La nascita di una kunoichi

[Free GdR] Harumi - Ayuuki - Kairi

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    La nascita di una kunoichi

    Post ii ~ Il sacrificio



    I popolani che si erano radunati intorno alle due donne, incuriositi dalla loro presenza e al contempo allarmati dalle loro domande, indietreggiarono di scatto davanti agli occhi rossi dell'Uchiha. In lontananza un bambino di tre o quattro anni iniziò a piangere e la madre fu rapida a sollevarlo stringendolo al petto, per poi allontanarsi svelta. Gli uomini più discosti presero a mormorare sottovoce, lanciando occhiate furtive verso Ayuuki e Kairi. Le due avrebbero percepirono chiaramente una frase, prima che il capovillaggio, nel frattempo accorso a placare gli animi, li facesse tacere: "Forse anche lei è un demone!"

    Qualunque fosse stata la reazione della kunoichi, l'anziano rappresentante della comunità fu lesto a frapporsi tra lei e i suoi concittadini, per i quali chiese perdono. Onorevoli signore, abbiate pietà di noi. Siamo semplici contadini, non abbiamo mai fatto del male a nessuno... Si asciugò la tempia, imperlata di sudore, con la manica della stretta tunica bruna che indossava. Incaricherò uno dei nostri ragazzi di guidarvi fino al luogo della cerimonia. E, prima ancora che le due potessero aprir bocca, gridò a gran voce il nome del giovane, il quale, sgomitando, si fece strada tra gli astanti posizionandosi di fianco al vecchio. Tetsumaru vi mostrerà la strada, ma sappiate che noi non abbiamo nulla a che fare con quanto sta accadendo lassù. Sebbene, se avessero successo... Lasciò la frase in sospeso, muovendo in modo distratto la mano, come per cancellare le sue ultime parole. L'atteggiamento, comune a tutti i presenti probabilmente, era ambivalente: l'idea di compiere un sacrificio umano per aver salva la vita era ripugnante, ma la disperazione era tale che ogni strada andava ormai tentata. Avrebbero sopportato di essere giudicati, pur di avere la minima possibilità di salvare le proprie famiglie, soprattutto quando a sporcarsi le mani era qualcun altro.

    Tetsumaru, piuttosto alto per i suoi quattordici anni, le guardò con un'aria di superiorità che in realtà serviva a mascherare la sua preoccupazione. Era stato dato in pasto a due perfette sconosciute, una delle quali dotata di inquietanti occhi rossi, e doveva guidarle nel villaggio che ormai tutto il resto della vallata considerava maledetto. Si rese conto che, in fin dei conti, era anche lui un agnello sacrificale, o per lo meno sacrificabile. Raccolse tutto il suo coraggio e fece un passo avanti. Forse se avesse obbedito senza esitazione se la sarebbe cavata. Andiamo, coraggio, o arriverete tardi. Tutta quella sollecitudine non nasceva certo dal desiderio di salvare la vita di Harumi, che neanche conosceva in realtà, bensì la propria. Superando il crocchio che li circondava si inoltrò verso la strada che costeggiava il torrente, la più rapida per giungere a destinazione. Alle due ninja non restava che seguirlo, o lo avrebbero presto perso di vista. Quando furono ormai lontane, il vecchio capovillaggio tirò un sospiro di sollievo. Qualcun altro si sarebbe occupato di quella grana.

    Dopo una decina di minuti il ragazzo lasciò la via principale per prendere una "scorciatoia". In realtà non era più che un sentiero fra l'erba alta, percorso di rado da alcuni valligiani particolarmente intraprendenti o di fretta. Qualsiasi tentativo compiuto dalle fogliose di interagire con la loro guida si sarebbe scontrato con un gelido muro di silenzio o al massimo con cenni affermativi o negativi del capo. Alla fine, scostando i bassi rami di una paio di arbusti Tetsumaru si rivolse nuovamente alle sue compagne di viaggio. Eccoci arrivati. Si scostò leggermente, sempre trattenendo le fronde, per mettere alle due donne di dare un'occhiata. Dal loro punto d'osservazione non potevano vedere direttamente la piazza, coperta da alcune abitazioni, ma potevano comunque intravedere il chiarore del fuoco che si rifletteva sui tetti di paglia ed il fumo che si alzava verso il cielo nero. Nella quiete del bosco al cui limitare si trovavano giunse chiara la voce di un uomo, non più giovane ormai, che pronunciava frasi per loro prive di senso. Bene, io ho fatto la mia parte, ora lasciatemi andare. Detto ciò fuggì, allontanandosi dalla spaventosa presenza delle kunoichi di Konoha. In realtà, compiuto un semicerchio dietro agli alberi, si arrestò dietro i graticci di vimini che partivano da una delle case più discoste. In fin dei conti avrebbe potuto dare un'occhiata al rito, visto che ormai era lì. Curioso si avvicinò, fuori dalla portata dei sensi delle due ragazze, che avevano d'altronde altro a cui pensare. Un grido, appartenente ad una voce femminile, squarciò l'aria. Qualsiasi cosa intedessero fare, dovevano farla in fretta.

    Il cerimoniale preparatorio sembrava essere giunto al termine. L'uomo che lo guidava, brandendo la torcia, diede il segnale ai suoi due aiutanti con un deciso cenno del capo. All'unisono, i contadini presero Harumi, uno per parte, sotto le ascelle, sollevandola da terra. Ciò la riscosse dallo stato catatonico in cui sembrava essere caduta. Come rendendosi per la prima volta di dove si trovava, la ragazza iniziò a guardarsi intorno, voltandosi con violenti scatti da una parte all'altra. Chiunque fissasse quello abbassava lo sguardo, incapace di sostenere i suoi occhi spiritati per la mancanza di sonno e di cibo, per il dolore e per il terrore della fine orribile che l'attendeva. Solo pochi minuti prima sembrava decisa ad accettare il proprio destino, quello di morire per quella gente, stufa di lottare. Tuttavia, da una parte del proprio spirito a lei sconosciuta, percepì chiara una sola parola: "vivi". Prima piano, poi più forte, come se qualcuno le stesse gridando direttamente dentro il cervello. Lei doveva vivere. Se per gli abitanti del villaggio l'unica speranza di salvezza era riposta nel suo sacrificio, allora potevano benissimo morire tutti per lei. Non una sola delle persone presenti aveva provato a difenderla, nessuno di loro l'aveva mai accettata. Gli unici che le avevano voluto bene ormai non c'erano più. Sua madre era morta. I suoi genitori adottivi erano morti. Era rimasta sola al mondo, sola e odiata. Ma questo non voleva dire che la sua vita doveva avere termine quel giorno, non in quel modo tanto insensato.

    Con energie che non sapeva di possedere, prese a strattonarsi con forza nel futile tentativo di liberarsi dalla stretta dei suoi aguzzini. Un misto di istinto di conservazione e disperazione la portarono a sgomitare, scalciare, perfino mordere, ma i due uomini, sebbene infastiditi, non mollarono la presa. Dal pubblico, ipnotizzato dai sui suoi vani sforzi, più d'uno mormorò che la poveretta era posseduta. Nel frattempo l'uomo con la torcia aveva dato fuoco alle stoppie più basse, le quali iniziarono in pochi secondi a crepitare, avvolte dalle fiamme. Riponendo il legno incandescente, prese una corda di canapa, simile a quelle usate nei templi, sui cui erano stati eseguiti dei nodi ad intervalli regolari, uno per ogni spirito da invocare per quel rito. E' inutile che ti disperi, avresti dovuto pensarci prima di portare la disgrazia sopra in nostro villaggio, demone! Morte hai sparso, e morte avrai. Si fece avanti, pronto a legare la fanciulla per poterla infine gettare sul rogo. Harumi tentò di reagire, ma i due tirapiedi l'avevano ora completamente immobilizzata. Disperata, fece l'ultima cosa che le restava, sebbene lontanissima dalla sua indole. Sputò in faccia all'uomo che voleva prendere la sua vita, il quale in tutta risposta le mollò un manrovescio sul viso. Piccola serpe, hai finito di fare tanto il gradasso. La tua ora è giunta. Iniziò a passare la corda intorno alle braccia e al busto della ragazza, che prese a gridare con tutta la voce che aveva in corpo. Diversi corvi, che da giorni banchettavano con i cadaveri dell'epidemia, si alzarono in volo dai tetti di paglia delle case, mentre anche l'ultimo scorcio di cielo veniva coperto da nubi oscure, cariche di pioggia e di sventura.
     
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