Tre teste sono meglio di una

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  1. Ryose
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    Me, Myself and I


    Post III


    La pozza si calmò improvvisamente non appena l’Altro toccò Ego, la corrente si immobilizzò, ma non c’era pace. Come nell’immobilità di due lottatori che si studiano per capire quale sarà la prossima mossa, non c’è rilassamento, ma tensione. Non c’è pace, quando si prepara la guerra.
    In un solo istante quel presentimento divenne realtà, mentre le acque si tingevano di nero e l’altro apriva il suo mantello mostrando un volto uguale al mio, ma folle. La sua voce mi ricordava tutti i capolavori dell’orrore che avevo imparato ad amare.
    MAGNIFICO!
    Non c’era timore nella mia voce, ma non capivo esattamente quello che stava succedendo. Chi era veramente l’Altro?

    Avevo visto qualcosa quando avevo utilizzato per la prima volta il Capovolgimento Spirituale, la tecnica del mio clan materno, una sagoma bianca che se ne stava dentro mio fratello. Era una parte di lui, ma non la riconoscevo. L’Altro era una parte di me?

    Tutti gli uomini hanno dentro di loro istinti incontrollabili, solo per un bilanciamento fortunato e perfetto di questi noi tutti riusciamo a mantenere la nostra morale, la nostra sanità mentale. Poche notti prima avrei ucciso tutti i miei compagni solo per salvare mio fratello, nonostante io avessi pensieri inconfessabili, l’Altro non era quella parte di me. Non rappresentava vergogna per quello che pensavo, non rappresentava il mio dolore per la scomparsa di Sho.

    Quello che avevo notato è che aveva a che fare con il “dono”, la capacità di percepire gli altri. In particolare avevo iniziato a vedere l’Altro dopo che avevo iniziato ad utilizzare i segreti del clan, dopo che avevo aperto l’occhio psionico. Aveva a che fare con gli Yamanaka, come suggeriva il fatto che mi stesse puntando le mani addosso, come per effettuare un capovolgimento spirituale.

    Avrei potuto evitare un colpo del genere, se non fossi stato quasi completamente immerso in una pozza di un liquido psico-conduttore sconosciuto, decisi di rispondere al fuoco con il fuoco, utilizzando a mia volta il capovolgimento.

    L’Altro non si era mai comportato così. l’Altro aveva sempre dimostrato di interessarsi a tutto ciò che mi circondava, facendomi notare dei particolari e per quanto avesse un carattere imprevedibile, il messaggio arrivava.
    Avevo un mostro terribile dentro di me, che agiva fuori dal mio controllo?
    Conosceva in maniera molto più approfondita di me come usare l’Occhio e si era nascosto per tutto il tempo dentro di me, aiutandomi quando vedeva che stavo per fallire, non per affetto ma per non sparire a sua volta.

    Mi ricordai quando da piccolo ero terrorizzato dallo spirito di una rana che si era nascosta sotto al mio letto, me ne ero accorto una notte quando mi ero svegliato di soprassalto per il gran gracidare. Una volta che mi svegliai la bestia si ammutolì subito, adorava giocare con me e sapevo che se i miei piedi fossero sfuggiti da sotto il lenzuolo mi avrebbe mangiato le dita.
    Dormii poco la notte, lo spirito voleva sfinirmi e gracidava terribilmente ogni volta che dormivo. Passai una settimana d’inferno, fin quando Sho, che come me non aveva mai dormito per tutta la settimana, entrò in camera mia facendomi vedere come sotto al letto non ci fosse niente, probabilmente avevo sognato la rana e poi mi ero convinto che esistesse.
    Alla fine gli uomini non vivono la realtà. La nostra mente rielabora continuamente quello che riceve dai nostri sensi e trae conclusioni, se uno ha un cervello un po’ bacato o manca qualche pezzo del problema oppure si hanno troppe informazioni, le conclusioni possono essere sbagliate.

    La realtà in fin dei conti era che eravamo tre ninja in quella stanza, ognuno con i propri problemi e i propri demoni, ma eravamo noi tre. L’Altro non era poi diverso dallo spirito della rana che per una settimana mi aveva tolto il sonno. Era la mia mente che, incapace di comprendere alcuni collegamenti e alcune informazioni che il mio “Sesto Senso” mi dava, aveva cercato di dare una forma che io potessi riconoscere, che io potessi temere, in modo da prestargli sempre attenzione, ma ora non c’era più bisogno. L’amico immaginario doveva "sparire".

    Senza un saluto, senza un ringraziamento, perché in fin dei conti non era mai esistito.



     
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