Questione di Vita o di Morte

[Intro per Nago Yamagata]

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  1. Alastor
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    Questione di Vita o di Morte • capitolo due
    Le Barriere



    «Nevica!» esclamò Nago quando un piccolo fiocco di neve si posò sulla punta del suo naso arrossato dal freddo.
    Lo disse con il tono estasiato di chi accoglie un fenomeno del tutto inusuale ma incredibilmente gradito. Levò il viso verso l'alto mentre gli occhi si chiudevano e la bocca si spalancava, e la lingua veniva fuori come a voler assaporare quelle candide briciole di cielo. Il semplice fatto che avesse cominciato a nevicare pareva capace di rasserenare un po' l'ormai stremato ragazzo.
    Ma tale irrazionale sentimento durò solo pochi istanti, perché immediatamente il giovane tornò ad aprire gli occhi. O più precisamente li sbarrò come se si fosse di colpo reso conto di un tremendo errore.
    «Oh no, non adesso!» si lamentò, guardandosi intorno sconsolatamente, come in cerca di qualcosa.
    «Solo questa ci mancava» si accodò sua madre, decisamente contrariata.
    Kayoko aveva la febbre alta e se già il dover tollerare il freddo invernale metteva di per sé alla prova la sua cagionevole condizione, il fatto che le nevicasse addosso non poteva che aggravare ulteriormente la situazione.
    «Presto Kaasan, l'ombrello!»
    Quale fortunata coincidenza o benevolo atto della provvidenza! Tra tutte le cose possibili ed immaginabili, l'unica che era stata portata via dalla vecchia casa ormai decine di ri alle spalle, era proprio quella che in una circostanza del genere risultava più utile. Un comune wagasa, un ombrello tradizionale di colore rosso, anche abbastanza logoro a dire il vero, ma un prezioso ricordo e cimelio di Mansuke Yamagata, compianto marito e padre della sventurata famiglia.
    Nago e la donna si scambiarono uno sguardo pregno di significato e intuirono di aver avuto lo stesso pensiero. Sembrava che neanche la morte potesse impedire al caro defunto di continuare a vegliare e a proteggere i suoi cari. Tale pensiero li fece sorridere seppur in maniera malinconica.
    «Lo so» disse prontamente la donna mentre procedeva ad aprire l'ombrello. «Ma non credo di riuscire a reggermi bene sulle gambe senza il suo sostegno. Temo di essere al limite» ammise dolente.
    Nago era altrettanto stremato, soprattutto perché aveva trasportato per tutto il tragitto sua sorella sulle spalle, inoltre aveva entrambe le mani occupate dietro la sua schiena per aiutarsi a reggere il peso. Non poteva offrirsi di tenere l'ombrello, di quello doveva per forza occuparsi sua madre.
    «Reggiti a me» la esortò muovendo leggermente il braccio a lei più vicino, come ad indicarle dove poteva aggrapparsi.
    La donna eseguì senza dire una parola, mettendosi sotto braccio del figlio, mentre con quello libero sollevava il wagasa sopra le teste dei due ragazzi. Il riparo che questo forniva era però tutt'altro che totale. Come detto, l'accessorio aveva visto tempi migliori e la copertura di carta bagnata in olio di lino presentava persino un paio di buchi, sebbene non enormi.
    «Non fa niente se io e te ci bagniamo Kaasan, cerca solo di coprire Kayo meglio che puoi.»
    «Ci sto provando» assicurò lei, rendendosi conto che ormai il solo fatto di tenere un braccio sollevato richiedeva uno sforzo incredibile e, suo malgrado, continuava ad avanzare gravando sul figlio più di quanto avrebbe voluto.
    «Forza, ormai ci siamo» la incoraggiò lui. Ed era vero.
    Passo dopo passo, incerto che fosse, il gate si faceva sempre più prossimo. E come loro lo vedevano, esso già aveva visto loro. A Nago non sfuggì un certo movimento sulla sommità delle mura, dove alcuni individui vestiti più o meno in maniera simile tra loro si affrettavano a destra e a manca lungo la fortificazione per poi arrestarsi in una sorta di schieramento, come in attesa di qualcosa.
    Il giovane aggrottò la fronte e strinse le labbra, c'era qualcosa che non gli quadrava.
    «Kaasan, secondo te ci vogliono le braccia di tutte quelle persone per aprire il portone?» chiese dubbioso, genuinamente ignaro che la principale funzione di quei tipi, armati fino a i denti, fosse tutt'altra.
    «Non saprei...» rispose sua madre, incerta.
    «Non mi aspettavo chissà quale accoglienza, ma questi sembrano quasi avercela con noi! Non ci manderanno via, vero?» fece lui ancora, preoccupato.
    «Insomma, chi sarebbe così meschino?»
    «No, lo escludo» lo rassicurò sua madre.
    «Nei villaggi ninja funziona così, ci sono dei guardiani che sorvegliano i confini e si assicurano che non entrino dei malintenzionati. Quando sapranno il motivo per cui siamo qui sono sicura che ci lasceranno passare.»
    Essì, che diamine! Non poteva essere altrimenti.
    «Tu lascia parlare me» aggiunse in fretta, temendo gli inenarrabili disastri dei quali era capace suo figlio quando veniva lasciato libero di agire. Lui non rispose.
    A quel punto erano ormai giunti davanti all'immenso ingresso della Foglia. Un solo individuo era sceso a terra separandosi dalle altre sentinelle e adesso si parava di fronte a loro.
    Nago lo osservò con curiosità: era la prima volta che incontrava un ninja, almeno che lui ricordasse. Doveva averne sentito parlare almeno un paio di volte ovviamente, anche se non aveva mai prestato particolare attenzione a quel genere di storie. Non ne aveva mai visto uno in carne ed ossa però.
    La prima cosa che lo colpì è che quel tizio pareva essere più o meno suo coetaneo, mentre si sarebbe aspettato qualcuno di più anziano. Aveva tuttavia un'aria distinta e ordinata, era appena più basso di lui e aveva occhi e capelli neri come la notte. La sua figura era avvolta in un manto nero che gli cascava dalle spalle. A dirla tutta aveva quasi un che di lugubre.
    «Io sono Uchiha Atasuke, shinobi di Konoha... Chi siete e cosa cercate?»
    Persino il suo modo di parlare era freddo e impassibile come i suoi lineamenti. Non appariva per nulla turbato dalle condizioni drammatiche in cui versavano i tre che aveva di fronte, e se in realtà lo era lo nascondeva davvero alla perfezione. Nago però non si perse d'animo e fece un passo in avanti, portando con sé anche sua madre, che ovviamente era ancora attaccata a lui per sostenersi.
    Continuò a guardare lo sconosciuto. La fatica e le ultime notti tutt'altro che ristoratrici avevano reso i suoi occhi arrossati, cosa che se possibile faceva spiccare ancora più del solito le sue iridi di un grigio molto chiaro, sebbene al tempo stesso lo sguardo non fosse limpido e vivace come suo solito. La treccia che raccoglieva la chioma rosso vibrante era ormai più sfatta che altro, e ciocche e ciuffi di capelli andavano liberi e disordinati dove gli pareva. Il viso era emaciato, far la fame aveva lasciato il suo segno come anche sul resto del corpo, e questo valeva per tutti e tre gli stranieri.
    Quanto ancora avrebbero retto le stanche membra martoriate da privazione e sforzo?
    «Ciao Atasuke» salutò amichevole il ragazzo d'un tratto, la voce leggermente biascicata ma ormai non è che ci si potesse aspettare miracoli dalla resistenza di questo giovane uomo.
    «Dobbiamo portare con urgenza mia sorella in ospedale, i convenevoli a dopo.»
    In un colpo solo aveva dato dimostrazione, ancora una volta, di non sapere neanche dove fossero di casa le buone maniere e neanche vagamente gli era sovvenuto di dover utilizzare un linguaggio più formale e rispettoso per rivolgersi a quello che, coetaneo o no, doveva presumibilmente essere un tale che ricopriva un certo rango per stare dove stava.
    No macché, figuriamoci. Purtroppo tutti avrebbero imparato fin troppo presto che quello era praticamente il solo modo in cui Nago si rivolgeva alle persone di norma, chiunque esse fossero.
    Ma la cosa ancora più grave era che il ragazzo aveva platealmente contravvenuto al volere di sua madre, che gli aveva espressamente detto di lasciare a lei la parola.
    La ritorsione non si fece attendere.
    «AHIA!»
    Il ragazzo immediatamente sentì un breve quanto acuto dolore alla parte interna del braccio, quello stesso braccio a cui era avvinghiata la madre.
    Un semplice pizzicotto. Ma non di quelli affettuosi o bonari, no. Uno di quelli cattivi. Uno di quegli infamissimi pizzicotti che prendono solo un millimetro di pelle e poi stringono. Con le unghie.
    Be', in fondo se l'era cercata no?
    «La prego di perdonare la sua irruenza, Uchiha-san» si rivolse la donna al guardiano, cercando come meglio poteva di fare un leggero inchino.
    Anche la voce della donna era ormai ridotta ad un affannoso sussurro.
    «Si può sapere perché l'hai fatto?» protestò il figlio, guardandola sconvolto.
    «Sbaglio o si era stabilito che mi sarei occupata io di spiegare la nostra situazione?» ribatté lei a denti stretti, fulminandolo con lo sguardo.
    «Spiegare? Ma non abbiamo tempo per queste cose adesso!» si spazientì lui, incredulo del fatto che ci fosse bisogno di dar voce ad argomentazioni assolutamente scontate dal suo punto di vista.
    «Kayo sta male e continua a peggiorare! Non c'è un minuto da perdere!»
    «Credi che non lo sappia?!» replicò lei esasperata dalle lamentele di suo figlio e da tutta quella situazione, con un guizzo di energia, pur sotto forma di rabbia, che non sospettava di conservare ancora.
    «Ma se non li convinciamo» fece un cenno col capo verso Atasuke, «che non abbiamo cattive intenzioni, non ci lasceranno passare, vuoi capirlo o no?»
    Ormai la guardia ammantata di nero era stata praticamente tagliata fuori da una conversazione che proseguiva come se lui non ci fosse, e non poteva fare altro che assistere alla discussione che si stava consumando davanti a lui.
    «E a chi potremmo mai nuocere? Siamo sfiniti, affamati, ed è un miracolo se ci reggiamo ancora in piedi! Non riusciremmo a far male a una mosca neanche se lo volessimo, figuriamoci riuscire a creare problemi in un luogo pieno zeppo di abili guerrieri!»
    Nago aveva sempre di più il fiatone, si stava innervosendo parecchio.
    Non riusciva a credere che quello spaventapasseri nero se ne stesse lì impalato anziché invitarli subito ad entrare e offrire soccorso. E non riusciva a credere che sua madre non lo stesse appoggiando in quello che diceva.
    «L'unica cosa certa e palese qui è che una ragazza sta lottando per la sua vita mentre noi stiamo qui a perdere tempo! Ma che razza di—»
    «Nii...Chan...»
    Prima che Nago potesse completare la frase, la voce pur flebile e fragile come il cristallo di Kayoko riuscì a sedare in un attimo gli animi. Non che fosse propriamente sveglia, probabilmente stava solo parlando nel suo stato di dormiveglia causato dalla febbre alta e non aveva realmente coscienza di cosa stesse accadendole intorno, cionondimeno tanto bastò a ripristinare una parvenza di calma generale.
    «Scusami se ho alzato la voce, Kayo. È tutto a posto» le sussurrò il fratello maggiore all'orecchio con dolcezza, piuttosto desolato.
    Poi abbassò il capo, espirando profondamente.
    Si rese conto finalmente che gli abitanti del villaggio non avrebbero concesso loro asilo se non si fosse fatto come richiedevano. Era fin troppo evidente a giudicare dall'irremovibile esponente dei guardiani che aveva interagito con loro. Si rese anche conto che, di conseguenza, continuare a sostenere le proprie ragioni non avrebbe portato ad altro che a una ulteriore perdita di tempo, che era proprio ciò che voleva evitare sin dal principio.
    «Va bene, Kaasan. Pensaci tu.
    Ma per carità, cerchiamo di sbrigarci
    »
    implorò.
    La donna non se lo fece ripetere due volte e finalmente poté riportare l'attenzione su colui che li aveva accolti.
    «Ci perdoni ancora, Uchiha-san.
    Il mio nome è Nahoko Shimada e questi sono i miei figli, Nago e Kayoko Yamagata. Siamo in viaggio da giorni, abbiamo fatto molta strada per essere qui.
    Veniamo da un piccolissimo villaggio di campagna di nome Ashigari nella regione meridionale del Paese dei Fiumi. Siamo un'umile famiglia di contadini. Il nostro villaggio è stato colpito dalla carestia, i raccolti sono andati distrutti e con l'arrivo dell'inverno le poche scorte di cibo che eravamo riusciti a mettere da parte si sono esaurite rapidamente. Alcuni sono morti di inedia, così quasi tutti hanno abbandonato le loro case in cerca d'aiuto.
    »

    Nahoko fece una breve pausa per riprendere fiato. Ormai persino parlare stava diventando impegnativo.
    Deglutì, poi riprese.
    «Il motivo per cui noi ci siamo spinti così lontano è mia figlia. Lei...»
    Si voltò a guardarla. Sentì che la sua voce stava per rompersi, così si fermò.
    Se la schiarì, poi riprese.
    «Come può vedere sta molto male, le sue condizioni si sono aggravate. Ha assolutamente bisogno delle cure di dottori capaci, e la fama dei vostri medici ninja ha raggiunto persino un villaggio remoto come il nostro.
    Per cui noi, insomma...
    »

    «Abbiamo bisogno di voi.» intervenne Nago, deciso ad arrivare a una conclusione.
    «Per salvare la vita della mia sorellina.»
    Il suo tono era rispettoso ma assertivo. Quasi grave.
    I suoi occhi argentei, stanchi ma intensi più che mai, fissi in quelli del giovane guardiano.
    «Atasuke, ci puoi aiutare?»





    Legenda:
    «Parlato Nago»
    «Parlato Kayoko»
    «Parlato Nahoko»
    «Parlato altrui»


     
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12 replies since 20/5/2016, 22:24   148 views
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