Le Terme Goruzumi

Free Kiyomi Saito

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    Il passato che Brucia








    Alle felicitazioni di Kinkato Raizen avrebbe risposto con un lieve sorriso.

    Non sia modesto, Kinkako-san.
    Queste terme rivaleggiano con l’intero paese delle sorgenti termali, ostentare modestia è peggio che ostentare la realtà.


    Il tono era cordiale e non severo e concluse con un secondo lieve sorriso prima di seguire il piccolo gruppetto formatosi in un giro turistico dell’impianto termale, apprendendo con piacere che le terme avevano un reale potere curativo, cosa che lo invogliava maggiormente ad immergersi, anche se lontano dai bambini.
    L’evento notturno invece si rivelava ancor più interessante, sembrava infatti che non fosse aperto a chiunque, ed anzi, fosse necessario essere addestrati nelle arti ninja per poterlo apprezzare.

    Oh, interessante.

    Commentò con meraviglia.
    Il giro si sarebbe concluso nelle stanze, in cui Kiyomi non si risparmio la sua consueta dose di causticità, che venne accolta d Raizen con una smorfia, un verso per la precisione, con cui faceva un imitazione ben poco aggraziata della kunoichi.

    Hai aggiunto la candeggina allo yogurt mattutino eh, Kiyomi?

    E così dicendo avrebbe preso il suo zaino per prendere posto nella sua stanza, non si sarebbero rivisti prima dell’evento serale. Raizen avrebbe passato qualche oretta a tu per tu col servizio personalizzato, godendosi i pesci d’acqua dolce cotti in svariati modi, e tutti con ingredienti provenienti da poco fuori della recinzione del complesso termale, e il tutto all’interno dell’esclusiva vasca che dava sulla vallata, l’ora del tramonto era quella giusta per un simile evento, ed il servizio era di così alta qualità che il cameriere serviva le pietanze senza disturbare i suoi pensieri. Per una volta, stranamente, era contento di non avere nessuno a fargli compagnia.
    In realtà spesso lo era, ma per le donne faceva sempre delle eccezioni, tranne quella volta.
    Si sarebbe alzato dalla vasca qualche minuto prima dell’evento serale, giusto il tempo necessario a cambiarsi per indossare il morbido accappatoio messo a disposizione dall’albergo.

    Kinkako, perché ho così tanta voglia di buttarmi in quella vasca?

    Avrebbe domandato senza guardare negli occhi il suo interlocutore, mentre il suo naso analizzava l’aria alla ricerca di odori particolari [segugio] e tenendo gli occhi incollati alla superficie opaca dell’acqua.
    La vasca principale al momento era riservata esclusivamente a loro, cosa che a Raizen non diede minimamente fastidio, era abituato alle nudità sue e di Kiyomi, per cui non diede segno ne di stupore ne di disagio quando la donna prese posto nella vasca.

    We.

    Salutò senza troppa enfasi, dopotutto si era solamente trasferito da una vasca all’altra, quindi era ancora sufficientemente rilassato da prestare poca attenzione all’esterno, e il caldo tendeva ad annebbiargli lievemente il cervello. Fu costretto ad un brusco risveglio quando l’acqua si fece improvvisamente mossa, sempre di più, fino a quando un vortice non risucchiò entrambi. Avrebbe tentato un appiglio sulle rocce, ma rese scivolose dall’acqua si dimostrarono del tutto inutili, come anche il fondo che pareva essere troppo distante per poggiarci i piedi.
    Se avesse avuto la mente un po’ più limpida avrebbe pensato ad un’ attrazione turistica, ma in quei precisi secondi era occupata da turpiloqui irripetibili, in molti dei quali Kinkako veniva coinvolto in orge tra animali, dei e sua moglie usata come secchio per liquidi non meglio precisabili. Vennero anche separati da Kiyomi, ma non se ne preoccupò, per quanto singolare quell’esperienza non pareva essere pericolosa.
    La lunga scivolata si concluse in un sistema di gallerie di cui, a causa dell’oscurità, non vedeva confini, stava per porre una domanda, quando una voce, appartenente a chissà chi, parlò, diffusa nell’area come se fosse la roccia stessa a parlare.
    Un tono aulico che, quasi come uno spirito custode, gli disse cosa dovevano fare per uscire da quel luogo, di cui Raizen sentiva di potersi fidare, stranamente.

    Kinkako.
    Sto per radere al suolo questo posto, questa attrazione a sorpresa per turisti si è già presa troppo spazio.
    Vorresti spiegarmi?


    Eppure, per quanto teso fosse non riuscì ad arrestarsi, inconsciamente ipnotizzato da chissà cosa, senti a stento l’acqua farsi calda, un incremento di temperatura che smise di crescere esclusivamente quando un immagine apparve davanti a lui: Shizuka.
    Si rabbuiò quasi istantaneamente mentre quella figura gli correva incontro con una risata squillante quanto ostentata.

    Ey, Shizuka ma che…?

    Non era possibile che fosse li, stava palesemente interagendo con un illusione, eppure era così reale, non faceva presa sulla sua percezione della realtà quanto con una parte profonda del suo essere, la radice dei sentimenti, era ciò che provava ad animare quell’immagine, che presto sarebbe stata seguita a ruota da migliaia di istantanee, scene della sua vita che gli picchiavano sulle spalle come un maglio. Si rese presto conto che facevano presa sui suoi sensi di colpa, sulle sue incertezze, su emozioni che non era in grado di gestire e verso le quali si trovava disarmato.
    Raizen era forte, non era sul tetto del mondo ninja, ma la sua forza era difficile da mettere in discussione, ma un uomo non è fatto solo di ossa e muscoli, i suoi sentimenti ne prendevano una buona fetta, una fetta che spesso la Montagna decideva di ignorare, un metodo che gli impediva di soffrire ma al contempo di risolvere le sue turbe più profonde.
    Sapeva perché tutte quelle immagini gli scorrevano dinnanzi agli occhi e sapeva che non sarebbe riuscito a contrastarle, l’acqua andava scaldandosi, arrivando a limiti praticamente insostenibili, ed a nulla sarebbe servito il chakra repulsivo che cercava di far fluire all’esterno del corpo per isolarsene.
    Si trovò totalmente disarmato di fronte a quelle immagini, vedeva Shizuka ridere, distante da se, per poi appassire e piangere in una disperazione così profonda e densa che per lui era stato impossibile dissolvere, tese la mano verso quella visione onirica, ma si era praticamente arreso ancor prima di cominciare.

    Io… tu… non mi hai mai accettato…
    …non l’hai mai fatto…
    …non mi hai mai ascoltato…


    Ma sapeva bene che quello era un problema condiviso, se era vero che Shizuka non ascoltava era vero che lui non si sforzava di parlare in un modo che lei comprendeva, sempre fisico e rude adottava il modo che desiderava venisse utilizzato su di lui, senza probabilmente rendersi conto che anche lui avrebbe reagito alla medesima maniera: chiudendosi a riccio e tenendo per se qualsiasi tipo di problema.
    Ed era quello che stava succedendo davanti ai suoi occhi, lui che sbraitava, si arrabbiava perché il suo punto di vista non veniva considerato e lei che si voltava dall’altra parte prima di scoppiare davanti alla sua insistenza. Guardare dall’esterno quella scena era se possibile ancor più struggente che viverla, a mente fredda era tutto così stupidamente irreale, nessuno dei due muoveva un passo intestardendosi nella sua posizione, l’uno per testardaggine ed orgoglio, l’altra per paura della realtà e delle conseguenze dell’accettarla.
    Ma quel flusso non riguardava solamente Shizuka, c’era persino la sua nomina ad Hokage, il peso stesso di quella carica e quanto si sentisse inadatto a ricoprire la stessa.
    Quando i ricordi esitarono sul suo volto di pietra appena concluso crollò come un castello di carte, l’acqua gli bruciava la pelle m non riusciva realmente a badarci, nonostante la sentisse fino all’altezza del petto in ginocchio com’era.

    Konoha aveva bisogno di una guida… non potevo lasciarla sola e poi… e poi il daimyo mi ha accettato… io…

    Si rivedeva seduto sulla scrivania ad infliggere quella tortura psicologica Yato nel tentativo di fargli confessare chissà cosa per confermare un imprecisato sospetto, dovuto al fatto che fosse troppo testardo per ammettere che forse Yato lo odiava come tutti semplicemente perché lui era Raizen prima di essere l’Hokage. Un Colosso di oltre due metri schietto, burbero e sanguigno che prima di chiedere ti assestava un cazzotto nel grugno giusto per farti capire che se la risposta non gli garbava quelli non sarebbero stati che i primi denti da raccattare.
    Continuava ad essere un jonin qualsiasi nonostante avesse sopra la testa il cappello più pesante dell’intera nazione, senza pensare che proprio a causa di quel cappello dovesse cambiare, calmarsi, ragionare e soltanto dopo agire. Poteva dare uno schiaffo a chiunque se lo meritasse, ma come kage, come HOkage non poteva permetterselo.
    Eppure al contempo sapeva di non poter diventare come Itai, di non poter essere una figura rassicurante, erano due tipi di persone totalmente differenti, come differenti furono i loro metodi di interazione con i loro demoni: Raizen comprese l’odio della volpe, accettandolo, Itai lo spazzò via, annullandolo.
    Un modo di agire che li aveva segnati, definendone il cammino, eppure in quelle grotte la Montagna stava a rimuginare su quanto quelle scelte fossero usate come giustificazione per il suo modo di agire e… sbagliare.
    Quella parola lo terrificava, da quando aveva preso posto nella scrivania che più di tutte era stata testimone di giganteschi errori aveva il terrore di sbagliare e venir ricordato soltanto come l’Hokage che attraverso la sua furia aveva portato distruzione alla foglia.
    Capì, in quel momento, che la chiave del suo successo era la crescita, quella vera.
    Doveva riuscire a capire che lui per il villaggio era la risorsa ultima il gran finale prima della disfatta totale, comprese che per le persone doveva essere un appoggio più che uno spillo pronto a farle scattare al minimo cenno di rilassamento, capì che il suo carattere, il suo spigoloso carattere andava smussato, prima a colpi di maglio, e poi levigato.
    Ripenso anche al kiriano, quello giunto a Konoha per fare rapporto, anche con lui aveva sbagliato, in una situazione in cui poteva avere tutto, la sua fretta di saltare al collo della preda l’aveva messo in svantaggio, permettendogli di ottenere soltanto la metà. Un errore per cui avrebbe assegnato con facilità l’etichetta di stupido ad un qualsiasi genin.
    Stava sbagliando, e di quei piccoli errori il suo villaggio gli avrebbe chiesto conto se non fosse rinsavito dalla sua cupidigia. Persino la scappatella al gate si rese conto che poteva essere trattata con maggiore finezza, persino la discussione che nuovamente ne ebbe con Shizuka poteva essere trattata in maniera diversa, più adulta, l’ennesimo errore che aveva dato al suo orgoglio una spinta.
    Poteva davvero biasimarsi per tutto quello?
    Era un bastardo, nato e vissuto da straccione, e per quante corone e titoli potesse darsi… restava uno straccione. Poteva pettinarsi, poteva tirarsi a lucido, ma nel suo profondo, l’odore di povertà, di periferia, quello restava legato all’anima e più si cercava di salire più stringeva, fino a soffocarti. Oppure, fino a comprendere che non era solo, che il suo compito era quello di guidare, di osservare e consigliare, di vegliare sul villaggio. Poteva salvarsi?
    Poteva salvare Shizuka?
    Si sarebbe voluto ancora una volta chinare su quell’esile figura, poggiargli una mano sulla spalla e dirle che sarebbe andato tutto meglio, ma ormai era troppo tardi per quello, forse non tutto si poteva riparare.
    E proprio quel pensiero gli fece comprende che forse doveva mettere un freno alla sua esuberanza, ed iniziare a fidarsi del prossimo in un modo nuovo, non solo della loro forza fisica, ma anche di quella mentale e della loro fedeltà verso il villaggio.
    Sospettare del prossimo, dubitare del suo acume e valore, non lo avrebbe portato da nessuna parte. Dubitava di tutti, continuamente, per una ragione o per l’altra chiunque gli era inferiore, ma la cosa non valeva per i suoi avversari, quelli non venivano mai sottovalutati, cosa che lo costringeva a prendere sempre le redini di qualsiasi missione, travestendo il suo bisogno di spiccare ed essere accettato da volontà di proteggere il prossimo. Era una battaglia che non poteva portare avanti da solo, non più.
    Un sospiro pesante dissolse quella nube di ricordi come fumo, la volpe taceva, quello non era un suo problema dopotutto, e seppure indirettamente poteva esserlo non sarebbe potuta essere d’aiuto per risolverlo.
    Le mani ormai raggrinzite apparivano grazie all’acqua ancora più grandi sotto la superficie debolmente illuminata, qualsiasi sortilegio fosse era abbastanza forte da far riflettere le immagini dei suoi ricordi persino sull’acqua ora perfettamente immobile.

    Scusatemi…

    Le scuse quella volta non sarebbero bastate, quei rimorsi non sarebbero stati sanati, erano errori del passato a cui non avrebbe potuto fare ammenda, ma poteva far invecchiare quelle cicatrici, assottigliarle e sperare di non causarne altre in futuro. Si accorse in quel momento, che la prima persona ad essere delusa del suo comportamento era se stesso. Aveva pianificato un futuro differente per se stesso, pensava di poter essere un persona differente da quella che quelle grotte gli rivelarono essere.
    Restò immobile col capo chino, sfiancato dai suoi stessi rimorsi, piegato, ma non sconfitto…I ricordi sfuocarono e l’acqua si increspò.

    Scusami…
     
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