Destino Incerto

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    Panic Room


    Al sicuro, preda della Solitudine





    Quando le luci si spensero nella stanza di Raizen restò da solo, come aveva richiesto di essere. Era stato stabilizzato ed erano state fornite le prime cure, tuttavia era ancora percepibile l’odore del sangue misto a disinfettante, aveva appositamente richiesto un grado di cure non troppo elevato. Forse sapeva di dover sentire qualcosa oppure semplicemente non voleva nemmeno i medici attorno.
    Si adagiò sui cuscini e fissò il vuoto, la tenue luce del villaggio definiva qualche contorno dell’arredamento, il comodino, la cassa delle lampade al neon, il televisore spento, la porta del bagno... i compagni di una notte che sapeva sarebbe passata così, a studiare una stanza che mai pensava avrebbe visto in una simile occasione.

    [5 minuti prima]

    Raizen aveva appena ultimato le cure e i medici avevano lasciato posto ad uno dei pochi ninja non occupati al villaggio, dopo averlo assicurato ad un quantitativo di macchine sufficienti a non farlo svenire.

    Serve che invii delle lettere.
    Non possiamo stare fermi a guardare il vuoto, purtroppo.
    Una per ogni amministrazione, di che siamo stati attaccati da Canta e che abbiamo accusato il colpo ma che il villaggio non è più in pericolo.
    Poche perdite.


    Si guardò la mano, per un istante cercò di guardarsi anche la sinistra, la cercò addirittura, ma l’aveva persa, insieme a gran parte del braccio.
    Quando rialzò la testa l’uomo aspettava altre direttive.

    Separatamente scrivi ad Itai, Diogene, Febh.
    Ad Itai, scrivi che gli basterà uno occhiata dentro di se per comprendere al meglio.
    Lo attendo tra tre giorni, non prima, necessito di riposo e di sbrigare alcune cose.


    Diede qualche secondo al ragazzo di modo che avesse il tempo di completare gli appunti, avrebbe completato le parti mancanti di suo pugno come Raizen aveva richiesto: troppo intontito per pensare alle giuste parole. Itai era tra i primi a dover incontrare, essendo l'unico possibile indizio per rintracciare Sho.

    A Diogene scrivi di informarsi in amministrazione riguardo gli avvenimenti di Konoha, dopodichè fagli sapere che mi serve fare pratica.
    Tra otto giorni a Konoha.


    Inspirò profondamente.

    A Febh…

    Espirò, e si poteva notare qualche borbottio sconnesso

    Digli che mi serve l’aiuto immediato di un ninja della sua levatura.
    È urgente. Voglio che sia qui dopodomani.


    Era sicuro di aver dimenticato qualcuno poi il ciuffo rosso di Hoshi gli tornò alla mente.

    E scrivi pure ad Hoshi, anche lui qui tra otto giorni.
    Poi contatta le mura, chiedi di proseguire lo status attuale, non voglio più civili a giro di quanti ce ne siano, e preferisco che la notizia di diffonda poco velocemente.


    Avrebbe chiesto allo scribacchino di lasciarlo solo, facendogli spegnere la luce quando usciva dalla stanza.

    […]

    Era iniziato come un suono flebile, ma durante la notte si era acutizzato divenendo un fischio fastidioso che lo isolava da tutto, dai suoni tipici dell’ospedale, dal silenzio delle strade, dalla calma dopo la tempesta.
    In quello spazio inesistente dove solo lui esisteva si erano fatti avanti, poco a poco, i ricordi indesiderati che adesso, nella sua solitudine erano liberi di lacerargli l’anima.
    Da quando venne svegliato, a quando indossò il mantello dell’Hokage per la prima volta in missione, senza riuscire a mantenerne il peso, venendone schiacciato come l’insetto quale si sentiva. Aveva sbagliato già da quel momento, peccando di superbia mentre sperava di poter almeno eguagliare i suoi predecessori.
    Aveva calcolato l’inganno, ma una volta che venne teletrasportato al palazzo vi finì imprigionato, condannandosi in un battito di ciglia, la disfatta più veloce che ci fosse mai stata, tentare di recuperare, pur sacrificando una vita fu impossibile.
    Guardava il vuoto ormai da qualche ora, attorno a lui qualche medico aveva ronzato per controllare lo stato delle ferite e dei parametri vitali, ma mentre succedeva, lo stimolo più forte che il Colosso aveva sentito, era il lieve refolo d’aria che respirando gli seccava le labbra.
    Le ore passavano come fossero giorni mentre guardava la mano rimastagli stringendola come se dovesse stringere la sua stessa anima per non farla scappare. Non aveva mai sentito quella sensazione di sconfitta totale, amplificata dal fatto che lui, la figura che tutti si aspettavano dovesse supportare l’intero villaggio era crollata, ingannata, delegando ai suoi uomini tale ingrato compito, scaricandogli addosso il fardello più pesante senza avere nemmeno la cortesia di riparare ai suoi errori.
    I pensieri gli si aggrovigliavano nella mente in un gomitolo indistricabile che rotolava diventando un vortice nero sempre più denso. Qualcuno passò per comunicargli le date dei funerali, ma venne ascoltato soltanto per venir dimenticato pochi istanti dopo aver ottenuto come risposta un mugugno.
    Non seppe quando, non seppe come, e nemmeno se ne accorse ma le lacrime cominciarono a rigargli il volto impassibile, come la pioggia su una statua di marmo, se ne ravvide solamente quando l’ennesimo infermiere, empatico, si rattristò visibilmente osservandolo, eppure non riuscì a dargli importanza.
    C’era qualcosa che aveva importanza, ora?


    Edited by F e n i x - 4/10/2017, 13:31
     
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