Di seta. In effetti indossava anche un grembiulino da infermiera. E un collarino con una medaglietta a forma di fialetta medica. Ma la cosa più preoccupante è che impugnava un bisturi. E guardava fissamente l’addome di Itai Nara, all’altezza (su per giù) della sua cistefellea.
    «Oh, Makuramon, lascia perdere, ho già risolto per quella faccenda!» Esclamò Shizuka, indicando una specie di frigorifero. La scimmia, aggrottando la fronte, si girò a fissarla malamente. «Non fare quella faccia, se dovessi aspettare che sia tu a trovarmi i cadaveri non finiremmo mai.» Ringhiò, aggiungendo poi a bassa voce: «Stupida scimmia OGM.» Per tutta risposta l’animale, infervorandosi come se incredibilmente fosse riuscito a sentire il borbottio della donna, e soprattutto lo avesse capito, le lanciò contro il bisturi che teneva in mano. Che l'altra, per tutta risposta, rimbalzò contro il mittente muovendo semplicemente una mano. Un secondo dopo la scimmia aveva il suo stesso bisturi conficcato nella fronte. «Non ti ricucirai finché non farai spazio ai macchinari di Raizen. E già che ci sei lega quel moncherino rosso al lettino. Oggi è festa grossa per noi, iniziamo subito!» Si limitò ad aggiungere la donna mentre il sangue zampillava a getto dalla fronte della scimmia, la quale, a dispetto di tutta quella situazione, che anzi sembrava essere abbastanza normale in quel posto, annuì, sbrigandosi a svolgere i suoi ordini. Con il bisturi conficcato in testa. «Oh, non preoccupatevi. Guarisce più veloce della media, sarà come nuovo in un attimo. Volete dei biscottini?» Cinguettò a quel punto Shizuka, togliendo fuori dal frigo un vassoietto di pasticceria da dietro due barattoli: dentro il primo c’era un cuore umano in formaldeide. Nell’altro un paio di occhi galleggianti.
    […] Dove avesse trovato quelle cose forse era meglio non chiederlo, dove trovasse il coraggio di mangiare quei biscotti... nemmeno.

    «Sì, so già come fare.»
    Quando tutto fu disposto, la giovane Kobayashi si infilò un camice bianco e uno stetoscopio rosa pieno di pupazzi di peluche. Poi, dopo aver controllato i monitor delle macchine mediche a cui aveva connesso Hoshikuzu Chikuma, ancora in coma farmacologico, sedette su una poltrona sgangherata e dedicò finalmente la sua piena attenzione ai due Kage.
    «Questo scheletro è interessante. Molto interessante. Così interessante che prenderò qualcosa per me, magari… si sa, la mia parcella è molto costosa. E i soldi, stavolta, non basteranno.» Disse la donna, tirando fuori dalla tasca un grosso lecca lecca colorato, che si piantò in bocca con noncuranza. Sorrise, reclinando leggermente la testa di lato e intrecciando poi le dita delle mani con allegria. «Ma possiamo fare meglio. Molto meglio.» Squittì e a quel punto la sua espressione mutò… e vi fu felicità nei suoi occhi verde smeraldo mentre lei, girandosi, indicò il broccato color porpora alle sue spalle. «Era da un po' che volevo farti vedere questa cosa, Raizen, e non potevo trovare un momento migliore. Anche questo è un mio vecchio progetto, sai… e anche io credevo di avere più tempo. Ma insieme credo che riusciremo a creare qualcosa di adorabile.» E così dicendo invitò la Volpe, con un gesto allegro della mano, ad oltrepassare il tendaggio. Prima, però, di aver fermato Itai. «Mi dispiace Mizukage.» Avrebbe detto la donna, inchinandosi. «Per quanto l’alleanza dei nostri Villaggi sia forte, vi sono segreti che entrambi custodiamo solo per noi stessi. Sono certa che anche tu capirai.» Ed era vero. Così vero da non essere appellabile.

    E poi accadde.
    Raizen Ikigami oltrapassò il tendaggio mentre alle sue spalle la sua unica allieva si gettava avidamente nello studio del suo progetto…
    …ritrovandosi di fronte ad un filare di cilindri di acqua blu compostamente ordinati.
    Dentro uno di questi galleggiava qualcosa. O come avrebbe presto scoperto l’Hokage: qualcuno. Un feto di due mesi, per la precisione.
    Attaccato al vetro vi era un foglio:

    #56
    Hotaka
    Kg: 0.40
    Condizione: Stabile



    Raizen Ikigami avrebbe allora capito che la sua allieva era davvero la più intelligente donna di Konoha. E la più promettente medico del Continente.
    Avrebbe capito il piano di lei. Le sue intenzioni e anche le sue ambizioni.
    Avrebbe capito queste cose e molte altre.

    Ma non tutte, però, apparivano luminose.

     
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