Il Soldato dell'Oni

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  1. Jotaro Jaku
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    Terminato l'ultimo rituale, Sho, senza rendersene conto, sarebbe stato praticamente vuoto. Il suo cervello privato di ricordi fondamentali, trasformandolo in un grosso foglio bianco, per facilitare il lavoro di ricondizionamento dei canthiani. Le uniche cose che il ragazzo ricordava, al momento, erano suo fratello oda, e il fatto di essere possessore del demone a cinque code. Tutto il resto era sparito, non ricordava più nemmeno il suo nome, e grazie al tempo nel quale il rituale era stato spalmato, non si era nemmeno reso conto della perdita. Quanto a Oda, per qualche strana ragione, o per uno scherzo del destino, era sfuggito alle spie di Shiro il legame tra i due. Spiare dentro la Foglia non era facile, e il fratello era passato per un amico; facendo credere a Shiro e al Lupo, che la sua identità fosse scomparsa dalla mente del ragazzo durante il processo. Quanto al demone, il ricordo era stato lasciato di proposito, dal momento che essendo parte integrante del ninja, sarebbe stato impossibile disfarsene, come la coscienza di essere maschio, e di avere i capelli neri, cose troppo facilmente provabili dai sensi per essere modificare con quel tipo di rituale. Fu cancellato però, il metodo con il quale Kokuo era stato assoggettato, facendo dimenticare al chunin il giorno al tempio, con tutto ciò che ne era conseguito.
    Sho venne lasciato tutto il giorno numero 28 da solo, sotto il sole di Cantha, sul fondo del grande pozzo, quindi, la mattina del ventinovesimo, trovò nuovamente i suoi due aguzzini davanti a lui, che nuovamente, ignorarono ogni parola, gesto, o occhiata, fosse fuoriuscita dal ninja. Era meno di una cavia; i suoi nemici sapevano bene cosa stavano facendo, non c'era possibilità di errore; più di un esperimento, era ormai una pratica consolidata, ed era solo questione di tempo prima che il giovane venisse convertito. Quel giorno, sarebbe stato molto più infame di tutto il mese precedente: le sue ferite si erano ormai rimarginate, tranne che per i pugnali, che dopo quasi un mese ancora si trovavano nelle sedi anatomiche dove erano stati inseriti, senza che il particolare materiale ne infettasse i tessuti, e impedendo la rigenerazione delle carni per qualche motivo.
    Quella mattina, il Lupo avrebbe posto degli elettrodi su tutto il corpo del ragazzo, collegati a dei cavi che andavano ad inserirsi dentro i macchinari che circondavano Sho. Fu un processo piuttosto lungo, dal momento che il comandante del Serraglio ricontrollò ogni singolo adesivo, prima di essere sicuro che fossero posizionati al millimetro; quindi, nuovamente si voltò verso Shiro, per annuire.
    Stavolta l'Oni, per la prima volta, sorrise. Non aspettava altro dall'inizio di tutta la storia. Estrasse nuovamente qualcosa.
    Shiro aveva con se molte cinture che cingevano il suo corpo, ricolme di spade più o meno lunghe, e pugnali. Le più grandi erano tre, due poste ai lati del corpo, e una a metà schiena, leggermente più corta. Fu questa ultima a venire estratta, rivelando una lama completamente di pietra grezza, come fosse stata scheggiata, tipo un'amigdala, molto sottile, più di una daga, lunga circa 30 centimetri. Quando l'Oni la impugnò, la lama divenne di un verde giada estremamente luminoso, abbastanza da spingere i presenti a socchiudere appena gli occhi; quindi alzò la gamba destra, posizionando il tacco dello stivale sulla sedia di pelle, appena accanto allo scroto di Sho, e serrò la punta sul suo ventre, appoggiandosi con forza, ma senza schiacciare i genitali del ragazzo, si protese in avanti, e posizionò con il braccio destro la spada di Damocle perpendicolare sulla testa del ragazzo, sussurrandogli qualcosa ad un orecchio.


    - Benvenuto al serraglio, Hyena. -

    E calò la lama, facendola penetrare nel cranio del ragazzo.
    Quando la lama penetrò la pelle, e lo strato osseo, Sho avvertì un dolore come non aveva mai provato in vita sua, ed ebbe dei flash, visioni istantanee e rapidissime di Kokuo, che veniva incatenato, delle mani gigantesche lo tenevano fermo mentre altre, altrettanto grandi, martellavano dei chiodi incandescenti nelle sue carni, per forgiargli delle catene direttamente sul sistema scheletrico; le urla del demone echeggiarono nella sua testa fino al momento in cui la lama arrivò all'encefalo, e lo oltrepassò, arrivando a far toccare l'elsa con il suo cuoio capelluto. In quel momento, la sensazione di dolore fu al suo massimo; era un'agonia che trascendeva una tortura fisica, era come se la lama fosse un metallo rosso di fornace che si faceva strada direttamente nella sua anima, cauterizzando al suo passaggio ogni emozione che Sho ancora covava dentro di sè, verso il fratello, verso i genitori, verso il villaggio. Qualcosa lo teneva stretto conficcando nel suo Io degli artigli infami, mentre gli faceva a pezzi l'essenza stessa della sua identità. Mai aveva sperimentato, o immaginato sensazioni simili, nè su di sè, nè verso le vittime dei suoi interrogatori.
    L'effetto del rituale era così evidente, che dalle cavità oculari del ragazzo e dalla sua bocca, fuoriusciva una luce verde abbagliante, come se il giovane avesse avuto una grossa lampadina al plasma direttamente collocata nel cranio.
    Impossibile dire per quanto durasse quell'evento. Per il Lupo, sarebbero passati forse un paio di minuti, ma per lui, un tempo che avrebbe ripercorso ogni istante della sua vita, lasciandolo del tutto ustionato nell'animo.
    Durante l'esecuzione, Shiro pronunciò alcune parole, che non furono udite dai timpani del ragazzo, coperte dal suono metallico stridente dell'effetto che la lama stava avendo sul ragazzo, come quello di un raiton altamente concentrato, ma si agganciarono da qualche parte. E vennero ripetute, più volte, cadenzate dalla voce di Shiro; e ad ogni pronuncia, il corpo di Sho, così come il bagliore emanato dalla sua testa, avrebbero tremato, come se attraversate da una scarica elettrica.

    7 Parole distinte, forgiate dalla giada di Cantha, dritte nell'anima del ninja, che avrebbero cambiato il destino di Sho Saitama.



    Quando Shiro tirò via la lama dalla testa del ragazzo, questa si spense, cessando di emanare il bagliore verde che la contraddistingueva, e fu riposta.
    Non ci sarebbe stato sangue di nessun tipo, nè ferite agli organi, nè mancanza di capelli, niente di niente, nemmeno una cicatrice sulla testa del ragazzo. Qualunque cosa la lama avesse colpito, non era fisica.
    Terminato il rituale, a Sho non sarebbe rimasta nemmeno la coscienza, era infatti svenuto ad occhi aperti, la stringa di cuoio che ne teneva la testa si era strappata durante il rituale, e ora il suo capo giaceva reclinato in avanti, con un filo di saliva che correva verticalmente sul petto, e con gli occhi sbarrati.
    Sarebbe rimasto 48 ore privo di sensi, mentre il Lupo avrebbe proceduto a riparare ciò che restava del suo corpo danneggiato, estraendo con attenzione ogni singolo pugnale di Shiro, per poi ricucire le singole ferite, somministrando la solita poltiglia edibile tenendo dritta la testa del ragazzo e facendogli ingurgitare la sbobba arancione dall'ottimo sapore. Quando il ragazzo si fosse svegliato, due giorni dopo, sarebbe stato sempre legato, ma con la testa libera, stavolta.
    Avrebbe notato immediatamente qualcosa di diverso in sè; la muscolatura, che iniziava a cedere per la mancanza di nutrimento, si era ristabilita, come se si fosse addestrato per i 28 giorni precedenti senza aver mai patito la fame o la sete. Su entrambe le braccia erano state collocate delle flebo, attaccate ai lati della sedia, tenute sospese su dei trespoli. Su entrambi i lati erano state predisposte delle sacche, due erano chiaramente contenenti sangue, le altre avevano altri liquidi, fossero nutrimento, o altri intrugli, a Sho non era dato sapere; una cosa però gli era chiara, era privo di paura, era privo di dolore, e soprattutto, non si sarebbe più chiesto cosa ci facesse lì, per lui sarebbe stato naturale essere lì, era il suo posto, la sua casa, non avrebbe dovuto essere in nessun altro luogo, aspettava solo degli ordini.

    Chiunque fosse stato prima di quel risveglio, non era affar suo, il suo compito era aspettare il suo signore; anche se nel profondo, sentiva un leggerissimo e lontano rimando a una parola di tre lettere, che aveva già sentito da qualche parte, ma che al momento non gli diceva assolutamente nulla: Oda.
     
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