Il Tempio dell'Unico Credo

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  1. Arashi Hime
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    Il Tempio dell'Unico Credo

    Ryongoku no Shuukyou




    Il rotolo recitava queste parole:
    “Un Dio vive nella memoria e nel cuore delle persone.
    Se dimenticato o non ritenuto vero, Egli cessa di esistere.”


    E il sigillo si spezzò.





    L’annuncio dell’Evento era stato di portata Continentale, una rete capillare di organizzazione e puntualità come da molte decadi ormai non si vedeva.
    Non vi era stato un solo Villaggio in cui non erano stati affissi i volantini color dell’oro e dell’avorio che, a lettere inchiostrate manualmente –opere d’arte uniche e preziose–, recavano l’invito formale aperto a “ciascun uomo e donna il cui animo è guidato dalla Speranza”.
    I chioschi e le vie principali di ogni Paese, laddove samaritani sconosciuti e shinobi in viaggio decidevano di riposare le proprie membra, splendevano dei colori di bandiere e stendardi riccamente cuciti. E sotto d’essi, gli stessi annunci si aprivano agli occhi dei propri lettori entro teche di vetro inviolabili.
    Messi dalla voce tonante, seguiti da cortei di flautisti e tamburi di pelle di pecora, avevano compiuto viaggi lunghi mesi per visitare ogni Corte, incontrando i Daimyo e i Kage, le Grandi Famiglie di Nobili e i Templi Religiosi più estremi. Tutto per adempiere al dovere, e grande onore, di rendere tutti partecipi della gioia immensa che solo un Evento di quel tipo poteva offrire.
    Ogni volta l’emozione era incontenibile, tale che il solo prendere tra le dita tremanti il rotolo su cui il testo era stato miniaturizzato, suscitava una commozione unica e rara. E questa, vibrante nella voce degli enunciatori, traboccava di piacere mentre lo scritto diveniva orale e il messaggio, allora, assumeva la forma della convocazione:

    Un Dio vive nella memoria e nel cuore delle persone.
    È solo ricordandolo,
    venerandolo,
    pregandolo,
    e amandolo,
    che egli può trovare dimora nel nostro animo e vivere dei riverberi della nostra Fede.

    Shinkyuu, il Concilio Sacerdotale del Continente, la tavola pentagonale cui siedono i vertici delle Cinque grandi Fedi, il diadema di Protezione degli Dei che posa sul capo di ciascun Paese, la melodia che guida la salvezza dello Spirito del più devoto e del più peccatore;
    Shinkyuu, il Sapere dei Saperi, la verità oltre la menzogna, la luce che apre l’oscurità tra il Fuoco e l’Acqua, tra il Suono e il Vento, nell’Altezza e nella Profondità;
    Shinkyuu porge l’Invito a presenziare all’intreccio della “Prima Corda” del Tempio dell’Unico Culto. Perché l’unione diventi incontro, e l’incontro, a sua volta, si modelli nella Pace.

    La Prima Corda, la gomena formata dalle fibre consacrate appartenute da sempre ai Cinque grandi Templi, è una cerimonia unica nel suo genere: gli esponenti della Fede, uniti in un solo desiderio, intrecceranno le proprie Religioni, formando così il vincolo che inaugurerà il Tempio dei Templi.
    E lì, senza distinzione di credo o provenienza, lì dove solo la Fede nella provvidenza divina è benedetta, ogni peccato sarà condonato, ogni desiderio esaudito, ogni voce accolta. Ogni creatura innalzata.

    E allora accorrete,
    e danzate,
    cantate e pregate,
    bevete e mangiate,
    gioite e piangete,
    in questo giorno di festa, in cui gli Dei diventano un unico Dio,
    dove la diversità si unisce in una sola consapevolezza,
    siete tutti i benvenuti all’inaugurazione del Tempio dei Sovrani del Cielo.

    Ryongoku,
    Il Tempio dell’Unico Culto.





    E sarebbe ben presto stato chiaro che il Tempio di Ryongoku non era solo la sede dell’unione di tutti i principali culti del Continente, ma anche quella della squisitezza più rara.
    La costruzione, figlia della tradizione più pura, sorgeva infatti nella più piccola delle isole dell’arcipelago dalla Baia di Haran, in mezzo alla Foresta di Keretembou, un luogo incantato reso misterioso dai bamboo secolari e dalle distese di fiori variopinti che, leggenda voleva, mutassero colore a seconda dell’ora del giorno e della notte.
    Fu ben presto evidente che tutta l’isoletta, disabitata per via dell’isolamento in cui era confinata, che rendeva difficili le comunicazioni e nessun’altra sopravvivenza che non fosse quella primordiale ormai così desueta; era stata devoluta dal Concilio a sede dell’Unico Culto. L’unica forma di civilizzazione che si poteva incontrare appena arrivati, difatti, era il piccolo porticciolo che accoglieva l’attracco delle imbarcazioni, l’unico mezzo utile per arrivare sul posto, giacché volare sopra quell’isola risultava impossibile a causa della densità delle nuvole che sopra d’esso sostavano, immobili e tangibili come fossero di spuma di seta e non d’aria. Non vi era altra forma di imposizione dell’uomo, in quel luogo remoto e saggio.



    La strada per giungere al Tempio dell’Unico Culto era anche per questa ragione assai ardua. Un cammino di espiazione verso la consapevolezza e il perdono.
    Era necessario attraversare tutta la foresta, percorrendo il cammino naturale tra i fiori e gli alberi dall’aspetto sapiente e antico, intraprendere salite ripide e irte di ostacoli in cui i calzari scivolavano e le mani si riempivano della fecondità di un terreno perennemente umido e muschiato. Fiumi e piccoli torrenti dovevano essere attraversati, immergendo le gambe fino alle ginocchia, lì dove solo le liane della vegetazione fitta potevano aiutare a non perdere l’equilibrio, lo stesso che si credeva di smarrire quando si attraversava un ponte sospeso nel vuoto di una gola sul cui fondo gorgogliava un fiume in sussulto, ripido di correnti che solo grandi pesci dalle squame d’argento sembravano poter sfidare, risalendole con salti continui.

    …Perché era di sfida che si parlava, nella foresta di Karetembou, una scommessa che solo i piccoli animali dal pelo arruffato e gli occhietti vispi, o quelli più grandi e silenziosi nascosti nelle ombre delle caverne naturali dell’isola dimenticata, apparivano capaci di vincere.
    Eppure, per quanto stancante il percorso avrebbe potuto apparire anche allo Shinobi più esperto, lo spettacolo di cui si sarebbe goduti alla fine del viaggio non aveva parole per essere espresso.



    Superato un sentiero di Torii in legno rosso smaltato, difatti, il Tempio di Ryongoku si sarebbe mostrato in tutto il suo splendore: scolpito nella roccia dell’isola stessa, sotto ad una cascata che, sciogliendosi in un pianto continuo, creava un lago naturale ricco di fiori di loto e petali di magnolia; Ryongoku sembrava incastonato all’interno di una collina come una gemma preziosa e inaccessibile.
    La sua costruzione, l’unione di cinque diverse tradizioni e leggende, religioni e passati, appariva strana e affascinante come lo poteva essere uno straniero ancora privo di parola eppure colmo di storie da narrare. E proprio per questa ragione, la sensazione che avrebbe investito chiunque, era quella della Pace sopra ogni altra Pace. La verità, sopra tutte le altre.
    Quello era il punto di equilibrio. L’attimo di totale estasi.
    Il risultato senza errore.

    Questo era Ryongoku: la matematica dell’esattezza, l’equazione dell’essenziale.
    E tutti erano invitati a godere di quella maestosità.
    A celebrare quello splendore.

    A ricordare la nascita del nuovo Grande Dio.

    Il Dio degli Dei. Il Kami di un nuovo inizio.
    “Dio delle Origini”, si sarebbe detto.


    Ma dirlo, sarebbe stato un errore.
    Il peggiore mai visto prima.
    Il peggiore dalle Origini del Mondo stesso.




     
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