La Figlia del TerroreGiocata introduttiva Shin Yotsuki

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    La Figlia del Terrore


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    Shi. Devi andare. E' arrivato il momento. - la voce di mamma attirò la mia attenzione. Alzai lo sguardo e mi rispecchiai nei suoi occhi. Completamente diversi dai miei. Anzi l'esatto opposto. Da una parte ero contenta, sapevo che un paio di “orbite” nere erano di sicuro meno attraenti di quelle del mio colore. Rosse, o quantomeno vermiglie (del resto tutti i complimenti che ricevevo quando andavamo al mercato dei vari villaggi in incognito... me lo facevano presumere).

    Inclinai la testa, guardando con sguardo torvo la mia mamma. Non volevo separarmi da lei, stavo così bene in quel posto. Ok, c'era freddo. Molto freddo. E questo mi impediva di indossare i miei vestiti preferiti, di mostrarmi bella. Però vivevo nelle comodità. Mia mamma mi faceva sempre cose calde. Per esempio: brodo di verdure. Carne al forno Ma anche del delizioso Sangue, caldo e bollente. Di solito preferivo quello di cervo. Certo, dove vivevo era molto difficile trovare esseri umani disposti a condividere il loro sangue per condire le nostre pietanze... ma ogni tanto succedeva e per questo dovevo ringraziare la mamma.

    Io non ero ancora così brava come lei, a catturare uomini. Spogliarli, torturarli (o almeno credo sentendo le varie urla), fare quelle cose strane nella stanza in cui non potevo entrare (o almeno così mi era stata venduta la cosa da mia mamma). L'unico piacere era quello diciamo finale. Prendere un po' di sangue dalle varie botti che mia mamma, una volta che aveva finito con il tipo, riempiva. Metterlo sul bollito o sul brodo e dare quel gusto ferroso. Un po' come quando tagliavo la gola a qualche bestia e sentivo, leccando, il sapore del sangue che colava dalla ferita. Un sapore sporco, ma vero. Vivo. Pulsante.

    Latte e sangue. Erano i miei liquidi preferiti. Ero stata abituata fin da piccola e sicuramente se mai mi fossi allontanata da quel posto... mi sarebbero mancati entrambi. Eppure il tono di voce con il quale mia mamma mi impose quell'ordine... non lasciava spazio a margini di contrattazione. Mi aveva già ripetuto diverse volte quel discorso. “ Shi, devi uscire da questi luoghi. Shi, devi capire come funziona il Mondo. Shi, devi imparare a difenderti. Shi, devi imparare ad uccidere... se vuoi sopravvivere. “ e cose del genere. Da una parte le condividevo. Avevo dicianove anni. Di certo non potevo rimanere sempre a fianco di mia mamma. E fino a quel momento avevo ucciso poche persone, senza l'aiuto di mia mamma.

    La guardai, e annuii con decisione.

    - Ok, mamma. Però ad una condizione: ogni tanto verrò a trovarti, anche per portarti qualche regalo. -





    Sorrise, o almeno credo.

    Ame, qualche giorno dopo...

    Se c'era una cosa che detestavo di mia mamma era la sua poca propensione alle chiacchiere. Era sempre spicciola nel parlare e raramente si dilungava. In un certo senso mi sentivo al suo opposto. Mi piaceva parlare. Capire le persone. Insomma, non ero una persona fredda. Se uccidevo qualcuno mi piaceva anche ricordarmelo, e un buon modo era sapere qualcosa di lui...no? Comunque stavo seguendo le indicazioni che mi aveva fornito mia mamma e nella fattispecie mi stavo dirigendo nel posto che mi aveva indicato: Ame.

    Me lo aveva descritto come una grossa città. Incasinata, puzzolente... terribilmente puzzolente. E piena di bocconcini. Mi aveva detto che se volevo diventare più forte per prima cosa dovevo conoscere le persone giuste. Confrontarmi. Rendermi più consapevole... bla bla bla. Francamente sapevo dove voleva andare a parare. Voleva riunire la famiglia prima o poi, ma mi diceva sempre che Kato e suo fratello, i miei fratellini, potevano non accettare così di buon grado la nostra riunione... ed era meglio aspettare ancora del tempo. Non sapevo bene come accettare la cosa, e per il momento non davo molto peso. Ci sarebbe stato il tempo per tutto, e in quella situazione la priorità era una sola: profumarsi. In quel posto così sudicio potevo solo difendermi nel miglior modo possibile: utilizzare la mia amata boccetta, al sentore di lilla e uva spina. La presi in mano, recuperandola dalla mia borsetta e calcolai il numero di spruzzi. Tre. Uno sul collo, uno sui seni e uno sulle braccia, strofinandomi per bene. Mia mamma mi aveva insegnato a non sprecare nulla del resto.

    Mi sentii subito meglio e ripresi ad incamminarmi. Le parole di mia mamma erano state chiare: “ Arriva ad Ame. Scegli un posto e aspetta. Non ti servirà fare altro. “ E così feci. Inoltrandomi in quel posto così terribile, e sporco, percorsi qualche stradina e vialetto fino ad arrivare di fronte ad una sorta di pessima locanda. Alzai il mio sguardo, che adoravo definire paffuto. E lessi la scritta: - La puttana bagnata. - Sospirai. La fantasia mancava in questo posto.

    Superando file di odorose persone, dalle ascelle chiaramente poco curate, raggiunsi a fatica il bancone, il cui ripiano praticamente arrivava all'altezza del mio mento. Mi potevo ritenere una signorina dai modi raffinati e tendenzialmente cercavo di mantenermi così ovunque, e in tal modo mi riferii a quello che sembrava l'oste: - Salve, mi hanno detto di aspettare qui. O qualcosa del genere. Nel frattempo mi può portare un po' di latte mischiato con del sangue? Caldo, se possibile. - Una richiesta sincera, ma che a quanto pare lasciò sbigottito l'uomo, dalla faccia butterata.

    Ma nemmeno il tempo di approfondire il motivo di quel suo sguardo così sorpreso che due gionvicelli, forse miei coetanei, si avvicinarono al mio fianco. Uno per parte. Voltai il mio sguardo prima verso uno, e poi verso l'altro. Ma rimasi in silenzio. Magari era stato il mio profumo ad attirarli? Un po' come un topo sul formaggio. O una mosca sulla merda, se volevo usare i termini consoni al luogo in cui mi trovavo.

    Hey piccoletta... che dici se andiamo qui fuori e ti sbattiamo un attimo? - una domanda onesta, se bisognava essere sinceri. Tuttavia non era di certo la mia intenzione vendere il mio corpo per così poco, ammesso che l'abbia mai voluto fare... e come mi aveva insegnato mia mamma in quei casi era necessario “far vedere chi è comandava”. Con uno scatto di entrambe le braccia afferai i genitali dei due uomini e con, molta, decisione scaricai tutta la mia forza sulle mani. Così da stringerli, un po' come faceva mamma. Molto forte, e con molta tranquillità. Le grida degli uomini surclassarono il baccano del locale, mentre entrambi si dimenavano su stessi... come in preda ad un dolore inconcepibile.

    Senza saperlo, in effetti, stavo facendo quello che aveva pensato mia mamma: farmi notare.

     
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