Questione di Vita o di Morte

[Intro per Nago Yamagata]

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  1. Alastor
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    Questione di Vita o di Morte • capitolo tre
    Separazione



    «Protocollo di allerta medica. Due Codice due, un Codice TRE»
    Quelle poche e improvvise parole proferite dal tenacemente impassibile Atasuke sembrarono, da sole, ridonare la luce della speranza ai volti di madre e figlio. I due non sapevano nulla di codici e protocolli e di cosa nella pratica quell'ordine comportasse, ma non c'erano troppi modi diversi di interpretare le parole "allerta medica", dico bene?
    Sembrava che finalmente il Jounin si fosse convinto a far giungere i soccorsi in favore delle tre anime tormentate. Nago sentì il braccio della donna, stretto intorno al destro di lui per meglio sostenersi, serrarsi appena in un gesto di muto e sommesso sollievo. In fondo avevano fatto la cosa giusta, avevano preso la decisione migliore. Kayoko poteva farcela, non era troppo tardi. Questo probabilmente passava per la testa di Nahoko la quale, guardando negli occhi il suo figlio riuscì a leggervi i medesimi sentimenti.
    Molto debolmente, entrambi riuscirono a sorridersi.
    «Ci siamo Kayo» bisbigliò poi lei all'orecchio della figlia, ancora priva di coscienza, con voce rassicurante seppur debole.
    «Ora i dottori ti rimetteranno in sesto, vedrai. Tieni duro» aggiunse dolcemente, dandole un bacio sulla guancia rossa e bollente per via della febbre.
    Suo malgrado, sentì i propri occhi appannarsi, inumidirsi.
    Non voleva piangere ma aveva entrambe le mani occupate, essendo appunto da una parte aggrappata al giovane e tenendo con l'altra l'ombrello che ancora faceva meglio che poteva il suo lavoro di schermare la ragazzina dalla neve; pertanto per asciugarsi il viso lo affondò e strofinò nella manica del kimono del figlio, il quale per tutta risposta le baciò la fronte.
    «Dai» la esortò in un sussurro.
    Quando la madre tirò via la testa non vi erano lacrime, ma un leggero sorriso e un fermo cenno di assenso verso il giovane. Poi si voltò verso il guardiano, che a quel punto era a meno di due metri di fronte a loro, e proprio non riuscì a trattenersi.
    «Grazie davvero» disse senza fiato, chinando il capo. «Grazie!»
    «Portatemi la ragazza» replicò lui senza fare una piega, per poi allontanarsi da loro facendosi più sotto al vasto portone.
    «Subito!» replicò lestamente Nago, per poi rivolgersi alla madre.
    «Kaasan, chiudi un attimo l'ombrello e usalo per appoggiartici. Devo avere le braccia libere.»
    La donna eseguì immediatamente, lasciando il figlio libero di agire.
    «Vorrei evitare che Kayo si bagni» proseguì lui pensieroso, ma in due secondi aveva già deciso come muoversi.
    La cosa più facile da fare sarebbe stata far sdraiare sua sorella a terra per poi prenderla e porgerla allo shinobi, ma così facendo ella sarebbe inevitabilmente venuta a contatto con l'umida neve, che ormai aveva formato un uniforme e candido tappeto su un terreno appianato da chissà quanti piedi, zoccoli e ruote. Proprio quello che il giovane voleva evitare, e così optò per una soluzione un po' più impegnativa.
    Per cominciare sciolse il nodo in vita che teneva al loro posto il tasuki e l'obi impiegati a mo' di imbracatura per trasportare in sicurezza Kayoko sulla schiena del fratello. Li sfilò via con una mano afferrando con l'altra i polsi di lei, che penzolavano davanti al suo torace, per evitare che cadesse all'indietro, poi con la destra afferrò il braccio sinistro della sorellina e con la sinistra quello destro. Distendendo il proprio braccio destro e continuando a reggerla saldamente con l'altra mano, Nago fece scivolare sulla sua sinistra la piccola inferma, fino a ritrovarsi faccia a faccia con lei.
    I bei lineamenti, delicati e minuti, sciupati dagli stenti e dal malessere. Le guance e la fronte in fiamme, le palpebre chiuse ma inquiete. Nago la osservò per un istante che gli sembrò eterno.
    Vederla in quello stato era una pugnalata al cuore. Ogni singola volta.
    «Anf...anf...anf...»
    Aveva il fiato corto il giovane, se la stava sudando per compiere uno sforzo così irrisorio, cose da non credersi. Ormai anche lui, che poteva vantare la tempra più forte in tutta la famiglia, cominciava a dare evidenti segni di cedimento. Probabilmente non ne aveva ancora per molto prima di collassare.
    Inspirò profondamente, espirò. Lasciò la presa agguantando al volo Kayoko, effettivamente ritrovandosi abbracciato con lei.
    In tutto questo i piedi di lei non toccarono mai terra, data la differenza di statura tra i due. Per finire, liberò il braccio sinistro passandolo dietro le ginocchia e sollevò, così da riuscire, finalmente, a prenderla in braccio.
    Giusto in tempo per vedere una nuvola di fumo bianco dissolversi accanto ad Atasuke per lasciare posto a...un secondo Atasuke.
    No aspetta, fermi tutti. Un secondo Atasuke?!
    «Che accidenti è quello?!» esclamò il ragazzo con un volume di voce, per quanto raschiata e roca, piuttosto alto. Gli occhi sgranati, la bocca aperta.
    Era davvero un bene che lo shock di ciò che aveva visto non gli avesse fatto afflosciare le braccia facendo cadere colei che con tanta fatica vi aveva accolto.
    Fece un paio di passi indietro, lo sguardo saettò su sua madre poi di nuovo sull'inspiegabile sdoppiamento.
    «Sta...sta calmo, Nago» cercò di tranquillizzarlo la donna, sebbene anche lei fosse rimasta a dir poco sorpresa da ciò che aveva davanti agli occhi.
    «È un ninja, ricordi? Loro sono in grado di fare delle cose sovrannaturali. Inspiegabili, a volte.»
    «Ma prima ce n'era uno! E ora sono due! Uguali! Dal nulla!» insisté lui, sconvolto.
    «Lo so, ho visto anch'io sai?» puntualizzò lei.
    «Forza, passagli Kayo.»
    «Ma sarà sicuro?» si preoccupò lui.
    «Certo, è sempre la stessa persona. Solo che adesso sono due» ribatté, raggiungendo il figlio e rimettendosi sotto al suo braccio, per poi riaprire l'ombrello a tutela della figlia.
    «Almeno credo» aggiunse a mezza bocca.
    Il figlio per tutta risposta la guardò con aria sconsolata.
    «Dai su, ti dico che è sicuro! Muoviamoci!»
    I due fecero tre passi, poi Nago si fermò. Tornò a rivolgerle uno sguardo eloquente, stavolta leggermente impaurito.
    «MUOVITI!»
    E fu così che i due coprirono la restante distanza che li separava dai gemelli in cappa nera, dove il giovane porse delicatamente il corpo inerme della sorella al nuovo arrivato, che attendeva a braccia distese in avanti.
    Quando questi l'ebbe presa, sembrò voler ricavare qualche informazione sulle sue condizioni di salute, ma a parte l'evidente deperimento e la febbre alta non vi erano altri sintomi in evidenza, o almeno non per quanto riuscisse a scoprire con le sue conoscenze.
    E fu allora, in quel preciso istante, che madre e figlio si resero conto che avevano tirato un sospiro di sollievo fin troppo frettolosamente.
    Che avevano preso un grosso, memorabile abbaglio.
    Senza dire una parola, senza alcuna spiegazione, in men che non si dica il clone sparì oltre le mura addentrandosi nel villaggio. Portando con sé Kayoko, e lasciando indietro i suoi parenti. Immobili e scossi sotto il freddo sguardo del restante guardiano.
    Che diamine era appena successo?
    «Ehi ma!...» cominciò la donna oltraggiata, completamente senza parole.
    Nago, dal canto suo, era completamente sbigottito. Gli ci volle un po' per registrare quello che era appena accaduto.
    Si sentiva ingannato, tradito. Aveva affidato a quel fenomeno da baraccone la sua adorata sorella e quello se l'era filata senza nemmeno dire "A".
    Ma stiamo scherzando?
    «EHI ASPETTA!» con tutto il fiato che aveva in corpo gridò dietro al doppione, che tuttavia era già sparito dalla sua vista a quel punto. Allo stesso tempo alzò il braccio sinistro, quello libero dalla stretta di Nahoko, come a voler istintivamente rafforzare le sue parole con il gesto che per eccellenza invitava a fermarsi.
    «DOBBIAMO VENIRE ANCHE N—»
    Non credo proprio.
    A quanto pare, il giovane aveva alzato la voce ma soprattutto un braccio di troppo.
    «AHH!»
    Prima di rendersi conto di cosa fosse successo, era già in ginocchio dopo quella che doveva essere stata una rotazione di 180° su se stesso, dato che adesso fronteggiava la direzione opposta a prima. Una mano serrata attorno al suo polso sinistro, il relativo braccio in torsione dietro la sua schiena.
    E altroché se faceva male.
    In tutto ciò la donna, precedentemente aggrappata all'altro braccio del figlio, era stata disarcionata dal brusco e veemente movimento e guardava la scena, ormai anche lei a terra, con un misto tra orrore e sgomento.
    «Che stai facendo?! LASCIALO STARE!»
    Ebbene sì, quando a un figlio vengono messe le mani addosso può anche succedere che una madre dimentichi di dare del lei e di essere gentile e educata. O no?
    «Tu...lasciami andare...» esalò lo Yamagata gutturale, digrignando i denti per il dolore o forse per minaccia, difficile dirlo.
    Ma l'altro non lasciò, né allentò la presa. Al che Nago fece la cosa che molti avrebbero fatto al suo posto in un momento di simile stress, qualcosa di davvero poco oculato ahiloro.
    Cercò di divincolarsi dalla morsa strattonando a sé il proprio braccio. Il fatto che ormai fosse completamente spompato fu in realtà una fortuna, poiché questo gli impedì di mettere molta forza nel gesto e di conseguenza di infortunarsi seriamente. Ma la forza che ci mise bastò a peggiorare la sua situazioneDistorsione al polso sinistro e a rendere quella stretta talmente dolorosa da essere quasi insostenibile.
    «AAAAAAAAAH!»
    Faceva talmente male che gli lacrimavano gli occhi e non riuscì a sentire praticamente nulla di quello che disse Atasuke subito dopo.
    «Adesso basta! LASCIALO HO DETTO!»
    A quel punto il Jounin dovette pensare che era abbastanza ed il messaggio era arrivato, perché effettivamente lasciò andare lo straniero. Questi subito si allontanò da lui strisciando nella neve e reggendosi il polso offeso con la destrorsa, ansimando sonoramente.
    Raggiunse il punto in cui si trovava sua madre, ora erano tutti e due a terra.
    «Stai bene? Fammi vedere!» intimò Nahoko con una nota d'apprensione.
    «Sto bene, non è niente di che» sminuì il figlio.
    «Non è niente di che, dice lui. Ma se urlavi come un agnello al macello!»
    «Non è vero!» protestò lui.
    «Altroché.»
    «Senti, piuttosto» glissò lui, «tu ti sei fatta male? Prima, quando sei caduta.»
    «Non preoccuparti per me. Sono caduta sul morbido» rispose girandosi a guardarsi il fondoschiena ancora adagiato sulla neve fresca.
    «Mah, dubito che sia ancora molto morbido. Ormai ti sei ridotta pelle e ossa anche tu» osservò l'altro, con una serietà che stonava con le sue parole.
    «Tu pensa al tuo didietro che io penso al mio, intesi? Per la miseria, ti sembra il luogo e il momento di fare discorsi così assurdi?» disse la donna allibita.
    «Hai ragione, Kaasan.
    Io non ci sto capendo niente, prima portano via Kayo, poi questo...ma cos'è che vogliono?
    »
    concluse esasperato.
    «Non lo so» ammise Nahoko preoccupata.
    «Ma dobbiamo al più presto trovare Kayo, ovunque l'abbiano portata. Dobbiamo far capire loro che siamo chi diciamo di essere, è la nostra unica possibilità.»
    «È una parola...»
    In effetti...

    Il guardiano era tutt'altro che soddisfatto delle spiegazioni fornitegli fino a quel momento dalla sconosciuta, quindi chiese ulteriori lumi sulla ragione che li aveva indotti a spingersi così lontano.
    «Pensavo di aver chiarito questo punto, ma evidentemente sono stata superficiale» prese subito la parola Nahoko, ancora seduta sulla neve accanto a suo figlio.
    Il suo tono, minato dalla stanchezza, era però colmo di una sicurezza e una compostezza inattaccabili.
    «Ha ragione, abbiamo il Villaggio della Valle nel nostro Paese, ma tenga presente che questo è situato nell'area nordoccidentale. Noi invece veniamo da una minuscola località nella regione sudorientale, non distante dalla costa a sud e dal confine col Paese del Fuoco a est.
    La sorprenderà ma la differenza di distanza tra la Valle e la Foglia rispetto a casa nostra non è così esagerata. Saranno appena 25 ri100 km circa in più per arrivare qui, in pratica un pomeriggio intero di cammino, se si procede di buon passo. Inoltre il vostro territorio è prevalentemente pianeggiante e le strade sono migliori, essendo un Paese più grande e sviluppato del nostro.
    »

    Si fermò un attimo per prendere fiato, poi tornò a guardare il suo interlocutore con sguardo molto serio.
    «Tutto ciò però è secondario.
    Scegliere di raggiungere Konoha ci è costato ben più di un pomeriggio di cammino aggiuntivo, date le nostre condizioni di salute e le poche energie che abbiamo racimolato con sforzo. Ma lo abbiamo fatto ugualmente, per mia figlia.
    Prima ha potuto vedere da vicino in che condizioni versa lei stesso, Uchiha-san. La situazione è grave.
    »

    Si passò una mano tremante sul viso.
    «Non voglio sminuire i ninja della mia nazione, ma in campo medico quelli di questo villaggio sono notoriamente i più abili. L'ospedale della Foglia rappresenta, con unanime consenso che io sappia, l'eccellenza assoluta nell'intero continente.
    E io desideravo affidare la vita di mia figlia nelle mani migliori possibili. Cosa vuole che ci importi faticare un po' di più in cambio della salvezza della mia bambina?
    Di certo anche lei non farebbe nulla di meno per un suo familiare.
    »


    A quel punto, le attenzioni di Atasuke furono rivolte al ragazzo.
    «E tu... Davvero sei così sciocco da credere che l'ingresso al villaggio ti sia in qualche modo “dovuto”? Sei forse un Daimyo del paese del fuoco? Uno shinobi di queste terre? NO. Al più potresti essere un possibile infiltrato, ed è questo il motivo per cui l'accesso non è garantito a chiunque si presenti al villaggio, anche se coperto di stracci ed apparentemente denutrito»
    Ma prima che l'altro potesse replicare alcunché, questi assistette al secondo evento prodigioso nell'arco di pochi minuti, se possibile ancor più sconcertante del precedente e che lo ammutolì del tutto.
    Il Jounin fece uno strano gesto con le mani e in un battito di ciglia e in uno sbuffo di vapore, al suo posto comparve un altro Nago. Uguale identico a quello che, in quel preciso momento, lo fissava attonito.
    «Esattamente per questo... Non lo trovi strabiliante!?»
    Persino la voce era uguale all'originale, sebbene il tono ironico svendeva immediatamente la natura fasulla del replicante.
    Il vero Nago si alzò lentamente in piedi, e sempre lentamente cominciò a muovere la mano destra, quella sana, di qua e di là. Come a voler verificare che non imitasse le sue movenze come avrebbe fatto un riflesso in uno specchio d'acqua, e infatti ciò non avvenne.
    Fu in quel momento che Nahoko, la quale evidentemente reagiva più sportivamente a quel genere di shock, prese nuovamente la parola rivolgendosi all'ex Atasuke.
    «Noi siamo contadini, non ninja, sono certa di averle detto anche questo. Non abbiamo alcuna conoscenza nelle vostre arti, non sapremmo neanche da dove cominciare per realizzare una diavoleria del genere» dichiarò osservando quella inquietante copia di suo figlio.
    «Mi rendo conto che non abbiamo altro che la nostra parola da esibire, ma mi pare che le sue congetture e insinuazioni nei nostri riguardi siano ugualmente impalpabili» sottolineò con calma. Dopo una breve pausa, ricominciò.
    «Ascolti Uchiha-san, io posso immaginare quanto sia impegnativo il suo lavoro. Avere la responsabilità della sicurezza di tante persone deve essere un compito a dir poco gravoso, ed è proprio per questo che stiamo facendo del nostro meglio per collaborare, considerando le nostre circostanze.»
    Già. Le loro stramaledette circostanze, avete presente?
    «Però» proseguì lei, con tono sempre più grave, «voglio che sappia una cosa.
    Se mio figlio è stato uno sciocco a pensare di poter essere accolto nel villaggio senza troppi problemi, allora lo sono stata anch'io. Perché da dove veniamo noi si assiste chi è in difficoltà, anche se non lo si conosce, e l'aiuto arriva a chi ne ha bisogno prima di qualsiasi altra cosa. Quindi sì, siamo stati effettivamente degli sciocchi a pensare che un ragazzo e due donne stremate, affamate, infreddolite e, in un caso, quasi in fin di vita, non avrebbero incontrato una tale resistenza.
    »

    Il suo tono purtroppo non era sarcastico, ma dannatamente serio.
    «Le sole cose che ha voluto offrirci finora sono state diffidenza e pregiudizi, oltre ad un trattamento di solito riservato a chi è sospettato di un crimine. Ha denigrato e messo le mani addosso a mio figlio senza ricevere alcuna provocazione. E come se non bastasse, cosa più grave di tutte, il suo doppio ha preso Kayo e l'ha portata via.
    Senza il minimo riguardo.
    »

    A questo punto la voce di Nahoko iniziava a vacillare. Era talmente stanca.
    Stanca. Fisicamente e psicologicamente, da giorni e giorni. Era arrivata, come si suol dire. E ormai faceva una fatica tremenda a trattenere la rabbia e la frustrazione accumulate e a onor del vero solo esacerbate da quanto stava accadendo presso le mura.
    Eppure ancora ci riusciva. La forza di questa donna ce l'aveva un limite?
    «Lei ha avuto il coraggio di separare una madre da una figlia ridotta in quelle condizioni» scandì, parola per parola.
    «Certo, lei afferma che è stato per il suo bene, che è stata condotta in ospedale dove si prenderanno cura di lei. Ma arrivati a questo punto mi perdoni se non prendo tutto ciò che dice come oro colato, Uchiha-san. D'altronde se dovessi essere malfidata come lo è lei dovrei già temere il peggio per la mia bambina.»
    Abbassò lo sguardo, ma subito lo riportò sul trasformista con rinnovata determinazione.
    «Ma non lo sono.
    Sono giunta fin qui in buona fede e riponendo quella stessa fede in coloro che avrebbero avuto i mezzi per salvare la mia Kayo. L'ho conservata finora e continuerò a farlo, a dispetto di tutto.
    Un'ultima cosa
    »
    aggiunse infine, con tono pacato.
    «Non si azzardi mai più a toccare il mio ragazzo.»
    Seguì un lungo attimo di silenzio, interrotto infine proprio da Nago, il quale, in piedi accanto a sua madre, le disse piano tendendole la mano destra.
    «Alzati Kaasan.»
    «...»
    «Alzati, ho detto» ripeté, deciso ma affettuoso.
    La donna afferrò il braccio del figlio e insieme tirarono, così fu in piedi. Nuovamente sostenuta da lui, al suo braccio ma le dita delle mani incrociate le une nelle altre.
    «Io penso che dentro di te tu voglia fidarti di noi, Atasuke» disse all'improvviso Nago, con voce sempre più affaticata ma sempre singolarmente limpida.
    Ormai lo stupore di avere davanti una copia esatta di sé era scemato. Cominciarono i due ad avanzare, lentamente e con cautela.
    «Altrimenti non avresti fatto entrare Kayo nel villaggio. Non un tipo intransigente come te.
    Però, come mi ha rammentato mia madre, tu hai un compito, che è quello di proteggere le persone che vivono oltre queste mura. E tutti coloro che hanno qualcosa da proteggere inevitabilmente hanno paura. Paura di una scelta sbagliata e delle sue conseguenze. Paura di fallire.
    »

    Il tono dello Yamagata era tutt'altro che saccente, anzi sembrava più che altro che stesse cercando di elaborare a parole, anche con un po' di mestizia, qualcosa che gli era ben noto.
    Abbassò lo sguardo.
    «Di sicuro io ne ho molta. Anzi, sono terrorizzato.
    Non sono un guerriero né un ninja, e tantomeno un daimyou.
    Tuttavia
    »
    e tornò a levarlo, «sono un fratello maggiore e un figlio, e il mio compito è proteggere la mia famiglia. E che i kami possano dannare la mia anima fino alla fine dei tempi se permetterò alla paura di ostacolarmi, o che la mia sorellina mi sia portata via.»
    I due si fermarono a un tre metri dal guardiano.
    «Posso sopportare molte cose» proseguì il giovane. Non vi era rabbia o risentimento nei suoi occhi grigi, ma una fiamma passionale bruciava dietro la spessa patina di prostrazione.
    «La fame, la fatica, il freddo. Il dolore.
    Posso anche tollerare di essere attaccato, fisicamente o verbalmente, e di essere accusato ingiustamente, ma ciò che non posso, anzi
    »
    si corresse, «possiamo tollerare è di essere separati dalla nostra Kayo. Non in un momento come questo, in cui sta lottando contro la morte.
    Noi non siamo capaci di salvarla, e per questo abbiamo cercato il vostro aiuto. Ma ciò non significa che...
    »

    Nago si strinse la mano sul petto, cercando di esprimere un concetto talmente complicato che probabilmente le parole non ne erano capaci.
    «Noi abbiamo bisogno di starle vicino, di vegliare su di lei» concluse quindi come meglio poteva, gli occhi pieni di speranza.
    «E lei, per quanto sia forte, ha bisogno di noi. Di sentire che siamo insieme a lei, che il nostro spirito è vicino al suo.
    Capisci cosa voglio dire?
    »
    chiese infine aggrottando la fronte, la voce che tremava.
    «Nago...»
    «Lasciaci andare da lei.»



    Off Game

    Per le distanze e i tempi, ricalcolati in base al contesto meglio che ho potuto, mi sono rifatto alla mappa interattiva dell'App. Spero di non aver fatto casini.


     
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