Questione di Vita o di Morte

[Intro per Nago Yamagata]

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  1. Alastor
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    Questione di Vita o di Morte • capitolo quattro
    Attraverso le Mura



    Le parole di Nago avevano forse indisposto od offeso il guardiano?
    Neanche lui lo capiva bene. In realtà capiva ben poco di quell'uomo che, con l'usuale pacatezza che lo contraddistingueva, gli si era fatto sotto durante il suo discorso per poi rivolgergli poche parole. Gli occhi d'ossidiana di lui non riflettevano altro che la figura del forestiero, ma nessuna emozione perforava la loro scura superficie palesandosi a chi la osservava. Così come il tono della sua voce, piano e privo di inflessioni che potessero rivelare il suo reale stato d'animo.
    Non che lo Yamagata fosse tipo da mettersi a fare un'analisi razionale di tutti questi aspetti, beninteso. Egli per natura era portato ad un approccio meno razionale, più basato sulle percezioni e sull'istinto. E l'unico concetto che gli era stato subito chiaro e fin troppo era che il suo interlocutore era un individuo completamente diverso da lui, e questo per molti versi rendeva complicato intuire dove i suoi comportamenti volevano andare a parare.
    «Ripetilo se hai il coraggio. Ripeti ciò che hai detto.»
    Quando questi gli era arrivato a pochi palmi dal naso con fare altero, il giovane derelitto era stato quasi tentato di indietreggiare.
    Il dolore fisico infertogli ancora fresco nella memoria e nella carne lo invitava ad essere prudente, non voleva certo dargli altri pretesti per mettergli le mani addosso. Non poteva permettersi il lusso di farsi malmenare in un momento in cui doveva assolutamente ricongiungersi alla sorellina. A qualsiasi costo.
    Pertanto, anche se per un istante il suo sguardo vacillò, distogliendosi da quello dell'Uchiha, rapido e fulmineo tornò a posarsi negli occhi di chi lo fronteggiava. Il giovane li scrutò attentamente, ma non tanto col piglio inquisitorio di chi cerca di svelare un segreto sepolto il profondità quanto piuttosto con quella curiosità quasi giocosa di chi osserva una cosa mai vista e vorrebbe saperne di più. Poi alzò un poco il mento e socchiuse gli occhi, mettendosi ad...annusare?
    La donna al suo fianco, a quel punto troppo stanca e provata per tornare ad interferire nello scambio tra i due, per tutta reazione poggiò una mano a coprirsi fronte e occhi. Evidentemente non era la prima volta che vedeva suo figlio fare qualcosa del genere.
    Oh sì, diede un bel paio di sniffate, non si capiva se stesse fiutando l'aria o Atasuke, ma subito dopo parve soddisfatto e smise.
    Ma che diamine gli era preso tutto d'un tratto?
    «Lasciaci raggiungere Kayo» disse quindi, tornando a spalancare gli occhi e a guardare di fronte a sé, ovvero il guardiano.
    La voce, sebbene affaticata, era ferma e le iridi cenerine non convogliavano l'aggressività di chi pretende qualcosa bensì la ferma volontà di chi non può accettare un no come risposta.
    La risolutezza di chi avrebbe preferito farsi squartare vivo piuttosto che tradire il suo proposito.
    «Non c'è altro posto dove dovremmo essere in questo momento se non accanto a lei.»
    Un attimo di silenzio.
    Un piccolo fiocco di neve gli cadde sotto l'occhio sinistro, sciogliendosi al contatto neanche avesse toccato un corpo rovente e rigandogli la guancia smunta.
    «È la mia sorellina» concluse secco, lasciando che quella breve frase pur superficialmente così semplice affondasse con tutto il suo peso nell'animo del Chuunin.
    Quest'ultimo stavolta parve non dover riflettere troppo su cosa dire o fare, in quanto subito porse la mano allo straniero.
    Questi la guardò come imbambolato per un po', apparentemente colto di sorpresa dal gesto. Si sporse persino col capo per osservarla più da vicino, come se vi fossero scritti sopra dei caratteri molto piccoli che non riusciva a leggere. Chiedeva forse una stretta di mano?
    «Dammi il polso» chiarì la sentinella.
    Ah ecco. Voleva evidentemente il polso infortunato, quello che nel frattempo era stato interessato anche da un lieve gonfiore.
    Il giovane percepì gli occhi della madre scrutarlo, un muto avvertimento che lo invitava a stare attento a ciò che faceva. Non si poteva certo biasimare la preoccupazione di lei considerando ciò che si era verificato una manciata di minuti prima, ma d'altro canto, come certamente si è già spiegato, Nago era una creatura istintiva.
    Forse aveva a che fare con la più grossa carogna al mondo o forse con il più pio e illuminato degli uomini, lui come faceva a saperlo? Non c'era modo, inutile girarci intorno. Ma il suo istinto in quel preciso momento, e specificamente in quel frangente, gli diceva: fìdati!
    E lui si fidò, stendendo il braccio sinistro davanti all'Uchiha.
    Questi manipolò appena il relativo polso tra le dita provocando qualche gemito di dolore nel paziente, ma niente di lontanamente paragonabile a quello che aveva provato nella circostanza in cui si era fatto male.
    La donna, tranquillizzata da quello che era un evidente tentativo di appurare l'entità del danno, osservò la scena in silenzio.
    Quando Atasuke ebbe accertato ciò che doveva, tirò fuori della garza e l'avvolse saldamente intorno alla zona interessata.
    Il solo fatto di aver immobilizzato e compresso strettamente l'articolazione offesa già diede allo Yamagata un notevole sollievo. Sorrise guardando prima la sua nuova fasciatura e poi il suo assalitore-benefattore.
    La madre fu più concreta.
    «La ringrazio» disse sollevata, chinando il capo.
    Al che l'Uchiha ci tenne a precisare, riprendendo le parole che gli erano state rivolte dal giovane visitatore, che il modo in cui aveva agito non era dettato dalla paura, bensì semplicemente da un ferreo senso del dovere.
    Nago aprì la bocca, intenzionato a esprimere la propria opinione in proposito, ma finì inevitabilmente per distrarsi e lasciar cadere il discorso all'arrivo di un gruppetto composto da tre individui, equipaggiati con sacche, astucci e contenitori vari che contenevano, sarebbe stato svelato di lì a poco, un assortimento di materiali e attrezzature di primo soccorso.
    Dopo aver scambiato poche parole con il Chuunin e aver ottenuto le informazioni basilari che occorrevano loro, gli sconosciuti si avviarono verso i due logori viandanti, prendendone uno in consegna a testa, mentre il terzo elemento esitò un attimo, cercando di capire quale tra quei pazienti potesse aver maggior bisogno di una ulteriore assistenza semplicemente scrutandoli.
    A Nago questo non sfuggì e quando i loro sguardi si incrociarono fece un cenno netto con il capo, indicandogli la madre che tra i due era effettivamente quella messa peggio.
    Il soccorritore parve accogliere quel suggerimento, o forse si rese conto coi suoi stessi occhi della situazione, andando ad aiutare il collega che stava visitando la donna. Lo sguardo dello Yamagata si attardò per un poco sulle loro figure, come a voler sincerarsi che tutto procedesse per il meglio.
    «Forse non sono così malfidato come sembra» stuzzicò il guardiano, accompagnando però l'osservazione con un sorriso benevolo.
    «Così sembrerebbe» replicò lei, alzando appena un sopracciglio ma sorridendo a sua volta sinceramente, senza aggiungere altro.
    Il giovanotto stava decisamente riacquistando punti, bisogna essere onesti.
    Intanto il figlio era alle prese con il ninja che doveva badare a lui, salutandolo con un gesto della mano destra.
    «Che hai fatto qui?» domandò il tizio, indicando il braccio fasciato.
    «Mi sono fatto male al polso poco fa, ma già ci ha pensato Atasuke a medicarmi» rispose, come a non voler dare peso a quanto accaduto.
    Il soccorritore si sincerò lui stesso della gravità dell'infortunio tastando la zona e quando si accertò che il bendaggio era consono e ben eseguito, passò oltre.
    C'erano alcuni piccoli taglietti ormai già cicatrizzati e qualche escoriazione, che furono prontamente disinfettate e, laddove appropriato, coperte con garza. Ma si trattava davvero di sciocchezze di infima importanza, cose che sarebbero guarite tranquillamente anche per conto loro.
    La verità è che non c'era molto da fare in quel momento essendo la denutrizione e l'affaticamento la fonte di ogni disagio dei due familiari, e di quelle cose non ci si poteva certo liberare con un farmaco o una pomata. Sarebbe stato necessario del tempo per riprendersi.
    Oddio in realtà un farmaco sembrava esserci, non dico per far riprendere i due ma quantomeno per donare un pizzico di sollievo alle loro stanche e provate membra.
    «Che cos'è? Una medicina?» si informò Nago reggendo una pallina scura più piccola di una biglia tra i polpastrelli di pollice e indice, annusandola.
    «Diciamo di sì, però migliore. È un tonico, li produciamo noi ninja. Forza ingeriscilo, ti sentirai meglio.»
    Il giovane obbedì, e l'effetto fu quasi istantaneo.
    «È vero!» esclamò dunque, stupito.
    «Mi sento il corpo un po' più leggero e anche meno stanco!» aggiunse alzando le ginocchia e ruotando il busto come a voler testare l'efficienza della sua nuova condizione.
    Sì ma piano con l'entusiasmo.
    «Ouch!»
    Ecco appunto.
    Subito sentì la muscolatura sfibrata tendersi dolorosamente e si fermò.
    «Ehi, devi andarci piano!
    Per le tue condizioni dovresti subito infilarti in un futon e riposare. Il tuo fisico è al limite del collasso e debilitato a livello sistemico. Potrai sicuramente godere di un completo recupero se ti prenderai cura di te, ma ci vorrà un po'.
    Il tonico che ti ho dato è solo un leggerissimo palliativo, se continui a fare sforzi ti ritroverai nuovamente al punto di prima se non peggio.
    »

    «Ho capito, vedrò di farmelo bastare» dichiarò l'altro annuendo.
    «Sì ma...l'hai capito che devi metterti subito a riposo?» ribadì il ninja, tutt'altro che ottimista al riguardo.
    «Magari più tardi» rispose sincero lo Yamagata.
    «Ora ho qualcosa di più importante a cui badare.»
    E poggiando una mano sulla spalla di colui che l'aveva assistito gli passò oltre tagliando lì il dialogo.
    Anche sua madre aveva finito e sicuramente le era stato dato lo stesso tonico, corredato dalle immancabili raccomandazioni, perché adesso riusciva a reggersi in piedi e a camminare da sola, anche se con non molto brio ovviamente.
    In quel preciso istante arrivò Atasuke. Cioè, l'altro Atasuke, quello che aveva portato via Kayoko.
    Questi si avvicinò al suo sosia e i due cominciarono a parlare tra loro in una scena abbastanza surreale per degli occhi non avvezzi a quel genere di prodigi.
    Ma a Nago non fregava un tubo di simili dettagli, e subito rizzò il collo e le orecchie. In un momento del genere l'unica cosa che assorbiva totalmente la sua attenzione era cercare di capire dove fosse la sorella e come stesse, quindi ascoltò in silenzio e diligentemente.
    A quanto sembrava era arrivata sana e salva in ospedale e per il momento delle infermiere si stavano occupando di lei. Fu anche nominata una certa Shizuka, che magari era un dottore dell'ospedale noto all'Uchiha, ma non potendo sapere chi fosse il ragazzo non badò troppo a quel nome.
    A quel punto Atasuke, uno dei due insomma, invitò il giovane e sua madre a montare loro in spalla e avviarsi dunque al nosocomio.
    Se volevano scarrozzarli di peso fino a destinazione, come evidentemente era stato fatto con la ragazzina, Nago ci stava eccome! Considerando la velocità pazzesca di quell'uomo, sarebbe stato sicuramente il mezzo più rapido per raggiungere l'amata congiunta. Madre e figlio si scambiarono un'occhiata complice e annuirono per poi rispondere all'unisono.
    «Eccoci!» «Eccoci!»
    La donna si diresse verso l'originale e il figlio verso il doppio, i quali davano loro la schiena pronti a ricevere il carico.
    Salirono dunque in spalla, cingendo le braccia sull'addome e tirando su le gambe affinché gli Atasuke potessero afferrarle e reggere il peso come si deve. Quando i quattro, trasportatori e trasportati, furono pronti e in posizione, finalmente partirono varcando le mura e addentrandosi nel famigerato Villaggio della Foglia.
    Balzando di tetto in tetto a una velocità vertiginosa, ai due parenti sembrò quasi di volare. E le rispettive reazioni a quelle montagne russe alla buona non avrebbero potuto essere più asimmetriche.
    La donna, con le lacrime agli occhi, di quando in quando lanciava uno strillo lancinante, come se un atterraggio sì e uno no vedesse davanti agli occhi la sua figura sfracellata al suolo.
    A quanto pare di voce in gola ne aveva ancora, dopotutto.
    Il figlio invece, anche lui con le lacrime agli occhi per via del vento che gli schiaffeggiava forte il viso, era tutto esaltato da quel volteggiare e scorrazzare a svariati metri da terra e aveva la bocca spalancata in un gran sorriso.
    Lui stesso amava arrampicarsi, correre, saltare, e lo faceva da sempre, lassù nella foresta del monte Ashigari, ai cui piedi sorgeva l'omonimo villaggio d'origine. Ma era ovvio che se lo sognava di compiere dei balzi del genere, ed era così tremendamente eccitante!
    Si sarebbe messo a ridere di gran gusto ingoiando ettolitri d'aria, se solo le circostanze fossero state diverse e non fosse stato così in pensiero per la sorella.
    In un tempo che sembrò fin troppo breve, il gruppo si fermò davanti all'ingresso di un edificio piuttosto grande. A quanto pare erano arrivati.
    Il Chuunin e rispettivo clone fecero smontare i parenti.
    Nago ancora piuttosto elettrizzato cambiò bruscamente espressione quando vide sua madre barcollare in cerca di appoggio e portarsi una mano alla bocca, come in procinto di rimettere.
    Subito la raggiunse sostenendola.
    «Tutto bene, Kaasan?»
    «Non esattamente» farfugliò lei, bianca come un cencio.
    Restò qualche momento ferma, come in attesa.
    «Ma a quanto pare avere lo stomaco vuoto può avere anche dei vantaggi, chi l'avrebbe detto?» commentò beffarda ma grata di aver almeno risparmiato a se stessa e ai presenti l'imbarazzo di vomitare l'anima.
    Quando videro che riprendeva colore, i quattro si avviarono all'interno del fabbricato dove in bella vista, e su indicazione del guardiano, c'era la zona riservata al ricevimento dei visitatori.
    «Uchiha-san» si rivolse improvvisamente Nahoko all'Atasuke originale, quello che l'aveva portata in spalla.
    «Le cose che ho detto prima...»
    Sembrò combattuta o in lieve imbarazzo, mentre cercava le parole che reputava più giuste.
    «Ecco, forse sono stata troppo dura nei suoi confronti. Voglio solo che sappia che le siamo grati per quello che sta facendo per noi» concluse, facendo un inchino sentito.
    «Kaasan, ti pare il momento?» sbuffò il figlio passando loro di fianco e superandoli.
    «E poi un po' se l'era cercata, dai» aggiunse con un sorriso giocoso e sincero.
    Che possiamo dire, la spontaneità era sicuramente la sua più grande virtù.
    Più o meno.
    «Na...Nago!» lo ammonì lei con sguardo a dir poco letale, ma ormai egli aveva superato tutti arrivando fino al bancone della reception, sul quale appoggiò i palmi di entrambe le mani per poi sporgersi in avanti oltre lo stesso a scrutare la ragazza seduta lì dietro.
    Le iridi argentee che facevano a pugni con le sclere arrossate, gli occhi sgranati di chi aveva visto chissà cosa.
    Santi numi, questo tipo a volte fa proprio impressione.
    «Dove sta mia sorella?» domandò stravolto.
    Come aspettandosi che senza un minimo di contesto o informazioni quella dovesse capire al volo di chi stava parlando.
    «Accidenti a lui!» fece la donna, scusandosi con Atasuke e raggiungendo il luogo del misfatto più in fretta che poteva.
    «Siamo i parenti di una paziente: Kayoko Yamagata» spiegò lei.
    «L'ha portata qui lui poco fa» proseguì il giovane indicando con il pollice alle proprie spalle, in direzione dei due Uchiha.
    «Loro...cioè, uno di—»
    «L'ha portata Uchiha-san» tagliò corto Nahoko.
    «Appunto!» confermò Nago annuendo con decisione e staccando una mano dal banco per stenderla piatta a palmo sotto, parallela al pavimento e a una certa altezza da esso.
    «È alta così, capelli rossi, fisicamente prostrata.
    Dov'è?
    »
    incalzò ancora, impaziente.

     
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12 replies since 20/5/2016, 22:24   148 views
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