Tre CuoriDue molto giovani

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  1. Alkaid69
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    Mi chiamo Terzo. Questo è il nome che mi ha dato il mio Creatore. Qualcuno mi diede un altro nome: Yuki, per i miei capelli bianchi come la neve. Ma si tratta di un'altra storia.

    Questa, invece... questa è la mia storia.





    Poggiai la mano su quel freddo muro, bagnato da quella pioggia incessante che da giorni mi riempiva le orecchie e le narici. Era l'unico appiglio che avevo, l'unica cosa che mi teneva in piedi. La testa mi girava e le ginocchia ormai stavano per cedere. Poi lo fecero per davvero: fui costretto a sedermi per terra, con ancora quel muro a tenermi per le spalle. Non avevo idea di cosa mi stesse accadendo, poi capii: era forse questo ciò che si provava a essere... stanchi?

    Con la vista appannata vidi qualcuno che veniva nella mia direzione, si sedette anche lui al riparo dalla pioggia, qualche metro più alla mia destra. Lo ignorai ma lui non fece lo stesso: -Ho sentito che stai cercando gli shinobi di Ame...



    Alcuni giorni prima...




    Il viaggio fra le terre del Paese dei Fiumi non era stato semplice, specie perché le notti non erano mai sicure per davvero. In qualunque momento gli scagnozzi di Taniguchi avrebbero potuto raggiungermi e tendermi un agguato, non avevo alcun alleato a darmi il cambio per la guardia e dovevo costantemente guardarmi le spalle.
    Avevo bisogno al più presto di entrare a far parte delle fila di Ame.
    Una volta raggiunto il villaggio, tuttavia, avevo dovuto constatare che anche solo trovare questi individui non sarebbe stato per niente facile. Non che io avessi ancora la capacità di distinguere il facile dal difficile...

    Nessuno ne conosceva l'ubicazione, o meglio, nessuno era disposto a confessarmela, neanche sotto minacce (avevo letto su un libro come fare tempo addietro, ma non lo avevo mai messo in pratica: nonostante avessi seguito nel dettaglio le istruzioni, sembrava non funzionare in quel luogo).

    Non avevo fatto mistero di chi stessi cercando: sperai che sollevando un polverone e attirando l'attenzione li avrei fatti venire allo scoperto.
    Mi sono accorto di aver parlato di speranza: avevo letto cos'è la speranza, ma forse in quel caso si era trattato più di una sorta di incoscienza calcolata: più nascosti di così, d'altronde, non potevano essere, quindi di sicuro non avrei rischiato di farli finire in qualche anfratto ancora più recondito di quella sudicia città.

    Sì, quella città. Diversa da quello che conoscevo, nessuno ti degna di più di un'occhiata, cosa che non mi era dispiaciuta: un ragazzino incappucciato che gira da solo per le strade non destava l'attenzione della gente, lì, e chiunque è libero di morire per le strade; la pioggia, d'altronde, lava via qualsiasi cosa, anche le situazioni scomode che vorresti non vedere.

    Quella tiritera era andata avanti per giorni, e avevo scoperto cosa significa essere affamati. I ratti, in quel frangente, erano stati così gentili da immolarsi per liberarmi dello strano dolore allo stomaco che mi veniva ogni volta che non ingerivo elementi esterni per più di un giorno. Non saprei dire se avevano un buon sapore oppure no: non avevo nulla con cui confrontarli. Mi ero anche segnato mentalmente di provare a metterli su una fiamma per "cuocerli", per vedere se a confronto fossero stati meglio o peggio.

    Avevo dovuto imparare a emulare i comportamenti degli altri abitanti di quel luogo, quando di notte non girava più nessuno per le strade. Alcuni si raggruppavano sotto ponti o altre simili strutture e, tenendosi caldi con la prossimità dei corpi, riposavano in fragili strutture di cartone. Avevo cominciato a farlo anch'io.
    Uno di loro l'aveva chiamata una "vita di stenti" e avevo capito che non faceva per me. Al settimo giorno, infatti, quell'inusuale modo di vivere sembrava aver avuto la meglio su di me e, mentre avevo cercato di raggiungere l'ennesimo luogo dove l'ultimo informatore mi aveva consigliato di rivolgermi, dovetti fermarmi.



    Adesso...




    -Sì, è così. Risposi asettico. -Dimmi dove sono. Chiesi. Ma poi scoprii che non è così che gli individui pongono domande, fuori. Lui comunque rispose: -Vuoi sapere dove ti trovi tu o dove si trovano loro? Hohoho. Solo in quel momento mi accorsi che in mano aveva qualcosa, non seppi dire se si trattasse di un'arma o di qualche strumento di altro tipo. -Loro.
    Lui rise ancora: -Hohoho, scherzavo, giovane senzatetto, scherzavo. Devi cercare Ru Wai, vai alla locanda dei Veri Batuman!
    Mi alzai, a stento. Guardai ancora l'uomo, vidi che non aveva una mano, quindi non avrebbe potuto usare quell'arma contro di me. Me ne andai. -Che fai non ringrazi? Che modi! Mi voltai verso di lui: -Non so come si faccia. Poi proseguii verso la mia strada.


    Avevo già visto quella locanda, la ricordavo ancora da un paio di giorni prima quando ci ero passato davanti. La raggiunsi e vi entrai: pensai che essere lontano dalla pioggia per un po' fosse... bello. Mi rivolsi a quello che doveva essere il servo del luogo: portava contenitori pieni di liquido agli individui seduti ai tavoli. Non era acqua. Lo fermai afferrandolo per la spalla: -Dov'è l'umano di nome Ru Wai. Gli dissi.


     
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16 replies since 24/3/2018, 20:44   250 views
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