Gelide nottate

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  1. Waket
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    La faccia della Vipera lasciava intendere come continuasse a crede stupido quel metodo di riconoscimento. Si infiammò una seconda volta quando l’altro espresse disgusto per la sua natura:

    Non l’ho chiesto io di essere così!

    Circa. Il siero l’aveva pur sempre accettato lei, c’era da dire che forse nessuno dei due fosse stato a conoscenza di quel tipo di effetto. La cosa non le dava fastidio, solamente quando la punzecchiavano su quel suo bizzarro lato di sé.
    Una volta nel salottino, i primo tentativo del Colosso di riprendersi la poltrona fu vano, con lei che si limitò a stringere la presa, nonostante l’altezza decisamente insolita per i suoi standard.

    Trattamento di favore un cavolo. E’ il minimo. Stupratore.

    Sussurrò appena, sibilando aggressiva, finendo col dover mollare la presa dopo una furiosa scrollata da parte dell’uomo: nelle condizioni in cui si trovava la sua testa non era l’ideale ricevere un trattamento simile. Si lasciò posare sul divano mezza stordita e arrabbiata, riprendendo la tisana offertale e bevendone qualche sorso.
    Raizen venne distratto da Darwin, osservandolo girare per la stanza ed insultandolo senza troppi complimenti. Insulti ai quali la chimera rispose voltandosi nella direzione del suono e scodinzolando, rifiutandosi però di avvicinarsi nuovamente a quell’individuo. La Vipera si limitò a seguire con lo sguardo il suo animaletto, chiamandolo a sé sul divano e borbottando una risposta, ancora leggermente stordita dalla scossa:

    E’ in grado di tenermi compagnia ed è indistruttibile. Per il luogo in cui vivo è fin troppo efficiente, poco importa se non ha l’intelligenza, con la rigenerazione che possiede l’istinto di sopravvivenza è qualcosa di superfluo.

    Poi arrivò il momento dei discorsi più seri. Finì il discorso senza interruzioni, Raizen commentò solamente alla fine, con una domanda di difficile risposta:

    Io non… non lo so. Muore mai davvero? Qui dentro sembra sia sufficientemente vivo da avere una sua coscienza.

    Sì, in parte stava mentendo, Febh le aveva detto di averlo ucciso con le sue mani. Ma un frammento della sua anima era pur sempre dentro di lei, e in chissà quante altre persone o esperimenti. Era difficile credere che fosse effettivamente scomparso se c’era la possibilità che prendesse possesso del suo corpo in un momento di debolezza. La seconda domanda le sembrò terribilmente stupida, fissando il Kage con gli occhi spalancati, aspettandosi che si rimangiasse tutto dicendo che fosse solo una battuta o qualcosa del genere.

    Scusa, fammi capire. TU lo vorresti tra i piedi? Nel tuo ufficio? A sperimentare liberamente con chiunque voglia nel tuo villaggio? Sperimentare sui TUOI cittadini? Uno… “scienziato” senza morale il cui unico scopo è pura ricerca personale?

    Rimase a fissarlo in silenzio, aspettandosi che si rendesse conto della sua affermazione.
    Il successivo discorso la lasciò leggermente spiazzata, era pronta a difendere il suo paese Natale a spada tratta, ma le successive parole non le permisero di reagire come avrebbe dovuto. Si limitò ad abbassare lo sguardo sulla tazza, riflettendo. In effetti da un Kage o Amministratore che sia, ci si dovrebbe aspettare protezione, sentirsi al sicuro sotto al suo comando, non temere la morte al primo passo falso. Se la fiducia era comunque stata guadagnata, c’era pur sempre il domandarsi se Febh fosse davvero in grado o desideroso di proteggere i suoi abitanti e sottoposti. Proteggere lei. La sua paura non doveva essere quella di fare un passo falso: poteva aver paura di deluderlo, poteva temere di non essere all’altezza di determinati compiti, ma non avrebbe dovuto nascondergli cose per paura che la cosa lo facesse reagire male. Eppure era quello che era successo. Sì, stavolta si era concluso bene, ma le prossime?
    Non potè trattenere un’espressione arrabbiata quando l’uomo le confessò che non aveva dato poi molta importanza al loro patto. Non riuscì a trattenersi dall’interromperlo, rispondendo con un sibilo, chiaramente offesa:

    Scusami se non sono all’altezza. Ma grazie per il siero, vedo che anche tu possiedi uno “spiccato lato da crocerossina” per le cose che ti fanno pena.

    Le successive parole la colpirono come un pugnale al cuore. Non poteva controbattere, se lei era lì per chiedere di cambiare il suo patto era proprio perché non si sentiva al sicuro nel farlo. E non avvisando Febh della cosa, c’era il rischio che Diogene ottenesse quello che voleva, peggiorando solamente la sua situazione e probabilmente quella dell’intero villaggio.
    Spiazzata, si accucciò sul divano, con la tazza stretta tra le sue mani e gli occhi leggermente lucidi. Non si aspettava di certo di arrivare fino a quel punto, ma stava iniziando ad avere forti dubbi. Sì, non aveva mai fatto poi troppo affidamento agli altri, ma questo valeva finché viveva di stenti per strada. Nel momento in cui dava i suoi servigi e potenzialmente la sua vita per un villaggio ci si sarebbe aspettati protezione, ma la cosa non era del tutto vera, o almeno non lo sembrava. Si sentiva quasi più al sicuro in quella casa, pur lontana dal suo villaggio ed in un luogo a lei sconosciuto, che nella propria dimora.

    Voglio andare a… si bloccò, rimangiandosi le parole. No, non aveva più così tanta fretta di tornarsene a casa, ora come ora. A-ad una locanda. Sì. Ho bisogno di una doccia calda. Qualcosa di accogliente ma non troppo costoso, grazie. Ci devo passare la notte. E ho fame.

    Si era limitata a fargli distrattamente la lista delle sue esigenze, ancora visibilmente concentrata sul precedente discorso. Non era all’altezza di rispettare un patto, non era al sicuro nel suo villaggio. Non sapeva come reagire.
    Non avrebbe ascoltato la prima risposta di Raizen, concentrata com’era nei propri pensieri, costringendolo a scuoterla se avesse voluto delle risposte. Sarebbe rimasta a fissare la sua tisana, quasi in trance, mentre Darwin in disparte avrebbe optato per l’allontanarsi se il Colosso si fosse per qualsiasi motivo avvicinato al divano.
     
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