Questione di Vita o di Morte

[Intro per Nago Yamagata]

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  1. Alastor
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    Questione di Vita o di Morte • capitolo uno
    Il Cammino dell'Uomo Timorato



    «Buongiorno Kayo!» esordì il ragazzo facendo scorrere la porta shouji ed entrando nella stanza.
    Si portò un piccolo laccio nero alla bocca e cominciò a trafficare con la sua lunga chioma rossiccia, muovendo agilmente le dita nel realizzare una treccia con la rapidità e l'esperienza di un ragno tessitore. Il risultato non era mai del tutto impeccabile, anche perché l'operazione non veniva eseguita davanti a uno specchio, ma a lui non importava. Sua sorella era già intenta a sistemare il futon quando, all'ingresso di lui, si voltò a guardarlo con espressione raggiante.
    «Buongiorno Niichan!» rispose con un gran sorriso, andandogli incontro e stampandogli un bacio sulla guancia. Non senza la collaborazione del giovane, si intende, che ancora intento ad addomesticare la criniera rispose al sorriso e chinò il collo per consentire alle labbra della sorellina, ben più bassa di lui, di raggiungerlo.
    «Come ti senti oggi?»
    «A te cosa sembra?» replicò lei, posando le mani sui propri fianchi con aria fiera.
    «Sei ancora un po' sciupata» constatò lui osservandola con attenzione, quasi assorto.
    «Ma che dici?!» protestò lei, incrociando le braccia e gonfiando le guance.
    «Guarda che sto molto meglio, non c'è proprio paragone! Prima non riuscivo neanche ad uscire dal futon, mentre adesso posso stare all'impiedi per la maggior parte del tempo. E faccio cose, aiuto Kaasan, non me ne sto con le mani in mano! E poi—»
    E poi niente. Le sue parole furono interrotte da un gesto improvviso del fratello, che afferratola per un braccio la tirò a sé ridacchiando.
    «Va bene, va bene, ho capito. E' vero che stai meglio. Considerando quello che hai affrontato non avresti potuto fare di meglio, stai recuperando ad una velocità pazzesca. Sei proprio la mia sorellina!» dichiarò con orgoglio, baciandole la fronte.
    «Però non sei ancora del tutto in forze, quindi non devi sforzarti troppo. E soprattutto devi mangiare a dovere, non hai ancora ripreso il tuo peso. Sei sempre stata magra, però dai guarda qua.»
    Con le mani la afferrò sotto le braccia sollevandola da terra, facendo su e giù tre o quattro volte, come fosse un esercizio di sollevamento pesi o qualcosa del genere.
    «Cioè, sei leggerissima!»
    «E finiscila, scemo!» protestò la giovane, dandogli un pugno sul naso.
    «Ahio!»
    Decisamente ottenne ciò che voleva, perché Nago immediatamente lasciò la presa per portarsi le mani al viso.
    «Allora, mi trovi così tanto inferma?» sorrise divertita, sbattendo le palpebre con aria innocente.
    Il ragazzo si limitò a fissarla massaggiandosi il naso, scuotendo appena la testa. Poi le sorrise a sua volta amorevole e le diede un pizzicotto bello robusto sulla guancia, non si sa bene se come gesto di affetto o di vendetta.
    «AHIO!»
    «Ci vediamo più tardi, Kayo» si congedò alla fine da lei.
    Uscì dalla stanza e si avviò verso l'ingresso facendo prima capolino nella cucina.
    «Kaasan, io esco.»
    «Ti sei occupato dell'orto?»
    «Sì, già fatto tutto. A dopo!»
    «Dove vai, Niichan?» chiese la giovane Kayoko, che intanto aveva raggiunto i due.
    «Già, dove vai di bello Nago?» le fece eco sua madre, seppur con un tono tra l'ironico e l'inquisitorio. La donna aveva una strana sensazione da quando si era svegliata.
    «...»

    Il ragazzo dalla rubiconda capigliatura e sua madre si erano del tutto ristabiliti ormai, erano tornati al loro stato di forma migliore. La più giovane della famiglia, invece, aveva ancora qualche settimana davanti, ma stava andando molto bene. Era stata dimessa dall'ospedale da un pezzo ormai, e da quel momento i miglioramenti erano stati costanti e visibili a tutti. Senza ombra di dubbio anche lei avrebbe avuto un totale recupero, c'era solo un altro po' da pazientare. Tutto sommato era stata davvero fortunata, se si considera che non molto tempo prima la sua vita era stata appesa a un filo.
    Vengono i brividi a ripensarci, eppure l'arrivo di Nago e della sua famiglia a Konoha, in circostanze tutt'altro che piacevoli, risaliva ad appena...


    4 mesi fa


    «Tornerò a trovarti, Tousan. Presto.»
    Una figura genuflessa dai lunghi capelli rossi si sporse ulteriormente in avanti finché il suo volto poté toccare la nuda terra. La baciò ed affondò in essa ambo le mani tremanti.
    «Perdonami, Tousan» sussurrò dopo una lunga pausa, e le lacrime gli solcarono il viso ormai smunto andando a bagnare quello stesso terreno dove affondava una tavola di legno rettangolare, che si ergeva impassibile a due metri di distanza di fronte a lui. Una tavola che lui stesso aveva inciso, andando a tracciare con la punta di un coltello i quattro kanji che componevano il nome del defunto padre: Mansuke Yamagata.
    Nago restò lì fermo per almeno quindici minuti, disteso bocconi faccia a terra, la terra che a malapena lo separava dalle spoglie dell'amato genitore. Difficile capire se stesse pregando oppure cercasse, a modo suo, di chiedere consiglio e conforto. Eppure raccolse le energie per fare ciò che doveva.
    Si levò finalmente in piedi e il suo viso era risoluto. Se lo asciugò grossolanamente passandoci sopra la manica del kimono che avvolgeva il suo braccio, poi si incamminò verso casa, proprio lì sulla medesima proprietà, scrollandosi di dosso il freddo terriccio bagnato dalla stagione invernale.
    «Kaasan, sei pronta?»
    «Sì. Ho già salutato tuo padre...» rispose la donna, abbassando lo sguardo e tacendo per qualche secondo.
    «...»
    «...e d'altro canto non c'è granché da preparare visto che non abbiamo nulla da portare con noi. Però...sei sicuro che sia una buona idea?»
    «Che intendi dire? Dobbiamo andarcene da qui, Kaasan. Lo vedi anche tu come sta Kayo.»
    «Lo so bene che ha bisogno di cure, o credi di essere l'unico che si preoccupa per lei?!» ribatté Nahoko aggressiva.
    Il giovane fu un attimo preso di sorpresa da quella reazione, cosa che non mancò di mostrare sgranando gli occhi e aggrottando la fronte.
    «Certo che no, Kaasan. Io—»
    Ma la madre già si era resa conto dell'ingiustizia e dell'acidità della sua replica, e subito si avvicinò al giovane toccandogli una guancia con la mano.
    «Perdonami Nago, non volevo dire una cosa del genere. È che...» esitò, mentre gli occhi si facevano lucidi, e appena lo avvertì si voltò allontanandosi di qualche passo dal figlio.
    Detestava mostrare il suo lato più fragile, ed in particolar modo davanti ai suoi bambini, per i quali riteneva di dover essere un solido punto di riferimento, specialmente ora che loro padre era venuto a mancare. Doveva essere la loro roccia, eppure in quel momento si sentiva sgretolare sotto gli incessanti colpi della burrasca.
    «Ultimamente sono successe così tante cose, sembrano piovute dal cielo come piaghe divine per distruggere questa casa e questi luoghi. Credevo di essere abbastanza forte da poter sopportare qualsiasi cosa, ma adesso Kayo...la mia piccola Kayo» singhiozzò, continuando a dare la schiena all'altro.
    «Non credo che potrei farcela» concluse a fatica in un bisbiglio a malapena udibile.
    Subito la raggiunse l'abbraccio di Nago, il quale la strinse con tutte le sue forze. Non che fossero granché in quel dato momento, ma ciò non conta. Poggiò il mento su una spalla di lei, mentre inclinando la testa la osservava silenzioso pulirsi affannosamente il volto.
    «Scusa, me ne sto qui a piagnucolare come una donnetta qualunque in un momento come questo» riprese, ma dalla sua voce era già evidente che i suoi nervi fossero di nuovo sotto controllo. «Inoltre non sono certo da sola ad aver vissuto queste cose, quindi farei meglio a tenere la bocca chiusa» concluse severa.
    Il ragazzo sciolse l'abbraccio e, poggiatele le mani sulle spalle, la voltò così che fossero faccia a faccia. Con le dita le asciugò del tutto il viso, poi le sorrise benevolo.
    «Kayo è una ragazza forte, proprio come sua madre. Si rimetterà. Starà bene, te lo prometto!»
    Nahoko gli sorrise a sua volta e annuì con decisione.
    «Ma occorre che ci sbrighiamo, quindi mettiamoci subito in viaggio.»
    «Ma sei sicuro di farcela? Guarda che la nostra meta dista centinaia di chilometri da qui, ci impiegheremo qualche giorno ad arrivare» obiettò la donna. «Trasportare tua sorella in spalla sarebbe estenuante anche se tu fossi in perfetta forma, figurarsi nelle nostre condizioni.»
    Su questo non le si poteva dar torto. La carestia e la mancanza di scorte di cibo avevano trasformato quell'inverno in un assassino silenzioso e paziente. Tutti al villaggio avevano patito la fame, e la famiglia Yamagata non faceva eccezione. Chi non era già morto per gli stenti oppure era troppo ostinato o malridotto per lasciare la propria dimora, già aveva abbandonato quelle terre o era in procinto di farlo nell'immediato. Ma solo Nago, assieme ai suoi cari, si accingeva addirittura a valicare il confine del Paese. Questo perché le condizioni di salute della giovane Kayoko si erano parecchio aggravate, e occorreva al più presto che dei medici esperti si occupassero di lei. Alla luce di ciò la destinazione migliore, l'unica realmente da prendere in considerazione se si volevano aumentare al massimo le probabilità di una buona e felice riuscita della spedizione, era una e una soltanto. Ma torniamo a noi.
    Dicevamo che Nago non era propriamente al top della forma. Un tipo normalmente pieno di vitalità e sempre in movimento, ora era costretto a razionare le energie nella maniera più efficiente possibile. Una pratica più che necessaria per chiunque faccia la fame e cerchi di non soccombere ad essa. Diciamo che l'impresa che il ragazzo aveva in mente era abbastanza ambiziosa, considerate le circostanze.
    «Forse sarebbe meglio se tu andassi da solo. Puoi cercare aiuto e poi tornare con i soccorsi.
    Resterò io qui a vegliare su Kayo.
    »

    Il ragazzo scosse vigorosamente la testa.
    «No. Anche muovendomi da solo non potrei andare veloce più di tanto, perché non sono abbastanza in forze.»
    Abbassò lo sguardo serrando la mascella, amareggiato.
    «Ci metterei meno tempo ad arrivare lì, ma poi si dovrebbe anche tornare indietro, quindi alla fine ci vorrebbe troppo.
    E poi, magari arrivo lì e nemmeno mi danno retta. Non sono certo che quelli di cui abbiamo bisogno mi seguirebbero così su due piedi.
    »

    «Nago...»
    «Inoltre, a dirla tutta» proseguì lui guardandola negli occhi «non ho la minima intenzione di lasciarvi qui da sole. Tra non molto questo posto sarà praticamente deserto. Non se ne parla» sentenziò, inflessibile.
    «Non devi preoccuparti per me, Kaasan. Ce la farò, poco ma sicuro!» dichiarò con totale convinzione.
    Nahoko restò a riflettere per qualche istante a braccia conserte, tamburellando le dita, come intenta a valutare il da farsi. Alla fine sospirò sonoramente, inarcando leggermente un sopracciglio mentre fissava suo figlio.
    «Immagino che stiamo per scoprirlo.»
    «Tu piuttosto, riuscirai a fare tutta quella strada e a stare al passo?» chiese Nago, genuinamente preoccupato.
    Il sopracciglio della donna si inarcò ancora di più.
    «Senti un po' ragazzino, ne devi mangiare ancora di ciotole di riso prima che tu possa permetterti di stare in pensiero per tua madre. Pensa per te, piuttosto. Forza, diamoci una mossa.»
    Le condizioni di lei non erano certo migliori di quelle del figlio, al contrario. Ma era anche vero che lei avrebbe avuto il lusso di scarrozzare solo se stessa in giro, e considerando la sua fibra piuttosto ragguardevole non era affatto implausibile che anche lei potesse affrontare quel viaggio.
    Il ragazzo annuì e senza perdere altro tempo si recò nella camera da letto dove riposava sua sorella. La prese in braccio e la portò fuori, dove la mise un attimo a sedere su un gradino.
    «Kaasan, dammi un paio di tasuki. Voglio assicurarla bene a me, così che non possa cadere mentre la porto.»
    La donna, dopo aver frugato lestamente in un cassetto, tornò porgendo al figlio un tasuki e un kaku obi, la cintura che era stata di suo marito. La seconda si prestava ancora meglio allo scopo rispetto alla prima, essendo decisamente più spessa e robusta.
    «Andranno benissimo» osservò Nago prendendole entrambi e usandole assieme per dare ancora più forza all'imbracatura. Le fece passare dietro la schiena e sotto le braccia di Kayoko, poi si accovacciò davanti a lei dandole la schiena, tirando le cinte sopra le sue spalle mentre la ragazza istintivamente si aggrappava a lui, seppur debolmente. Il ragazzo si portò all'impiedi e con un piccolo saltello sistemò meglio la sorellina sulla parte alta della schiena, poi rapidamente incrociò tasuki e obi davanti al busto, li fece passare dietro le ginocchia piegate di lei e infine fece un altro paio di giri in vita per poi completare con un bel nodo. Scongiurata la possibilità che il "carico" potesse cedere facilmente o sbilanciarsi all'indietro e cadere, il giovane dalla rossa treccia giunse le mani dietro la schiena, sotto il sedere della parente, per sostenerne meglio il peso.
    «Comoda?» le chiese sorridendo.
    «Nii...Chan...» riuscì solo a dire, stremata.
    «Ti portavo spesso sulla schiena in questo modo quando eravamo bambini, te lo ricordi?»
    Breve pausa.
    «Be' in realtà tu sei ancora una bambina.»
    «Chiudi il becco» replicò lei flebilmente accennando però un sorriso, prima di poggiare la testa sulla spalla del fratello maggiore e chiudere gli occhi.
    Nago per tutta risposta girò il capo e le diede un bacio sulla guancia.
    «Tranquilla, ci pensa Niichan a te. Kaasan» si rivolse poi a sua madre. «Andiamo.»
    E i tre si misero in cammino.
    «Ci pensa Niichan» ripeté il giovane in un sibilo quasi inudibile.


    qualche giorno dopo


    Il ragazzo inciampò ma riuscì a piantare giù le mani prima di andare faccia a terra.
    Ansimando, il viso imperlato di sudore, con un certo sforzo si riportò in posizione eretta, verificando anche che Kayoko non si fosse fatta niente.
    «Ti sei fatto male?»
    «È questo diavolo di zouri!» esclamò lui stizzito scalciando via dal piede destro il sandalo fatto di paglia di riso e il cui hanao, ovvero la stringa che lo teneva fissato al piede, si era rotto facendolo cadere.
    La madre con grande pazienza andò a raccoglierlo, fiduciosa di poterlo riparare facilmente a tempo debito. Nel frattempo Nago accostò la guancia a quella della sorella, la quale ultimamente sembrava non fare altro che dormire.
    «Kaasan, Kayo scotta» disse lui col fiato corto, decisamente preoccupato.
    Lui stesso era piuttosto accaldato data la fatica a cui si stava sottoponendo, quindi era evidente che...
    «La febbre deve esserle salita ancora» confermò la donna, mettendo una mano sulla fronte della figlia, e coprendo la propria espressione avvilita con l'altra.
    «Sbrighiamoci» tagliò corto lui, riprendendo la marcia.
    «Ormai ci siamo, guarda! Siamo arrivati, Kaasan!» esultò, e quasi gli veniva da piangere per il sollievo.
    Erano fuori dalla fitta vegetazione che ricopriva gran parte del Paese del Fuoco e proprio lì, un centinaio di metri più avanti, si ergeva un enorme portone di legno affiancato da altrettanto imponenti mura: l'ingresso al Villaggio della Foglia.

    I nuovi giunti sicuramente sarebbero stati notati da chi era di sentinella già da una considerevole distanza, mentre si avvicinavano.
    Tutti e tre indossavano dei kimono lunghi di fattura tutt'altro che pregiata, e tutti e tre avevano capelli rossi più o meno lunghi, seppur di sfumature leggermente diverse. E tutti e tre avevano una gran brutta cera, neanche a dirlo. Specialmente la più giovane di tutti, la quattordicenne ancora portata in spalla dal fratello poco più che ventenne. La donna invece, che aiutava il proprio passo col sostegno di un logoro ombrello rosso, unico oggetto che la famiglia aveva portato con sé dalla sua casa, dimostrava meno di quarant'anni malgrado i lineamenti provati dalle recenti privazioni.
    Un passo davanti all'altro l'insolito terzetto si avvicinava.
     
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12 replies since 20/5/2016, 22:24   148 views
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