Questione di Vita o di Morte

[Intro per Nago Yamagata]

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  1. Arashi Hime
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    Y Danone
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    EMERGENCY

    A man's mind will very gradually refuse to make itself up until it is driven and compelled by emergency.



    Faceva tutto schifo.
    Tutto.

    «Sensei…per l’amor degli Dei…»

    Era tutto sbagliato.

    «…non di nuovo. Quando siete depressa, lo sapete, l’Ospedale non funziona.»

    Come si era ridotta così?
    Aveva solo 21 anni e già non funzionava niente nella sua vita.

    «Vi prego, Sensei…Shizuka sensei…un po’ di contegno.»

    Non tornava a casa da tre giorni. Come al solito.
    Si lavava nei bagni dell’Ospedale, mangiava cibo precotto in ciotole di porcellana sbeccate, lavorava in media dalle 10 alle 12 ore al giorno e spesso (cioè sempre) persino di notte. Non vedeva casa sua da una settimana. Nel tempo libero poi, quando cioè gli impegni alla “luce del sole” non le succhiavano via l’anima, lavorava come iper-mega-uber-strafico braccio destro dell’Hokage per quelle faccende che la luce del sole, invece, non dovevano vederla mai.

    «Shizuka sensei!»

    Una magra consolazione, per la verità: nessuno sapeva niente delle sue abilità, perché nessuno doveva sapere niente. In sostanza conduceva la vita anonima di un’Anbu (ma non aveva la maschera fica), con il drammatico risvolto di dover per giunta essere Primario, senza contare i suoi impegni come Principessa (come poteva una Sovrana avere i nodi nei capelli e le mani insudiciate?!)…e a causa di tutto questo non aveva più manco il tempo per dedicarsi alla sua vita privata.

    «Va bene. Non credete di star esagerando, ora?»

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    Insomma: 21 anni, zitella, a dieta, e come se non bastasse divorata dal lavoro.
    Prospettive per il futuro: zero.
    Conclusione: la sua vita faceva schifo.

    «Voglio morire, Junko.» Gemette la Primario, tirando su con il naso.
    «Lo avete detto almeno otto volte negli ultimi dieci minuti.» Sospirò la Hyuuga dai voluttuosi capelli corvini, portandosi una mano alla fronte per poi sospirare. «Sensei, vi prego…perché non ci alziamo da terra, tanto per cominciare?»
    «Portami un cappio.»
    Ordinò per tutta risposta l'altra. «E che la corda sia nuova, che sennò mi si irrita la pelle.»
    «E chissenefrega se ti si irrita la pelle, Shizuka? Se t’ammazzi mica di quello devi preoccuparti.»
    Tuonò improvvisamente una voce maschile prima che sull’uscio dell’Ufficio della donna comparisse un uomo sui trenta, dai capelli biondi e gli occhi azzurri. Ghignò, sardonico. «Deficiente.»
    «Atsushi…»
    Gemette la Kobayashi dopo un istante di silenzio. Con un gesto pregno di sacrificio fece scivolare una mano sul pavimento in direzione del nuovo giunto. «A-Atsushi…»
    «…S-Shizuka….»
    Mormorò immediatamente l’altro con voce rotta, corrugando la faccia in un’espressione addolorata mentre le sue mani si stringevano a pugno e lui, chiudendo gli occhi, reclinava disperatamente la testa verso il basso.
    Junko Hyuuga, socchiudendo gli occhi in due fessure, sospirò ancora una volta. Per qualche preoccupante ragione sembrava abituata a quelle scene.
    «…A-Atsushi…» Ripeté la Primario, a terra e con la testa reclinata sulle mattonelle. Deglutì faticosamente. «…p-per te…» Sussurrò, alzando una mano chiusa verso l’uomo.
    «…p-per me…?» Patì l’altro, mentre i suoi profondi occhi azzurri si riempivano di lacrime straziate. Cercò di protendere una mano verso quella offerta lui.
    «…per te io sono…» La kunoichi tirò indietro il braccio. «…“Sensei-sama” E lo mosse in avanti. «E non osare mai più darmi della deficiente, altrimenti ti faccio a pezzi.»
    Fu appena mezzo secondo, talmente veloce che il povero medico fu appena in grado di trarsi all’indietro: un ferma carte a forma di orsacchiotto si conficcò roteando nello stipite della porta, creando un buco profondo il doppio del suo volume prima di fermare il suo movimento e, lentamente, rotolare a terra.

    Silenzio.

    «Shizuka…emh, sensei-sama.» Gemette immediatamente Atsushi Kagure, impallidendo nel lanciare sguardi intermittenti allo stipite della porta e alla donna che da terra si stava rialzando, barcollante e simile ad un demone dell’inferno. Ancora non riusciva a capacitarsi della forza di quella nanerottola. «Prima che tu commetta un grave errore che so per certo non vorresti fare…» Sussurrò con voce strozzata. «…sappi che ti ho sempre stimata un sacchissimo, ma proprio tant–…»

    «EMERGENZA! SENSEI!»


    Quando un’infermiera arrivò sull’uscio della porta, trafelata e arrossata in volto, per mezza frazione di secondo cadde il silenzio. Esitando con gli occhi sulla scena in cui una furente Shizuka Kobayashi stava strangolando quel coglione di Atsushi Kagure, la ragazza sospirò: un istante dopo stava riprendendo a parlare come se non avesse visto niente di strano.
    «Una ragazzina, circa quattordici anni: è arrivata un minuto fa con Atasuke Uchiha, dalle mura di Konoha.» Spiegò rapidamente l’infermiera mentre la Primario, alzando lo sguardo su di lei, lasciava il collo della sua preda per avvicinarsi a rapidi passi. «Forte denutrizione, febbre altissima…le cure di base non sortiscono effetto.» Anticipò l’addetta del pronto soccorso, buttandosi di corsa nel corridoio prima ancora che la Kobayashi le chiedesse di farle strada. «Di questo passo non reggerà fino alla sera.»

    Ed era vero.
    Quando il gruppo arrivò nell’atrio dell’ospedale, la prima cosa che vide fu una bambina che giaceva esanime tra le braccia di Atasuke Uchiha sotto lo sguardo atterrito di quattro infermiere e due medici, mentre fuori dalle porte di vetro scorrevoli dell’Ospedale un giovane uomo dai lunghissimi capelli rossi e una donna dall’aria provata, stavano parlando con un medico dello staff ospedaliero, il quale, con le braccia protese in avanti, cercava di calmare chissà quale loro richiesta. Bastò un’occhiata all’aspetto della bimba e poi nuovamente ai due stranieri per capire il legame che li univa.
    «…Atasuke, cosa succede?» Chiese rapidamente la Principessa del Fuoco, guardando l’Uchiha. Aveva lo sguardo stanco ed era completamente struccata. I suoi profondi occhi verdi tradirono preoccupazione quando si spostarono sulla piccola: le fu sufficiente un’occhiata per capire che la situazione era più grave di quella figurata dall’infermiera. Suo malgrado, al pari del corpo medici che la attorniava, esitò…ma nel suo caso, fu solo un istante.

    «ALLORA, MUOVIAMOCI! LA MOCCIOSA NON SI RIPRENDERA’ PERCHE’ LA GUARDIAMO TUTTI CON APPRENSIONE!»

    Il ruggito fu terribile, non tanto per il volume, anzi per la verità piuttosto moderato, quanto piuttosto per il tono furioso che, in un solo attimo, riportò tutti all’attenzione.
    «Junko!» Chiamò la Primario, indicando Atasuke. «Atsushi!» Ordinò, puntando l’indice fuori, in direzione delle altre due persone.
    Nel mentre dietro di lei due delle infermiere di poc’anzi arrivavano di corsa con una barella, e Shizuka, ponendo le braccia sotto a quelle del Guardiano, attrasse a sé la ragazzina, che strinse dolcemente al seno prima di riporla sul lettino.
    «Non fare quella faccia, da qui in poi ci penso io, stai tranquillo.» Disse la Shinobi, facendo l’occhiolino all’Uchiha. «Spiega a Junko quello che è successo e seguite le indicazioni di Atsushi per gli altri due. Lui fa schifo in queste cose, perciò mi affido a te: tranquillizzali, perché va tutto bene.» Fece presente, mentre le infermiere giravano la barella verso il corridoio del Pronto Soccorso. «Un bacino di incoraggiamento, Acchan Aggiunse, chiudendo gli occhi e protendendo il viso. Con ogni probabilità scherzava, giacché si sarebbe girata non appena la barella fosse scomparsa dietro il primo angolo, seguendola allegramente e salutando con la mano sia lui che i due probabili parenti.

    Solo a quel punto smise di sorridere.

    «La priorità del caso è di livello Uno. Da questo momento rispondete solo a me.» Ordinò al medico e le due infermiere cui concesse di assisterla. Non aveva alcuna inflessione nella voce. «Voglio tre flebo per via endovenosa.» Disse, iniziando ad elencare la composizione delle sacche nel portare le mani sopra il corpo della ragazzina: in un attimo un bagliore blu elettrico guizzò attorno alle sue dita.
    La concentrazione della donna divenne a quel punto totale. Muoveva le mani sul corpo della piccola, premendo di tanto in tanto in concomitanza di torace, addome e arti, senza compiere un solo gesto superfluo. Effettuò un prelievo del sangue, analizzò con due strumenti medici gli organi principali della paziente. Eppure, per quanto si impegnava, si rese ben presto conto che qualcosa le stava sfuggendo. Quella consapevolezza non riuscì ad impedirle dal corrugare la fronte in un'espressione lapidaria.
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    «Non riesco a capire…» Mormorò tra sé e sé. «…la febbre è alta, ma il sistema immunitario non funziona. Come può essere?» Esitò, stringendo le labbra: non aveva mai visto niente di simile, e sì che poteva dire di aver curato ogni genere di disfunzione da quando aveva ottenuto il titolo di Primario.
    …Veleno? No. Infezione? No. Tumore, cancro? No, non poteva essere, ovviamente.
    Esitò, socchiudendo gli occhi, mentre alle sue spalle le infermiere inserivano le canule alla paziente, sistemando il dosaggio.
    Qualsiasi cosa era stava distruggendo il sistema immunitario di quella mocciosa, e se le sue supposizioni erano corrette entro qualche ora la febbre sarebbe scesa. E insieme a quella ogni possibilità di riprenderla viva. Suo malgrado accolse con orrore l sua bocca farsi secca come sabbia.
    «Iniziamo una terapia ad ampio spettro.» Disse improvvisamente la dottoressa, girandosi verso i suoi assistenti. «Voi da questo momento uscite da qui, proseguirò da sola. Isolate questa sezione del pronto soccorso e avviate le procedure di quarantena. Una volta fuori, effettuate su di voi le dovute accortezze del caso prima di rimettervi in pubblico.» Di fronte allo sguardo sconvolto dei suoi colleghi, alzò una mano. «Non ho idea di cosa sia, non penso sia qualcosa di infettivo altrimenti quei due che l’hanno portata qui sarebbero nelle sue stesse condizioni, ma non voglio escludere la possibilità che l’incubazione sia diversa a seconda della resistenza del corpo.» E non ci voleva un genio per capire che una mingherlina di quel calibro era meno resistente del giovane uomo che era arrivato con lei. «Sistemate gli altri due nella sezione Est dell’Ospedale, rifocillateli, curateli, interrogateli.» Disse, mentre prendeva delle siringhe da uno dei cassetti dei mobili della stanza e, chiuso il braccio con un laccio emostatico, si iniettava chissà quale diavoleria. La pessima abitudine di sperimentare su se stessa, anche in quel caso sembrava non essere svanita. «Fuori di qui, ora.» Ordinò, secca. «Niente allarmismo, ma esigo che…» E iniziò a stilare una lista dettagliata di ordini e accortezze.

    Intanto, fuori da lì, Atasuke Uchiha era stato preso da parte da Junko Hyuuga. La diciottenne, apprendista di Shizuka, era bella ed aggraziata come una magnolia, ma troppo, troppo seria...come si sarebbe reso conto il Capo dei Guardiani, placcato sotto ad una serie di domande serrate che lasciavano poco spazio persino al respiro: "cos'è successo?", "avete notato sintomi nei pazienti?", "è stato stilato un report sull'accaduto?", "avete somministrato qualcosa ai pazienti?" ...e almeno altre centinaia di altre domande.

    Se la Hyuuga era l’esempio più evidente della disciplina, Atsushi Kagure era, al contrario, poco incline a quel genere di professionalità, come dimostrò prendendo per la testa il medico che stava gentilmente cercando di rispondere alle domande dei due stranieri. Dopo averlo scosso come un campanaccio. si limitò a spingerlo di lato con poca cura.
    «Salve, sono Kagure Atsushi, del team medico della Primario di questo Ospedale.» Disse l’uomo, con fare indolente, grattandosi la gola nel sostituirsi al precedente poveraccio che, con sguardo rassegnato, sospirò sonoramente. «Sono qui a darvi le informazioni che chiedete. La ragazzina di poco prima…tua figlia, giusto?» Chiese girandosi a guardare il ragazzo dai lunghi capelli rossi negli occhi. “Cazzo –pensò allora il medico, a riprova della sua grande professionalità– sto qua c’avrà sì e no ventidue o ventitrè anni…e si bomba le milf”. Il mondo non era mai stato così ingiusto. «Beh, non sta benissimo, ma la donna a capo di questo posto pare sia un bel pezzo grosso nel mondo medico.» Affermò, portandosi una mano dietro la nuca e grattandosi la testa. «Quindi insomma, la bambina è in buone mani. Signora, non si preoccupi.» Aggiunse, voltandosi alla donna e storcendo la bocca in quello che forse in un mondo lontano avrebbe potuto definirsi sorriso.
    In effetti Atsushi Kagure era, con ogni probabilità, uno degli uomini più indisponenti di Konoha, e se non fosse stato per puro caso anche il miglior esperto in terapie cliniche, era certo che non se la sarebbe passata così bene. Nonostante tutto sapeva quando darci un taglio, e lo dimostrò quando una delle infermiere arrivò trafelata a sussurrare lui qualcosa all’orecchio.
    Senza fare una piega l’uomo annuì poi, semplicemente scrollando le spalle, sospirò.

    «La bambina sta bene, signori genitori.» Disse, guardando i due stranieri. «La Primario se ne sta occupando personalmente, immagino comunque che ci vorrà fino a domani per poter dare una prognosi definitiva. Visto che qui fa un freddo porco e io inizio ad essere stanco, ho deciso che aspetteremo nell’Ala Est. Starò con voi, ovviamente, così potrò raccogliere informazioni su questa faccenda, analizzare la vostra storia clinica e tanta altra roba utile ad aiutare vostra figlia.» Affermò con un abbozzo di cortesia. «Spero che abbiate voglia di parlare, perché parleremo, parleremo…parleremo tutta la notte.» Annunciò con cadaverica gioia.

    E non mentiva.
    Atasuke Uchiha, i due stranieri, Atsushi e Junko, assieme alle infermiere e il medico dell’atrio, si diressero infatti presso l’Ala Est, dove di fronte ad un lieto e molto abbondante pasto caldo, i nuovi arrivati ricevettero cure mediche, abiti nuovi e puliti, comode poltrone imbottite su cui riposare…e tante, troppe domande.

     
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