Tomodachi

[Free Kairi - Shin]

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    Tomodachi

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    Il ragazzo stava rifiatando a pieni polmoni. L'aria calda non faceva che aumentare il sudore che già imperlava i suoi muscoli, tesi allo spasimo dallo sforzo. Inspirando ed espirando più lentamente, nel tentativo di regolarizzare il battito del suo cuore, lo shinobi levò il bokken alto sopra la testa, per poi calarlo con un urlo fragoroso contro il masso di fronte a lui. Il legno, già provato, scricchiolò, per poi rompersi in un'esplosione di frammenti. Con stizza, il genin gettò in disparte quanto rimaneva della spada da allenamento. Poco distante sul ghiaino del cortile interno della dimora giacevano altri monconi della stessa arma. Il giovane si stava allenando ormai da diverse ore, aveva iniziato dopo un cena leggera e non accennava ancora a fermarsi. Le ombre della sera intanto iniziavano ad avvolgerlo, allungandosi dagli alberi e dall'alto muro di cinta. Tranne che per il suo respiro affannoso, tutto intorno regnava il silenzio. D'improvviso il frinire delle cicale lo spezzò, non con un crescendo, ma a pieno volume, come se si fossero risvegliate tutte insieme non appena il sole era svanito oltre la linea dell'orizzonte. Fermandosi ad ascoltarlo, il ragazzo abbassò la nuova spada che aveva estratto dal contenitore al suo fianco. In quell'istante, lontani, lo raggiunsero dei colpi. Shin ripose l'arma e si avviò verso la porta con passo scattante. L'indolenza di qualche giorno prima era ormai un ricordo.

    Il giovane Kinryu non sembrò particolarmente sorpreso quando, aprendo l'uscio, trovò davanti a sé Kairi. Finì di detergersi il sudore con un asciugamano, mentre rimanevano a fissarsi sulla soglia. Come la kunoichi, anche sul viso del ragazzo non compariva il consueto sorriso, sebbene l'espressione non fosse per niente ostile. Se proprio si fosse voluto trovare un sentimento, quello che più traspariva era la preoccupazione. Il muscolo della mascella si contrasse in modo impercettibile. Il battito cardiaco dello shinobi era ancora accelerato per l'allenamento, quindi non si poteva dire se la visita ne avesse parte. Quando l'Uchiha finalmente si decise a rivolgergli la parola, il Kinryu faticò a non lasciar trasparire alcuna emozione. Sapeva benissimo perché era lì e, in tutta sincerità, non aveva nessuna voglia di tornare sull'argomento. Che fosse giusto o sbagliato, aveva agito secondo coscienza, in risposta ad una richiesta d'aiuto. No, in realtà sarebbe intervenuto anche senza che il padre di lei glielo avesse chiesto. In ogni caso non aveva tratto alcuna gratificazione dallo scontro verbale con l'amica, se non una ritrovata convinzione per rimettersi sotto con gli allenamenti. Era debole, e non solo come shinobi, bensì come uomo a tutto tondo. Probabilmente anche la ragazza ne era convinta, e non avrebbe perso occasione di farglielo notare. Trattenendo un sospiro, con un filo di voce, infine rispose con una sola parola. Prego. Fece entrare la giovane, richiudendo la porta alle sue spalle. Con passi rapidi, ma controllati, la fece accomodare nel salotto che ben conosceva, rimanendo però in piedi. Stavo finendo di allenarmi, perciò ti chiedo di pazientare un poco, in modo che possa rendermi presentabile. Detto ciò, uscì dalla stanza per dirigersi in cucina, dove mise su il tè, per poi salire al piano di sopra saltando gli scalini due a due.

    Il tempo di una rapida doccia e di un cambio d'abito e la bevanda era pronta. Nel frattempo Kairi avrebbe potuto notare che erano soli in casa. Né la graziosa sorellina, né i genitori o il nonno dell'amico si trovavano infatti nell'abitazione. Allo stesso modo, anche le kitsune erano assenti. Nonostante le pulizie effettuate, la stanza era ricoperta da un sottile strato di polvere, assente durante la sua ultima visita. Probabilmente l'Uchiha si sarebbe interrogata sulla cosa, ma non avrebbe trovato risposte a meno di domandarle direttamente al Kinryu. Quello tornò nel giro di cinque minuti, con i vestiti puliti e i capelli ancora bagnati. In mano reggeva un vassoio disadorno con sopra una teiera e un paio di bicchieri. Appoggiò il tutto nel basso tavolino tra i divani e la poltrona senza mai incrociare lo sguardo della ragazza. Alla fine Shin si sedette proprio di fronte a lei, non ben appoggiato allo schienale, ma vicino al bordo, la schiena ben diritta, teso. Con un atto di coraggio e una sfumatura di determinazione negli occhi, la invitò a parlare senza tanti giri di parole. Se proprio doveva andare così, tanto valeva togliersi il pensiero alla svelta. Ti ascolto, dimmi pure.



     
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