La Fonte Dorata

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  1. -Meika
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    La Fonte Dorata

    I



    Al mattino il risveglio fu difficoltoso. La notte era stata, per forza di eventi, largamente insonne e quando fui in piedi mi accorsi che Akira dormiva molto profondamente. Decisi di non svegliarlo e sgusciai silenziosamente fuori dal letto, rimettendomi qualcosa addosso. Indossai un paio di pantaloni del mio solito pigiama beige a fiori rosa ed una ventata di aria fredda mi ricordò che le temperature erano alquanto gelide. Così presi il maglione azzurro di Akira e lo indossai. Inutile dire che mi stava enorme. Il dolcevita si piegò in avanti e le maniche coprivano totalmente le mie braccia ed in generale mi arrivava quasi alle ginocchia. Sorrisi, passando appena le mani sul tessuto caldo, lanciando un ultimo sguardo ad Akira che dormiva placidamente (ed in maniera scomposta) nel letto. Sbadigliai, camminando verso la cucina finché non vi entrai, notando con un certo disappunto che la foga della sera prima aveva lasciato come regalino un caos alquanto poco invidiabile.
    Mh, bé, se devo preparare una mezza colazione meglio liberare il tavolo, no?, mi dissi a bassa voce, chinandomi sul tavolino basso pieno di piatti vari e residui alimentari. Non notai l'ombra che mi passò dolcemente alle spalle. Fluida come inchiostro entrò appena nel mio campo visivo per poi sparirne, troppo poco per spaventarmi, abbastanza da attirare la mia attenzione. Avevo la mente totalmente assorbita dagli eventi della notte scorsa, ed a ragione, così fu per me naturale che il pensiero toccasse Akira.
    Sì sì, l'ho rubato io il magl..., ma non terminai quella frase. Poiché, quando mi voltai, piatti in mano, non era Akira la persona che mi trovavo di fronte.


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    Che ci faceva lei lì? Perché si stava mostrando in quel momento? Il Demone senza nome si voltò e mi fissò. Aveva il mio aspetto, ma un vestito liquido che pareva inchiostro. Dalle scapole nascevano due ali che parevano fiamme multicolori che rassomigliavano a quelle di uno strano insetto pericoloso. Ma non era ciò che si discostava più dalla realtà ad essere strano, quanto più ciò che invece era solamente una naturale e possibile distorsione di quei tratti che il Demone condivideva con me. Le sue labbra erano piegate in un ghigno crudele totalmente che deformava così tanto il suo (ed il mio viso) da renderlo pressoché irriconoscibile. Gli occhi, neri e rossi, erano spalancati e curiosi, ma con un fondo di pura crudeltà in essi. Non mi era mai sembrata così vera. Chiusi allora gli occhi e la mia mente divagò, come avevo imparato a fare. Divagò in momenti felici, tornò indietro alla barca che ci condiceva a casa dopo il primo viaggio alla Fonte Pura a quando Akira mi aveva stretta a se consolandomi per la paura che provavo, della paura che il demone potesse rendermi un mostro. Ma quelli appena accaduti erano momenti felici.
    Le mani di Akira che mi sollevavano quasi fossi senza peso, lo stringersi nudi dopo e dunque parlare e ricominciare. Non mi era mai accaduto in vita mia ed ora che era successo non potevo far altro che nutrire il serbatoio dei miei ricordi felici. Ma da tali ricordi nascevano paure. E le paure portavano a lei.
    Lo trascini sempre in pericolo, vero? Cosa hai fatto per lui? Lui ti ha accompagnata ovunque, ti ha protetta in ogni modo, era vero, ma anche io avevo protetto lui quando eravamo sul punto di morire assiderati, affamati o mangiati da una qualche bestia dopo il naufragio. Ed in quel caso non lo stavo mandando in una situazione di pericolo. O forse no? Dopotutto la Fonte Insanguinata era sempre in agguato, furiosa con gli umani e pronta a scatenar guerre alla minima ingerenza. Ignorai allora il Demone e mi diressi a passi veloci in cucina, posando con un po' troppa forza le stoviglie nel lavello.
    Sei un tale peso per lui! Ed alla fine finirà per farsi male, molto male a causa tua e tu, debole come sei, non potrai far nulla per evitarlo..., strinsi i pugni, cercando di ribellarmi contro la mia stessa mente. Quando il momento in cui le mie previsioni si avvereranno ricordati che Hakuki te l'aveva detto, e dette quelle parole scomparve, lasciandomi sola e scossa a fissare le stoviglie davanti a me. Rimasi per alcuni secondi ferma e ripensare a quelle parole che sapevo essere solo un'espressione dei miei pensieri uniti ad una mente troppo abituata a creare ciò che immaginava per non esserne in qualche modo colpita. L'illusione è solo un'illusione, ripetei a me stessa. La realtà è l'unica cosa che conta, ripetei le parole che mia madre aveva insegnato a mio padre e che mio padre aveva insegnato a me. Non riuscivo a capire se mi sarebbero servite in quel momento, perché l'illusione continuava a dirmi cose vere. Le mie più profondi ed irrazionali paure messe a nudo e pronte ad esplodere, così come quella furiosa vendetta esplosa mesi prima contro Chi-Hi. Ed ora che avevo persino chiarito i miei sentimenti verso Akira quei timori erano aumentati a dismisura. O forse c'era un altro significato? Non potevo saperlo per certo e c'era solo un'altra persona a cui avrei dovuto chiedere: mio padre.




    Akira non avrebbe avuto sentore di ciò che era successo col Demone, a meno che non si fosse svegliato e non mi avesse vista in quei cinque minuti di shock durante i quali fissavo i resti del kouzomuchi aromatizzato all'aceto in preda ad una respirazione rapida e ad un tremore appena accennato. Dopo che lui fu andato via ripulii casa, cancellando le tracce della serata passata. Alla sera, come previsto, rientrò mio padre. Quando mi rivide il sollievo sul suo viso fu tale che non potei far altro che andare verso di lui ed abbracciarlo, affondando il viso nel cavo del collo. Lui mi carezzò i capelli con dolcezza.
    Che sollievo vederti sana e salva, mi disse dimostrando quella sensazione nell'inclinazione della sua voce. Sciolsi quell'abbraccio, ridacchiando appena al pensiero di tutte le disgrazie accadute nella missione.
    Dovresti provarne! Dovresti sapere cos'è successo... AH! Indovina chi è stata promossa a Chunin?, e con quel tono scherzoso iniziò una delle più serie conversazioni che avessi mai avuto con mio padre. Il racconto del viaggio andò abbastanza tranquillamente se non per le ovvie imprecazioni nei punti salienti: il naufragio, la valanga e la buccia di pera. E da lì il discorso si spostò sulla promozione e su quanto lui fosse orgoglioso, cosa che mi provocò un profuso rossore.
    Papà devo dirti altre cose, dissi con tono serio, versandomi del the nella tazza. L'uomo bevve il suo con somma indifferenza.
    Ah sì, dunque è arrivato il momento in cui mi dici che devi andare da qualche parte? Cos... EH! Come fai a saperlo, domandai con la bocca evidentemente spaventata.
    Sarà che ultimamente quando inizi qualcosa con quel tono sarà perché devi andare in giro a far qualcosa con quell'Akira, fece uno sguardo supponente lanciandomi un'occhiata indagatrice al di sopra della tazza di the che aveva avvicinato alle labbra.
    Beccata, ammisi tenendo lo sguardo verso il basso.
    E dove dovresti andare?, mi domandò, evidentemente incuriosito.
    Dai Kappa. Voglio stringere un contratto con loro come fece la mamma, spiegai allora, mentre i miei occhi si spostarono sulla foto di mia madre che campeggiava in salotto. Anche lo sguardo di mio padre tornò sulla foto di sua moglie morta ormai da diversi anni ed un naturale sospiro di preoccupazione sfuggì dalle labbra dell'uomo.
    Sei sicura che sia la cosa giusta?, mi domandò allungando contemporaneamente una mano verso me stringendomi le dita delicatamente. Annuii piano con un movimento del capo appena accennato.
    Sì, loro hanno aiutato la mamma quando era in difficoltà... e quando lei è stata uccisa l'hanno seppellita, il ricordo dell'arbusto di fiori neri che cresceva laddove era stato seppellito il corpo di mia madre era sempre vivido in me. Ed ogni volta che con la mente tornavo lì, accadeva che qualche tremito mi cogliesse o che gli occhi bruciassero per l'emozione.
    È vero, ma la ci sono i Kappa che l'hanno uccisa, disse allora lui con voce grave. Cercai di sorridere tranquillizzante, senza però essere sicura di poterlo essere. Per questo non ci vado da sola, risposi.
    AH! Dunque ci vai con Akira, ovviamente. Che te lo chiedo a fare. Ma non è che c'è qualcosa tra voi due, eh?, lo sguardo sospettoso di mio padre indusse una chiara (e comprensibile) reazione d'imbarazzo che mi portò ad arrossire vistosamente e furiosamente. Aveva colto nel segno ovviamente... non che ci volesse poi chissà quale intuito (del quale - per inciso - mio padre era abbondantemente sfornito).
    M..m...ma c..che... che dici!, dissi con un tono di voce un po' troppo alto, che a quel punto equivaleva ad una confessione. Lui rimase in silenzio, cercando di trattenere una risata e sembrar serio e preoccupato.
    Bah, spero che stia ben attento ... A cosa? A dove mette le mani ovviamente!
    Ebbi la certezza di aver avuto un infarto.


    Quando, dopo alcuni secondi, ebbi nuovamente cancellato dalla mente le immagini delle mani di Akira che facevano esattamente ciò che mio padre non voleva facessero ed ebbi riacquistato un po' di contengo, decisi che era giunto il momento di riportare la conversazione su un livello considerato accettabile: il Demone.
    Papà, oggi mi è successo qualcosa, col Demone, le mie parole concellarono all'improvviso il sorrisetto divertito che gli era nato sul volto nel vedermi totalmente impallata in preda all'imbarazzo.
    Cosa è successo?, il suo tono serissimo.
    Oggi mi ha parlato ancora, ha... Il Demone non è reale, lo sai? Non è un'altra entità che vive nella tua testa Meika, è solo la materializzazione del lato di te che non esprimi. Qualsiasi cosa ti abbia detto è solo la verità che tu intimamente credi, ciò che disse mi lasciò spiazzata. Aveva analizzato il problema ancor prima che potessi spiegarglielo!
    Non posso pensare a certe cose... sono sbagliate, dissi allora a bassa voce abbassando lo sguardo sul tavolo. Lui mi afferrò il mento con le sue grandi dita piene di calli e cicatrici e me lo sollevò dolcemente.
    Le pensi, Meika, ciò significa che l'unica cosa che puoi fare è comprendere se sono vere o combattere affinché non si avverino.




    E così giunse il giorno della partenza che, per via della riunione fu rimandata prima per l'obbligo di rimanere nel Villaggio prima, poi di alcuni giorni per via delle prime incombenze dovute alla riapertura dell'ospedale. Quando però, con circa una decina di giorno di ritardo rispetto alla partenza prevista, la possibilità del viaggio fu concretizzata si decise di partire al tramonto del giorno successivo. Il viaggio sarebbe durato così almeno tre giorni, dunque da lì sarebbe stata una certa scampagnata fino a Sakane e poi al Bosco delle Mille fonti. Una volta nella cabina della nave passeggeri lasciai in un angolo lo zaino con le provviste per il viaggio. Akira aveva avuto modo di notare che qualcosa mi impensieriva, ma a qualsiasi domanda precedente avrei risposto solo con un "va tutto bene" ed un sorriso. Tuttavia, quando il dondolio della nave mi fece rendere conto che stavamo partendo per davvero, non potei non parlare.
    Akira..., la mia voce era più bassa del solito. Sedetti sul letto, incrociando le gambe e guardandolo in viso. Pensi mai che tutti questi giri che ti faccio fare, tutti i pericoli che ti faccio correre siano un peso tremendo per te?, mentre dicevo quelle parole il mio guardo si era abbassato al pavimento di legno della cabina. Forse quella domanda delineava una certa paranoia. Avevo paura che fosse così. Nel mio disperato tentativo di far sempre la cosa giusta spesso ero severa oltre ogni limite con me e con ciò che pensavo di poter chiedere agli altri. Per cui finivo per pensare che qualsiasi cosa mi fosse concessa in realtà non fosse realmente meritata. La promozione, l'incarico nella Squadra Medica, persino l'affetto di Akira ed il suo costante aiuto. E su quelle paure il Demone si faceva forte, poiché dall'incertezza nasceva la paura e sulla paura si costruivano le basi per scelte sbagliate.

     
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